Pages

0 commenti

Scudo fiscale: i conti non tornano.


Scarsa o nulla chiarezza sullo scudo fiscale. Prima di tutto per quanto riguarda la somma regolarizzata, che secondo il Corriere già il 15 dicembre “sarebbe intorno ai 110 miliardi” e “potrebbe salire ancora“, con un gettito per le casse statali “superiore ai 5 miliardi” (5,5 secondo il catenaccio). Tuttavia due settimane dopo, il rimpatrio viene ridimensionato a 98 miliardi, di cui 4,75 di entrate per lo Stato, confermando sostanzialmente le stime prodotte dal Tesoro il 16 luglio (ma non quelle che inizialmente avevano motivato la manovra, e cioè una somma tra i 276 e i 300 miliardi). Che sia questo ridimensionamento improvviso a causare la dichiarazione della Corte dei Conti, che parla di una mancanza di “affidabili meccanismi e metodologie di verifica”?

Il buonumore del governo, tuttavia, non ne viene intaccato (forse perché nessun commentatore si premura di notarlo). E così secondo la nota ufficiale del ministero dell’Economia si tratta di “numeri che marcano uno straordinario successo“. Roberto Calderoli afferma addirittura che si tratta della “più grande manovra economica di tutti i tempi“. Nonostante, come scrive Tito Boeri su Repubblica, ci siano volute “50 circolari e note esplicative per chiarirne il contenuto”, sia stata realizzata “espropriando il Parlamento delle sue funzioni” e addirittura “cambiando le regole in corso d’opera [...] in barba al principio di uniformità di trattamento”. E, non da ultimo, prorogando il “termine improrogabile” del 15 dicembre al 30 aprile 2010, dopo che soltanto il 29 settembre il sottosegretario all’economia Luigi Casero ne aveva fermamente ribadito l’impossibilità. Se questo è il criterio di “qualità”,”chiarezza e sistematicità” del ministro per la Semplificazione normativa c’è poco da gioire.

Poca o nulla chiarezza anche sull’impiego del gettito fiscale, e cioè i 4,75 miliardi di euro circa di cui si è detto. Sempre dal Corriere si apprende che ben 3,7 miliardi sarebbero già stati impiegati come copertura della legge Finanziaria. Resta poco più di un miliardo. Che farne?

Stefano Fassina, responsabile forum economia e lavoro del PD, sostiene che “almeno a parole” il governo abbia “già impegnato tutte le risorse provenienti dallo scudo fiscale”. Strano che Il Sole 24 Ore, insieme al resto degli esperti, invece brancoli nel buio. Impegnate sarebbero anche le risorse addizionali, derivate dalla proroga e stimate nel 6 e 7 per cento (la proroga prevede due segmenti a diversa percentuale) di ulteriori 30 miliardi. Di diverso avviso Maurizio Gasparri, che invece propone di vincolarne 300 milioni di euro (inizialmente scambiati dalla agenzia Asca per 300 mila) alle Forze Armate e alle Forze dell’Ordine. A questo punto sarebbe doveroso, da parte di Fassina, dettagliare la sua affermazione. In particolare spiegando come si possa impiegare completamente una somma che non si possiede e che è ancora difficile stimare.

Scarsa (o nulla) trasparenza, o il solito caso di cattivo giornalismo? Per ora di certo c’è solamente che sullo scudo fiscale i conti non tornano.

3 commenti

Hai studiato? E allora vai....trovati un bel lavoro e fai carriera.



Scappa da ridere, e il riso diventa amaro e si trasforma sempre più in un pianto dirotto che colpisce i giovani, ma anche i genitori.
Cari amici, cosa faranno i vostri figli da grandi?
Ma ancora peggio, diventeranno mai grandi?
Il 36% delle giovani coppie che si sono sposate negli ultimi 5 anni e che hanno acceso un mutuo bancario per l'acquisto della prima casa, senza l'aiuto economico dei genitori non potrebbero farcela, sarebbero tutti sul lastrico, tutti rovinati.
Il 21% delle giovani coppie che hanno chi un mutuo da pagare chi un affitto esoso, hanno perso il posto di lavoro negli ultimi 12 mesi.
Il 23% delle giovani coppie che hanno un mutuo o un affitto e in più le "solite spese" sono precari.
Il 38% dei giovani che fino a un anno fa lavoravano, oggi si trovano in cassa integrazione, la quale non potrà mantenerli per sempre.
Ma in tutto questo, non ci sono solo i giovani, perchè ci sono anche i quarantenni e i cinquantenni che si vedono sgretolare davanti agli occhi il loro futuro e quello dei loro figli, non è possibile per uno di questi ritrovare un lavoro, come faranno?
E come faranno i "benedetti" nonni a mantenersi e a mantenere i loro figli e i loro nipoti?
Qualcosa è stato sbagliato nel concetto degli amortizzatori sociali, qualcosa di veramente pericoloso, perchè se negli altri paesi Europei chi rimane senza lavoro ha comunque un sussidio dallo stato in attesa che le cose migliorino, in Italia invece, si continua a prendere per il culo la gente, non ultima l'uscita del premier con la frase: In Italia non esiste la disoccupazione. Non l'avrà detto. Ce lo saremo sognati, un incubo.
Il tempo scorre velocemente, e quando la gente non ha più nulla scorre ancora più veloce, ma questa classe politica sembra non essere troppo preoccupata dell'andamento, forse sono più importanti altri temi in vista delle elezioni, e comincia la sfilata in passerella dei candidati sindaci di ogni città. Girano per le strade dei centri storici stringendo le mani ad amici e parenti ripresi dalle telecamere, come se fossero semplici cittadini a stringergli la mano, ma soprattutto come se fossimo ancora coglioni a crederlo.
Se sta arrivando un nubifragio e le previsioni del tempo mettono "cacca a randanella" non è che riuscirai a proteggere la città dicendo che sarà una pioggerellina primaverile o che addirittura c'è uno spiraglio di sole o peggio ancora che il servizio meteo non funziona. Se il servizio meteo si sbaglia sarai un eroe, ma se arriva il nubifragio e arriva con violenza tale da fare danni seri, e dopo il nubifragio l'ondata di piena, che si farà? Quanti posti a sedere vi dobbiamo prenotare cari politici, sopra il razzo per la prossima partenza su marte?

