Pages

Travaglio: il suicidio del Pd, malgrado l’Sos di Grillo

Il Partito Democratico ha perso due milioni di voti sulle ultime elezioni regionali e ha sbagliato un bel po’ di candidati, e poi se l’è presa con Beppe Grillo, il “fuoco amico” che gli avrebbe sottratto voti, specialmente in Piemonte dove Mercedes Bresso ha perso di misura su Roberto Cota. Grillo ha risposto alla sua maniera, ha detto: «No, è la Bresso che ci ha tolto un sacco di voti: se non si presentava lei vincevamo noi». E’ questione di punti di vista. Il programma della Bresso somigliava paurosamente a quello di Cota, specie sul Tav, il treno che per trasportare le merci ad alta velocità sventrerà la valle di Susa con un cantiere che durerà, secondo le stime, una ventina d’anni.
La lista grillina “5 Stelle” era contro il Tav e ha raccolto quasi il 4% in Piemonte e addirittura il 30 in certi Comuni della bassa valle. Improbabile che i grillini abbiano tolto voti alla Bresso, sia perché in Piemonte hanno preso meno di centomila voti mentre lei ne ha persi duecentomila, e soprattutto perché senza di loro probabilmente quella gente non sarebbe andata a votare. Ecco però il paradosso: spacciati per qualunquisti e antipolitici, i grillini hanno frenato proprio il qualunquismo e l’antipolitica del non-voto.
Tutto era cominciato con il V-Day dell’8 settembre 2007 a Bologna; all’epoca al governo c’era ancora Prodi, al quale – qualche mese prima – Grillo aveva portato le sue proposte: energie rinnovabili, wi-fi gratis, rifiuti e cemento zero. Erano tutte frutto delle primarie Internet discusse per otto mesi da 800.000 persone, ma Prodi quel giorno aveva socchiuso gli occhi, come per appisolarsi.
Al V-Day, Grillo raccoglie 500.000 firme in 220 piazze per tre leggi di iniziativa popolare: via i condannati dal Parlamento, due mandati parlamentari (poi, a casa), ritorno della preferenza nella legge elettorale per poter scegliere i candidati. Gli rispondono, da destra e da sinistra, che è un fascista giustizialista terrorista qualunquista. E pure volgare, perché dice “vaffanculo”. Pochi mesi dopo, mentre cade il governo Prodi, i senatori poi si sputano in faccia, stammapno champagne, divorano fette di mortadella, si urlano «frocio, mafioso, checca squallida». Eh, quello sì che è dolce stil novo.
Grillo ci riprova con il V-Day 2, il 25 aprile del 2008 a Torino. Raccoglie firme per tre referendum: via i soldi pubblici ai giornali, via l’Ordine dei Giornalisti, via la legge Gasparri per levare le Tv ai politici, soprattutto a uno. E si appella al Pd. Dice: «Prendetelo, il nostro programma, ve lo regalo». Niente da fare: “Fascista giustizialista terrorista qualunquista”. Allora sostiene De Magistris e Sonia Alfano alle europee, come indipendenti dell’Idv, e i due candidati vengono eletti con una valanga di voti.
L’estate scorsa, Grillo si candida alle primarie per il nuovo segretario del Pd, dopo Veltroni e Franceschini, ma il favorito è Bersani: astenersi disturbatori. Ovviamente la sua è provocazione, non è che voglia diventare segretario del Pd; è semplicemente il suo ultimo tentativo per convincere quel partito ad assorbire qualche punto del programma dei Comuni a 5 Stelle: no inceneritori ma raccolta differenziata porta a porta, energie alternative, gestione pubblica dell’acqua, tutela delle produzioni locali, liste pulite, Rete libera e gratuita, nuovi modelli di mobilità, case passive per il risparmio energetico, eccetera. In Italia ne parla solo lui; in America ne parlano Obama, McCain e Schwarzenegger.
Il Pd risponde che Grillo non è iscritto al Pd, e quindi non può correre; allora lui fa domanda di iscrizione: viene respinta. Intanto si scoprono migliaia di tessere false in tutta Italia e Parisi denuncia addirittura che il congresso è truccato. Alla fine, la commissione di garanzia del Pd sentenzia: «Non è possibile la registrazione di Grillo Giuseppe nell’anagrafe del Pd, perché egli si ispira e si riconosce in un movimento politico ostile al Partito Democratico». Strano, perché lo statuto vieta l’iscrizione solo a chi è già iscritto ad altri partiti, e Grillo non ha tessere.
L’unica a tentare un dialogo con lui è Debora Serracchiani, infatti la “asfaltano” subito come una deviazionista. Grillo commenta: «Ostile io? Sì, ma non agli elettori: ai dirigenti. Infatti mi candido per sostituirli: le primarie non servono a questo?». Niente da fare. Lancia un ultimo disperato appello al Pd: «Prendetevi il mio programma, non potete avere lo stesso programma di Berlusconi!». Niente, nessuna risposta: encefalogramma piatto.
L’unico a raccogliere la sfida, recentemente, è Nichi Vendola, che si impegna sul blog di Grillo a non privatizzare l’acquedotto pugliese. E’ quel famoso acquedotto che, come diceva già Gaetano Salvemini, dà più da mangiare che da bere. E adesso fa molta gola: è un bocconcino appetitoso che fa molta gola all’Acea, cioè a Caltagirone. E i maligni dicono che questo fosse proprio l’accordo che stava dietro il patto D’Alema-Casini per candidare Boccia in Puglia al posto di Vendola. Ma gli elettori pugliesi poi si ribellano, impongono le primarie, e lì – tanto per cambiare – il candidato di D’Alema perde: Vendola “doppia” Boccia 70 a 30, e arriva addirittura a 80-20 a Gallipoli, cioè a casa di D’Alema.
Grillo presenta le sue “liste 5 Stelle” in cinque Regioni e raccoglie 400.000 voti: in Piemonte sfiora il 4; in Emilia, dove ha già diversi consiglieri comunali, addirittura il 7. Poi lunedì si aprono le urne e, quando escono i risultati, tutti i partiti sgranano gli occhi e fanno la boccuccia a culo di gallina: «Grillo? Chi l’avrebbe mai detto». Ma forse bastava seguire il suo tour elettorale in camper per vedere piazze piene, ma piene per davvero: 15-20.000 persone (vere) a Bologna, a Torino, a Milano, a Napoli. Ma non se n’è accorto nessuno, anche perché i telegiornali erano troppo impegnati a “gonfiare” altre piazze.
Peccato, perché in quelle piazze c’è un’immagine che parla più di qualunque saggio politologico: c’è  Grillo dentro un canotto, che attraversa le piazze portato a braccia dalla gente. Vuole dimostrare che lui si fida dei suoi, perché ne basterebbero due che lo lasciano cadere e si fracasserebbe la schiena. Per ora l’hanno tenuto su tutti ed è rimasto tutto intero. Ecco: quanti politici italiani se la sentirebbero di mollare la scorta e sottoporsi al rischio della prova-canotto?
(Marco Travaglio, editoriale di “Annozero”, trasmesso da RaiDue il 1° aprile 2010).

dal sito http://www.libreidee.org

btemplates

0 commenti:

Posta un commento