http://www.diciamolatutta.tv/articolo/301209-hai-studiato-e-allora-vaitrovati-un-bel-lavoro-e-fai-carriera

0 commenti

Iraq:ora la sconfitta per gli USA è totale

Che la "Enduring Freedom" fosse stato un discreto fallimento in termini sociali, politici ed economici, prima ancora che militari, ormai non lo negava più nessuno. Salvare la faccia, in qualche modo, senza fare precipitare il paese in un caos totale, è stata la strategia sia dell'ultimo Bush che, storia recente, di Obama. Formato un esercito ed una polizia locale un minimo credibili, strutturata una oligarchia di comando con solo una pallidissima verniciata democratica, gli USA hanno smobilitato, rimanendo solo in qualche grossa base e "compound", praticamente assediati in una società quasi completamente ostile.

La speranza era in ogni caso quella di mettere le mani sul petrolio irakeno, questo da solo giustificando un intervento nella zona. Molti analisti, anzi, hanno sempre ritenuto che fosse questo il sono ed unico scopo dlel'intervento. Le cose non sono state cosi semplici, raramente lo sono, ma certo il potenziale produttivo del paese era strategicamente importante, per una potenza che ha bisogno di importare quasi metà del petrolio che consuma. A quanto pare però, l'oligarchia che si sono lasciati dietro non era cosi riconoscente con chi l'aveva sistemata sul ponte di comando da non vedere la possibilità di stringere altri e più lucrosi accordi sullo sfruttamento e lo sviluppo delle risorse petrolifere.

Le ultime ed importantissime aste se le sono aggiudicate, guarda caso, le compagnie dei paesi che più si erano opposti alla guerra, ovvero Cina, Russia e, udite udite, Francia, o quelle che si sono distinte per un impegno ridotto come la, per una volta non-cenerentola, Italia.

E' una sconfitta cocente, economicamente, strategicamente e politicamente parlando, dal potenziale devastante.

In prospettiva, il Vietnam è una bazzecola. Tutto considerato, a parte la cocente sconfitta militare, sul piano politico il temuto "effetto domino" che avrebbe potuto trasformare tutti gli Stati del sudest asiatico in dittature del proletariato non si verificò. Solo Vietnam, Laos e Cambogia furono coinvolti e la sconfitta non ebbe conseguenze geopolitiche, strategiche o economiche di rilievo. Ma ora, con la progressiva perdita delle concessioni di sfruttamento la sconfitta in Iraq è non solo totale ma anche piu' grave.

I cinesi sanno che la corsa alle risorse è cominciata SUL SERIO, ne hanno la consapevolezza storica e politica. Con il loro classico e ruvido pragmatismo, stanno provvedendo, agendo su tutti i fronti possibili. I russi, con analoga schiettezza e brutalità, ove occorra, stanno facendo lo stesso.

Noi occidentali, tutto considerato, pettiniamo bambole, non potendo raccontare la brutale realtà delle cose, per quella che è, senza rivestirle della nobile missione, del "fardello dell'uomo bianco" come diceva poco più di un secolo fa Kipling.

Non decidere, in ogni caso E' una decisione, ed E' una decisione che porterà solo guai. GROSSI guai. Per tutti.

Pietro Cambi

http://crisis.blogosfere.it/2009/12/iraqora-la-sconfitta-per-gli-usa-e-totale.html

0 commenti

L’anno della Tigre

Da Pechino a Goteborg, la strada non è certo corta. Ma i manager della casa automobilistica cinese Geely l’hanno macinata tutta. E alla fine sono (quasi) riusciti a mettere le mani su uno dei gioielli dell’industria svedese: le famose station wagon (o “famigliari”) targate Volvo. Volvo che appartiene all’americana Ford. E che appunto dovrebbe passare alla scuderia Geely. Il condizionale è ancora d’obbligo perchè - al momento - c’è solo un accordo preliminare. Ma si sa già il prezzo: tra gli 1,8 e i 2 miliardi di dollari, secondo alcune indiscrezioni pubblicate dal Financial Times.

L’accordo tra Geely e Ford è stato siglato l’antivigilia di Natale. Ed è finito sommerso dalle solite cronache al sapore di panettone. Del resto: babbi natale, presepi viventi e “messaggi(ni) d’amore (e di odio)” dei politici italioti - anche in quest’anno di disgrazia (economicamente parlando) - reclamavano il loro spazio. E così è stato. Tiggì e giornali tricolori hanno dedicato alla prima casa automobilistica europea finita in mani cinesi giusto poche righe o qualche secondo di video. Ma l’accordo Geely-Ford non è un caso isolato. E dovrebbe dare da riflettere.

Ad ottobre un’altra società di Pechino, la Sichuang Tengzong ha comprato da General Motors gli imponenti fuoristrada Hummer (quelli, per capirci, che sembrano carri armati; la Sichuang Tengzong li avrebbe pagati, sempre secondo indiscrezioni pubblicate dal Financial Times, circa 150 milioni di dollari). Mentre a metà dicembre la Beijing auto - altra casa automobilistica cinese - ha spogliato, a suon di dollari, la Saab dei suoi brevetti (acquistandoli per poco meno di 300 milioni di dollari). Uno shopping imponente. Ma più che giustificato. Fino a dodici mesi fa, il mercato automobilistico numero uno al mondo - quello, per parlare piatto piatto, dove si vendevano più quattroruote - erano gli Stati Uniti. Ma - secondo le stime della società di marketing J.D. Power Associates (pubblicate, lunedì scorso, dal quotidiano “La Stampa”) - la musica ora è cambiata. Tra gennaio e dicembre 2009, a Pechino e dintorni si sarebbero vendute 12,7 milioni di automobili. Negli Usa solo 10,4 milioni.

Un sorpasso storico.

Dirà qualcuno di voi: ma come? E la classica immagine delle fiumane di cinesi in bicicletta? Per carità: le fiumane di bici e motorini ci sono ancora. Ma quella icona della Cina pare avviata sul viale del tramonto. Perchè i numeri parlano chiaro. E fotografano un Paese in piena febbre da motorizzazione di massa. Come - per certi versi - l’Italia degli anni Cinquanta. Dove i ladri di biciclette - e relative dueruote - ancora abbondavano. Ma erano destinati col tempo a scomparire.

Epperò: va da sè che produrre e vendere milioni di automobili non basta. Che ci vuole anche il carburante per farle camminare. E anche su questo fronte, la Cina ha lavorato e sta lavorando tanto.

Sempre quest’anno Pechino ha messo a segno tre autentici colpacci con altrettanti vicini di casa. Colpaccio numero uno: ad inizio dicembre, il presidente cinese Hu Jintao ha inaugurato il primo tratto del gasdotto che dovrebbe collegare il Turkmenistan - pezzo d’Asia ignoto ai più, ma che è il quinto produttore di metano al mondo - con la parte più a Ovest della Cina. Un “tubo” che sarà lungo 1.800 chilometri e trasporterà - a pieno regime - qualcosa come 40 miliardi di metri cubi di gas all’anno (tanto per avere un termine di paragone: il fabbisogno di metano dell’Italia si aggira attorno agli 8 miliardi di metri cubi, sempre ogni dodici mesi). E poi: colpaccio numero due: lo scorso 21 dicembre, la China national petroleum corp ha stretto un accordo con il Myanmar (ovvero l’ex Birmania) per costruire un oleodotto, lungo altri 771 chilometri, e capace di trasportare 12 milioni di tonnellate di petrolio all’anno. Infine: colpaccio numero tre: quest’anno la Cina ha concesso un prestito da 25 miliardi di dollari alla Russia di Vladimir Putin. E in cambio ha chiesto petrolio. Petrolio che in futuro scorrerà a fiumi. Anche grazie a un altro oleodotto - e tre - che collegherà la Siberia con i porti russi sull’oceano pacifico. Capacità a pieno regime: 1,6 milioni di barili al giorno. Vale a dire - secondo il Financial Times - un terzo di tutto il petrolio attualmente prodotto e esportato dalla Russia.

E poi - ovvio - c’è il Medio Oriente. China national Offshore Oil company - una delle prime compagnia petrolifere cinesi - lo scorso giugno ha chiuso un accordo con l’emirato arabo del Qatar. L’intesa garantirà alla Cina un approvvigionamento di due milioni di tonnellate di gas liquido all’anno, per 25 anni. Un ottimo affare che val la pena ricordare a titolo di esempio. Ma che non rende a pieno le dimensioni dello sforzo messo in campo dall’ex celeste impero per dar vita a rapporti sempre più stretti con i signori arabi dell’oro nero. Secondo il Financial Times: nell’ultimo decennio, i commerci tra il Medio Oriente e l’Asia fabbrica del mondo si sono moltiplicati per sei. Valevano 110 miliardi di dollari nel 2001. Sono arrivati a quota 600 miliardi di dollari nel 2008.

Boom dell’auto, dunque. E richiesta altrettanto boom di petrolio e affini.

Ma: e la crisi? E la crisi ha colpito durissimo anche Pechino. Che vive di esportazioni. E che, secondo Reuters, ha visto proprio le esportazioni calare - nei primi 11 mesi di quest’anno - di quasi un quinto (il 18,8%). E però c’è un però. Pechino ha cercato - e apparentemente è riuscita - a coprire le perdite del presente con i risparmi del passato.

Per farla breve. Per anni e annorum, gli Stati Uniti hanno comprato container su container di prodotti cinesi (la Cina è da tempo il primo esportatore negli Usa). E così: gli statunitensi spendaccioni si sono ritrovati con un mare di debiti - la somma di debito pubblico e debito privato negli Stati Uniti è pari a oltre il 350% del Pil. Mentre Pechino ha accumulato una valanga di valuta pregiata - per la precisione le riserve cinesi ammontano attualmente a 2.300 miliardi di dollari (cifra che equivale a circa un sesto dell’intero Prodotto interno lordo del Paese più ricco del mondo, cioè sempre gli Usa). Danari che il governo cinese ha finalmente cominciato a spendere. Parte per stimolare il mercato interno (con un piano da poco meno di 600 miliardi di dollari). E parte - appunto - per fare lo shopping di brevetti, aziende e materie prime di cui sopra.

I risultati? Apparentemente davvero niente male.

Insomma: la Cina sta chiudendo un 2009 non proprio da incorniciare. Ma nemmeno da dimenticare. Anzi. Mentre i dodici mesi che stanno per chiudersi hanno regalato a Giappone, Europa e Stati Uniti non solo una crisi pesantissima (e destinata a passare alla Storia con la “S” maiuscola), ma anche un’altra dura lezione. Non è vero - come voleva la balla diffusa dai media a reti unificate (e dal vago sapore razzista) - che i cinesi siano tutti braccia e niente cervello, e sappiano solo copiare. E non è vero che qualunque cosa accada, le teste pensanti delle aziende - leggi i centri di ricerca e il management - rimarranno sempre e comunque in Occidente.

Perchè - anche se (soprattutto nel Belpaese) se ne saranno accorti in pochi - sono stati propio gli scienziati cinesi i primi a mettere a punto un vaccino contro l’influenza suina. E perchè tra i pochi che se ne sono accorti c’è stata la casa farmaceutica svizzera Novartis, che - a novembre di quest’anno - ha deciso di investire 100 milioni di dollari per aprire un centro di ricerca proprio in Cina. Dove - tra l’altro - lo stipendio di un ricercatore costa pure molto molto meno. Cosa che non dev’essere sfuggita - tornando per un istante al Belpaese - neppure ai manager finlandesi della Nokia. Che hanno annunciato la chiusura del loro centro di ricerca e sviluppo a Milano, per trasferirlo parte a Hangzou (Cina) e parte a Bangalore (India). Con tante grazie, ma nessun arrivederci per i loro dipendenti italiani.

Prima di concludere, un dubbio e un caveat: ma sarà davvero tutt’oro quel che luccica? Probabilmente, no. Perchè non bisogna dimenticare che in Cina non esiste una stampa libera. E che le notizie che arrivano in Occidente - soprattutto quelle sulle performance economiche - sono tutte lette, sottoscritte e approvate dal governo cinese. Dunque: non è da escludere qualche brutta sorpresa. E qualche crac o tonfo imprevisto. Ma i fatti e i numeri che abbiamo a disposizione sono quelli che sono. E - per ora - dicono tutti la stessa cosa: le prime tre economie al mondo - l’effervescente Cina, e gli ammaccati Giappone e Stati Uniti - si affacciano tutti sul Pacifico.

E la cosa - come si diceva al principio - dovrebbe far riflettere noi che viviamo nella vecchia e gloriosa Europa. Ovvero i vertici della Ue a Bruxelles. Così come - nel loro piccolo - gli imprenditori e i politici italioti. Dovrebbe, si diceva. Ma non è stato così. L’anno che sta per chiudersi nel Belpaese è stato vissuto tutto all’insegna dei papi e delle pupe, dei trans e dei marrazzi, e - da ultimo - dei modellini usati come corpi contundenti da psicolabili aspiranti salvatori della democrazia e della Patria.

Così siamo messi. Ed ecco perchè chi scrive - dopo aver passato un anno a raccogliere tutte le notizie qui sopra - si è sentito pure in dovere di metterle in fila. E di confezionarci un post, a mo’ di messaggio in bottiglia. Perchè nessuno - nessuno - della stampa blasonata di questo disastrato Belpaese ha pensato (finora) di fare altrettanto. E di vergare uno straccio di analisi.

Il 2010 per la Cina sarà l’anno della tigre, non solo astrologicamente parlando. Per l’Italia - a giudicare dall’impressionante numero di cassintegrati che prima o poi finiranno a ingrossare le file dei disoccupati - sarà solo un altro giro di boa, verso un futuro più difficile e più incerto. E a giudicare dall’inesistente dibattito pubblico e politico sul nostro futuro, verrebbe da dire che ce lo siamo ampiamente meritati.

0 commenti

La cittadinanza italiana: lingua, cultura e Lega



Ieri è iniziata alla Camera la discussione sul testo del disegno di legge sulla cittadinanza fatto votare dalla relatrice Isabella Bertolini appartenente al partito dell'amore che vince sempre sull'odio.

Il disegno di legge prevede che, tra le altre cose, per ottenere la cittadinanza italiana da parte di uno straniero siano necessari dieci anni di residenza continuata in Italia e “la frequenza di un corso, della durata di un anno, finalizzato all'approfondimento della conoscenza della storia e della cultura italiana ed europea, dell'educazione civica e dei princìpi della Costituzione italiana, propedeutico alla verifica del percorso di cittadinanza”. Il superamento di un piccolo esame finale confermerà che lo straniero è integrato, come se l'integrazione viaggiasse solamente in una direzione.

Credo sia giusto accertarsi che lo straniero che vuole avere la cittadinanza italiana conosca la lingua italiana, senza la quale l'integrazione è impossibile, e pure la cultura del paese in cui vive ma nella stessa misura in cui gli italiani stessi la conoscono, quindi escludendo a priori che il superamento dell'esame diventi lo scoglio insormontabile per ottenere la desiderata cittadinanza. Certo, se poi si va a testare il vero livello culturale, non dico dell'italiano medio che se avesse una memoria storica quanto quella calcistica non ci troveremmo a vivere il peggior periodo della storia della Repubblica italiana, ma dei deputati e senatori italiani allora ci si chiede anche il senso dell'esame finale per lo straniero. Una proposta simile era stata fatta dall'onorevole leghista Andrea Gibelli il 21 settembre 2006 nella quale si chiedeva l'istituzione di un test d'ingresso per gli stranieri che volevano studiare in Italia per verificare la conoscenza della lingua e cultura italiana. Questo sarebbe servito a non rallentare l'insegnamento didattico a scapito degli studenti italiani. Le Iene quindi decisero di fare qualche domanda a deputati leghisti per testare la loro effettiva conoscenza della lingua e cultura italiana scoprendo (forse il termine “confermando” era più adeguato) che molti di loro avrebbero avuto bisogno di frequentare proprio uno di questi corsi di recupero pensati per gli stranieri. Le lacune sulla grammatica e letteratura italiane erano incredibili ma in fondo loro son celti e quindi in parte scusati.

Altra amenità che si trova nel disegno di legge è che la cittadinanza è subordinata: “c) ad un effettivo grado di integrazione sociale e al rispetto, anche in ambito familiare, delle leggi dello Stato e dei princìpi fondamentali della Costituzione; d) al rispetto degli obblighi fiscali”. Infine, perché al ridicolo non c'è mai fine: “L'interessato presta giuramento pronunciando la seguente formula: «Giuro di essere fedele alla Repubblica italiana, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi, riconoscendo la pari dignità sociale di tutte le persone»”. Quindi se dovessimo applicare a tutti gli italiani questi principi, non ne rimarrebbero molti che potrebbero vantare la cittadinanza nel bel paese, ultimo tra questi ovviamente il papi dell'amore.

Sono d'accordo che lo straniero che vuole la cittadinanza italiana debba mostrare di volersi integrare ma non in maniera superiore di quanto un normale italiano faccia. Quindi, per una vera integrazione pratica e non teorica si consiglia al futuro cittadino italiano la lettura dei seguenti manuali per un futuro vincente: “Mafiologia, tecniche di successo”, “Evasione fiscale, attendere il prossimo condono con serenità”, “PdL, la storia del marketing dalle pentole alla politica”, “A lezione con papi: dall'amore per il partito al partito dell'amore”, “Bossi, storia di un'integrazione mancata”, “La meritocrazia ai tempi della Carfagna”, “D'Alema, le azioni che un politico dovrebbe evitare”.

Buona cittadinanza!

http://www.voglioresistere.blogspot.com/

0 commenti

Liberi soldi in libero stato

Il diciassette per cento delle famiglie, una ogni sei, arriva alla fine del mese con molta difficoltà. Lo afferma un’indagine dell’Istat, l’Istituto nazionale di statistica. Il dato riguarda la situazione di un anno fa, e mostra un peggioramento rispetto al 15,4 delle famiglie nella stessa condizione rilevato un anno prima. Non occorre un profeta di sventura per immaginare che la povertà di quel tipo abbia raggiunto, alla fine del 2009, ancora più famiglie, ancora più persone: chissà, una ogni cinque, tanto per indicare un possibile obiettivo.
Ironicamente, si può indicare l’obiettivo dell’una su cinque al governo, perché possa vantarsene nelle sedi internazionali.
Nel frattempo il governo vanta altri successi: con lo scudo fiscale sono rientrati 95 miliardi di euro, con un gettito di 4,75 miliardi. Il conto non fa una grinza. L’imposta era pari al 5% e ora questi soldi sono liberi, «liberi soldi in libero stato». Quale che fosse l’origine, anche la più depravata, ora sono quattrini come gli altri. Non hanno più peccati: si sono confessati – in privato, dal commercialista di fiducia – hanno fatto la penitenza del 5% e ora sono candidi e pronti a nuove avventure. Il governo ha assicurato che si trattava di un’occasione irripetibile, ma in modo scherzoso, strizzando l’occhio. Infatti l’irripetibilità si è già trasformata in una proroga – con l’aliquota al 6 e al 7% - e tutto lascia pensare che ci saranno altri scudi fiscali; e altri ancora.
Si è aperta una voragine tra quelli che non arrivano alla fine del mese e questi che riportano indietro i soldi a colpi di scudo fiscale. Tra chi non ha di che comprare un abito necessario e chi ha solo il dubbio di scegliere le annate di vini preziosi. Un fossato c’era già, ma non di queste dimensioni. Un paese spaccato in due, a Natale.
Il governo, il partito di maggioranza, l’alleato leghista hanno fatto acutamente il loro dovere. Hanno favorito gli interessi dei loro rappresentati, offrendo molto
e chiedendo consenso. Intorno hanno saputo costruire una vasta alleanza di persone spaventate, con poco da perdere ma molta paura di perderlo. E un modello di ricchezza alla portata di tutti, di sfida tra tutti per raggiungerla,
di gara continua, che soltanto chi bada ai propri interessi, e basta, può vincere.
Chi invece non arriva alla fine del mese, non ha rappresentanti. I precari, i senza lavoro, le famiglie povere non hanno un partito di opposizione che interpreti i loro interessi. A parole alcuni partiti dicono di farlo, ma sono incredibili. Non riescono a non essere bipartisan: con il popolo e con i profeti liberisti. Protestano per i licenziamenti, ma sostengono le liberalizzazioni.
I poveri sono soli; dalla loro, in parte, la Chiesa. La Chiesa che però li esorta a non ribellarsi.

Guglielmo Ragozzino
http://www.ilmanifesto.it/archivi/fuoripagina/anno/2009/mese/12/articolo/2083/

0 commenti

Il sangue dei tinti - Un pò di satira sull'attentato di Milano

Milano, Berlusconi ferito da un oggetto lanciato ad personam.

(o anche: psicopatico colpisce a morte le speranze del centrosinistra)

Berlusconi colpito al volto da un souvenir del Duomo. Subito annullato il comizio di Matera.

La prognosi di Berlusconi è di venti giorni. Quella dell'Italia un'altra legislatura.

(Venti giorni? Agli italiani basterà molto meno per dimenticarsi di Spatuzza)

Il premier dovrà sottoporsi a un intervento per rimuovere dal volto la scritta "onaliM id odrociR".

In un certo senso, Berlusconi ha accontentato quanti gli chiedevano un faccia a faccia con la Chiesa.

L'aggressore è incensurato. Subito esclusa la pista che porta all'Udc.

(L'uomo è risultato essere uno psicolabile. Votava Pd)

"Non sono nessuno", ha dichiarato Tartaglia quando è stato preso, cercando di farsi passare per Rutelli.

Il padre: "Votiamo Pd, ma in casa nessuno odia Berlusconi". Anche se usare due volte la stessa giustificazione suona sospetto.

Tartaglia non risulta iscritto ad alcun partito, ma rifiuta di mostrare i calzini.

L'Economist: "Berlusconi inadatto a sanguinare".

È polemica sui social network: nessuno aveva notato il crescente numero di iscritti al gruppo Facebook "Feriamo lievemente al labbro Berlusconi".

Su Facebook già nati numerosi gruppi che simpatizzano per lo squilibrato. Fra i più quotati "Rimettiti presto Silvio".

Ora si temono gesti di emulazione. E se qualcuno assalisse Napolitano con un grissino?

Minacciati anche altri esponenti della maggioranza: recapitata a Brunetta una busta contenente una gondola.

Immediata la risposta del Pdl: Gasparri lancia una statuetta di Silvio contro il Duomo.

"Ora va eliminata l'opposizione" dice Ali Khamenei dall'Iran.

Centrodestra compatto: "È una conseguenza del clima di odio". Finalmente un po' di autocritica.

Per non alimentare il clima di violenza, da oggi Berlusconi avrà sempre ragione.

www.spinoza.it

0 commenti
0 commenti

L’illusione ottica

L’Italia paese sano? Non scherziamo: a volte, leggere male i dati può causare gravi fraintendimenti. Sul sito del Wall Street Journal è disponibile una bella e documentata mappa interattiva sui paesi dell’eurozona, nella quale il nostro paese è classificato come “a medio rischio”, mentre figurano “ad alto rischio” nazioni spesso indicate come modelli – quali la Spagna e l’Irlanda. Dove sta il trucco?
Il trucco, semplicemente, non c’è. Tutto dipende da che tipo di coordinate si adottano. Se si sceglie un sistema di coordinate relativo – come ha fatto il Wsj sulla scorta della Commissione europea – allora è vero: il nostro paese se la cava abbastanza bene. Ciò vale se ci si concentra sul cambiamento che i principali indicatori macroeconomici e di finanza pubblica hanno avuto dall’inizio della crisi a oggi. Come scrive il Wsj,
l’elevato debito pubblico esistente, al 105 per cento del Pil, ha impedito al governo di imbarcarsi in qualsiasi stimolo fiscale significativo durante la recessione.
Abbiamo, cioè, fatto di necessità virtù. Questo non ci ha impedito, a causa delle enormi rigidità della nostra spesa pubblica, di avviarci su un sentiero preoccupante di aumento delle dimensioni relative del debito rispetto al Pil, che veleggiano verso il 120 per cento (contro una media dell’eurozona pre-crisi attorno al 60 per cento, come da vincoli del Patto di stabilità, e tende al 90 per cento). La crescita del prodotto interno lordo, che nel 2009 ha performato peggio della media dell’eurozona, nel prossimo paio d’anni sarà modesta e pari o inferiore a quella dell’area dell’euro, secondo le previsioni. Abbiamo avuto risultati migliori rispetto a due soli indicatori: la disoccupazione e il deficit pubblico. Sulla prima, non è chiaro quanto abbia influito l’ampia estensione dell’economia sommersa (che pure non è necessariamente sempre e solo un male). Quanto al deficit, ci troviamo – rispetto al resto d’Europa – in una situazione ambigua: la crescita del deficit italiano è stata più moderata, ma partiva da un livello pre-crisi più preoccupante. Si può quindi dire che gran parte del nostro deficit sia strutturale, mentre gran parte del deficit altrui sia congiunturale. Se saranno adottate politiche di rientro dagli stimoli efficaci, il deficit degli altri si ridurrà rapidamente ai livelli pre-crisi: il nostro, resterà pressappoco dov’è.
Per capire la differenza, guardiamo a Madrid. Sicuramente la crisi ha avuto un impatto devastante: il rapporto debito/Pil quasi raddoppia (ma resta sotto l’80 per cento), mentre il deficit arriva, nel 2009, a un tremendo 10 per cento del Pil. La disoccupazione tende verso la quota stellare del 20 per cento, mentre la crescita del Pil – che nel 2009 è sceso meno di quello italiano – ricupererà molto lentamente. Questo non fa della Spagna un paese peggiore dell’Italia. Il governo di Zapatero si è impegnato a riportare il deficit entro la soglia del 3 per cento del Pil da qui al 2013. Non sappiamo se ci riuscirà. Se lo farà, è probabile che la Spagna torni, in un periodo di tempo relativamente breve, a brillare come caso-scuola in Europa. Altrimenti, potrebbe avviarsi su un sentiero italiano, di deficit incontenibile, debito crescente e, come risultato, alta tassazione e bassa crescita. E’ però importante sottolineare che l’Italia non sta meglio della Spagna, semplicemente perché l’Italia è uno dei possibili futuri – ma non l’unico – per gli spagnoli. Se riusciranno a rimediare agli errori compiuti negli ultimi due anni, si salveranno, mentre noi continueremo a barcamenarci.
E’ vero, dunque, che nel frangente della crisi l’Italia se l’è cavata: nel senso che ha perso meno, avendo meno da perdere. Si è impoverita meno, essendo più povera. In termini relativi, possiamo compiacerci di essere molto fighi. In termini assoluti, restiamo il malato d’Europa.

Carlo Stagnaro
http://www.chicago-blog.it/2009/12/30/lillusione-ottica/

2 commenti

Un anno a puttane

Conosciamo già il record di Papi, eppure quest'anno ci sono parecchie cose che sono andate a puttane persino più di lui. L'occupazione e l'economia, per esempio, cosa però alla quale siamo così abituati che non ci stupirebbe affatto vederne ministro la D'Addario. Farebbe meglio di Tremonti, oltretutto.
Non ci ha stupito nemmeno la Protezione Civile affidata ai Templari da Giacobbo.
Questi ultimi dodici mesi però hanno crudelmente sputtanato anche alcuni punti fermi del nostro immaginario collettivo.

Gorilla nella nebbia

Se l'anno scorso ci avessero chiesto chi fossero i tre personaggi famosi più potenti, e di conseguenza più protetti del mondo, molto probabilmente avremmo risposto il presidente USA, il Papa, e Berlusconi.
Quest'anno abbiamo invece scoperto che tirare una scarpata a Bush, spaccare la faccia a Berlusconi, e atterrare in area il Papa è più facile che entrare in discoteca. Cos'è successo ai mitici bodyguards, gli occhiuti e implacabili gorilla celebrati da tanti film hollywoodiani?

La risposta può darcela forse il più emblematico di questi film: ''Guardia del Corpo'', il cui protagonista perde lucidità a causa della sua relazione amorosa con la star che protegge, e proprio per questo rischia di farsela ammazzare sotto il naso. La fantozziana inefficienza dimostrata quest'anno dai gorilla potrebbe quindi essere dovuta a una loro troppo personale interpretazione del termine ''guardaspalle''.

Io ero leggenda

Annunciata come l'Ottava Piaga d'Egitto, il Quinto Cavaliere dell'Apocalisse, e il prequel live di ''I am Legend'' messi insieme, l'influenza AHAHAH!1!!1 ha fruttato miliardi alle case farmaceutiche con la prevendita dei vaccini, ma una volta sul terreno di gioco, come virus s'è dimostrata la peggiore pippa del secolo dopo Ronaldo.
La falsa Suina era un'autentica bufala, ma questo non farà differenza per i veri tifosi: al prossimo campionato, quando arriverà il nuovo virus straniero preceduto dalla solita campagna pubblicitaria, correranno di nuovo a fare incetta di gadget costosi e inutili, tipo mascherine da E.R. e spray alla cipolla e candeggina, si faranno di vaccini tagliati col detersivo, seguiranno con passione tutte le trasmissioni specializzate, commentando animatamente la moviola dei vetrini al microscopio. E vinceranno un'altra Coppa del Tonto.

La presa per il cult

Di tutti i più sfigati espedienti narrativi a cui si possa ricorrere per sbrogliare in extremis una trama ormai troppo intricata, il Deus Ex Machina è il più sfigato, e i precedenti illustri non lo rendono meno sfigato. Quest'anno è stato adoperato da entrambe le serie che, almeno fino a quel momento, s'erano contese il titolo di cult-serial del decennio: Lost e Battlestar Galactica.
Se Lost ha ancora una stagione per provare a rimediare (o rischiare di peggiorare le cose) tirando fuori dal cappello un altro dei suoi conigli in acido, BSG ha ormai definitivamente sputtanato quattro coraggiose stagioni di epico, malinconico, brutale iperrealismo, con uno pseudo lieto fine misticheggiante e bucolico che sembra concepito da un predicatore della Bible Belt strafatto di vaccino tagliato col detersivo.
Se c'è davvero qualcuno che deve lasciare il computer e andare a zappare, quello è Ronald Moore.

Per l'anno nuovo i media comunque ci consigliano ottimismo.
Dopo un 2009 a puttane, ci aspetta un 2010 a trans.

Alessandra Daniele
http://www.carmillaonline.com/archives/2009/12/003290.html

0 commenti

La Lega Santa

La Padania oggi in edicola chiede a gran voce, nell’editoriale di Enrico Macchi (Tendere la mano è inutile) e alle pagine 4-7, una nuova Lepanto per fermare la “nuova valanga islamica alle porte”.

La storia, profetizza Umberto Bossi, si ripete. E oggi, proprio come XVI secolo, “i paesi costieri venivano assaltati, le chiese incendiate, le campane distrutte, gli uomini e le donne ridotti in schiavitù, si chiedevano ingenti riscatti per restituirli alle loro famiglia”: “facile allora il parallelo tra gli accadimenti di allora e gli eventi di questi giorni”. C’è, tuttavia, una differenza: la Cristianità di oggi, contrariamente a quella di Pio V, manca di “vis pugnandi“. Nelle parole di Macchi:

“Oggi invece la Chiesa ha paura. Non lotta. E’ pacifista a oltranza. Subisce. Ma non si può fare la pace con chi non la vuole! Al contrario, come dicevano i latini, si vis pacem para bellum. Ossia: a volte la guerra – metaforica o meno – è necessaria proprio per ottenere la pace. [...] Non si intravvede un Pio V, insomma, manca qualcuno o qualcosa che faccia coalizzare tra loro le forze della Cristianità.”

E chi sarebbe il collante? “Il baluardo oggi è la Lega Nord, siamo noi che ci stiamo mettendo di traverso”. Ma non basta:

“Occorrerebbe una reazione forte e generalizzata dell’Europa. Perché il nemico è ormai alle porte, anzi è infiltrato nella nostra società, la corrode dall’interno mentre preme anche dall’esterno.”

Magari ci fossero ancora i “preti-soldato“. Conclusione?

“Che fare dunque? La Lega lo sa da tempo: l’impressione è che l’Islam sia in cammino, mentre noi stiamo solo a guardare, reagiamo poco e male. Serve una nuova Lepanto, oppure occuperanno tutto l’Occidente. Manca ancora, appunto, un novello Pio V.”

Che diranno gli alleati del “Partito dell’Amore” di questo anelito guerresco? E soprattutto: non erano la sinistra, il “Popolo Viola” e le loro gazzette a spargere il “clima d’odio“?

I credenti del centrodestra sono avvisati: da oggi alla Lega Nord si è sostituita la “Lega Santa“.

0 commenti

Qualcuno mi spiega cosa sta facendo l'UdC?

Regionali 2010: l'UdC corre da sola dove può fare l'ago della bilancia, mentre si schiera con chi vincerà, nelle regioni dove i risultati sembrano già definiti.
Correrà

col PdL: in Lombardia, Lazio, Campania e Calabria

col Pd: in Liguria, Marche, Basilicata e Puglia (con Emiliano, contro Vendola).

I miei Maestri mi hanno insegnato che in politica bisogna avere un progetto. Non un disegno meramente elettorale che abbia l'obiettivo di piazzare persone nei luoghi di gestione del potere, ma un progetto con un unico orizzonte - il bene delle persone e del Paese - entro il quale perseguire risultati concreti e tangibili. Fatta questa precisazione, io mi domando quale sia la politica dell'UdC, quali siano i suoi valori fondanti e i suoi propositi concreti. Al di là della sbandierata cattolicità, che non mi pare sia un progetto, l'unico argomento che ho saputo cogliere in Casini & company è la difesa della famiglia. Ora, poichè non mi consta ci siano gruppi politici contro la famiglia nè mi ricordo di proposte di legge avanzate da chicchessia volte a limitarne l'esistenza (e non mi spreco a distinguere le famiglie di fatto da quelle con papà e mamma sposati regolarmente), mi trovo a registrare che l'unica attività politica prodotta e perseguita dall'UdC sia quella di gestione (delle amministrazioni locali, della Rai, dei consigli di amministrazione degli enti pubblici, della sanità, ecc. ecc.).
Ecco, diciamo che se mi fosse rimasto qualche dubbio, le alleanze che si vanno profilando per le regionali del 2010 me li hanno fatti sparire.

http://metilparaben.blogspot.com/2009/12/qualcuno-mi-spiega-cosa-sta-facendo.html

0 commenti

I furbetti di Facebook

Chiunque abbia un account Facebook, la scorsa settimana avrà sicuramente notato come nella propria home page campeggiasse una lettera personale del fondatore Mark Zuckerberg, in cui veniva spiegato che a breve le impostazioni sulla privacy sarebbero state cambiate. Il crescente numero di utenti, circa 350 milioni, pare aver infatti inficiato l’efficacia di alcune barriere come i network regionali, utili quando il sito contava poche migliaia di persone perché consentivano la condivisione di informazioni anche con chi non fosse propriamente un amico. Nel tempo queste reti territoriali hanno cominciato a contare centinaia di migliaia di persone e la facilità con cui era possibile carpire notizie personali, ha spinto i vertici dell’azienda a eliminarle definitivamente, introducendo una nuova piattaforma d’impostazioni.

Sulla carta, l’operazione di Zuckerberg e soci appare tecnicamente perfetta e soprattutto rispettosa della privacy dei singoli utenti, ma dalla Electronic Frontier Foundation - la più stimata organizzazione no profit nell’ambito della tutela dei diritti civili sul web - arriva un rapporto in cui le innovazioni vengono perlopiù criticate. Secondo gli esperti di San Francisco, infatti, le nuove impostazioni di privacy spingono gli utenti a diffondere nel web i loro contenuti personali: una volta apparso il cosiddetto “transition tool”, il fruitore di Facebook è stato messo davanti al fatto che (di default) tutte le sue informazioni erano visibili a chiunque, e nel caso in cui non si fosse andati personalmente a modificare le impostazioni, i contenuti sarebbero rimasti totalmente accessibili.

A onor del vero, la transizione ha portato una semplificazione significativa dei passaggi per la pianificazione della privacy. Con un’interfaccia più chiara ed intuitiva è ora possibile scegliere, ambito per ambito, cosa far vedere a tutti, solo agli amici oppure agli amici degli amici. In questo modo la privacy sembrerebbe in una botte di ferro: basta un po’ di accortezza ed è possibile schivare il rischio di avere le proprie foto in ambienti o atteggiamenti poco consoni, diffuse su tutto il web.

La questione non è però così semplice. Quando Zuckerberg e soci ci dicono ad esempio che le nostre generalità - ovvero sesso, data di nascita, residenza, lista degli amici e pagine - sono automaticamente visibili nel momento in cui noi facciamo uno di quegli irresistibili test sulla nostra personalità freudiana o parliamo con la nonna di Bari vecchia, si dimenticano di precisare che è proprio da questa nostra gentile concessione che arrivano gli utili della loro azienda. In pratica quei giochini tanto carini sono delle immani miniere d’informazioni su gusti, inclinazioni e comportamenti personali che vanno ad ingrassare le liste di compilazione necessarie a sondaggi e ricerche di mercato di ogni genere e sorta. E com’è ovvio ogni servizio ha un prezzo.

Se a ciò aggiungiamo il fatto che ogni restrizione sulla privacy è una perdita in termini di guadagno per quanto riguarda la probabilità di indicizzazione sui vari motori di ricerca, Google in testa, ben si potrà capire come mai durante la fase di setting delle impostazioni due righe di testo ci suggerissero che “consentire a tutti di vedere le informazioni, faciliterà l’identificazione da parte degli amici”. D’altra parte la concorrenza di una piattaforma come Twitter, in cui tutti i contenuti sono pubblici e di conseguenza indicizzabili da Yahoo e soci, ha un peso sempre maggiore nei bilanci dell’azienda di Zuckerberg.

Ora, il problema non sta tanto nella pubblicazione d’informazioni quali l’istruzione o il luogo di lavoro. I guai cominciano ad arrivare nel momento in cui ragazzini poco meno che adolescenti lasciano, o per buona fede o per pigrizia, le impostazioni di default e rendono pubbliche immagini appetibili ad ogni sorta di maniaco deviato che circoli in rete. Sebbene al momento dell’iscrizione si richieda la maggiore età, su Facebook sono presenti migliaia di studenti delle medie e delle elementari, bambini e ragazzini che si approcciano con curiosità alla rete e vedono in questo sito la via più semplice per creare network interattivi con i propri compagni di scuola, di sport o di vacanze. Sono loro che statisticamente pubblicano più informazioni, sono loro la più grande fonte di guadagno per le ricerche commerciali ma sono anche loro ad essere i più esposti alle minacce che un sistema come il web, anarchico per antonomasia, non può illudersi di combattere né tantomeno eludere.

di Mariavittoria Orsolato
http://www.altrenotizie.org/cultura/2896-i-furbetti-di-facebook.html

0 commenti

L'elisir di lunga vita si chiama Violante

Correva l’anno 2003, quando l’onorevole Luciano Violante, prendendo la parola alla Camera, si lamentava con Berlusconi. Piagnucolava: ma perché ci chiamate regime? Già, perché? E pensare che già nel ‘94 vi avevano assicurato che le televisioni non sarebbero state toccate. E pensare che abbiamo permesso a Berlusconi di essere eletto nonostante le concessioni (e quindi contro una legge dello Stato). E pensare che durante il governo del centro-sinistra Mediaset ha aumentato di 25 volte il fatturato! Insomma, più camerieri di così, cosa volete? Ragazzi, che bello ricordare i tempi andati, che nostalgia! Al tempo del primo inciucio con Silvio, nel 1994, avevamo tutti quindici anni di meno: Violante ne aveva 53, D’Alema 45, Berlusconi 58. Molti di quelli che oggi sfilano sotto le insegne viola giocavano con le bambole, o con i soldatini, o avevano il ciucciotto in bocca. Loro si chiamavano Pds. Patrizia D’Addario era una bambina, Capezzone era un ragazzino radicale e Cicchitto sembrava addirittura un socialista. Ora - quindici anni dopo - Violante ha 68 anni ed è ancora lì a proporre dialogo, D’Alema ne ha 59 ed è ancora lì a proporre inciuci. E soprattutto nonno Silvio ne ha 73 ed è ancora lì che piange, fotte e soprattutto sghignazza. E ora, vi racconto una barzelletta che fa sempre ridere: è l’antiberlusconismo che fa vincere le elezioni in Italia a Berlusconi. Se era per Violante e D’Alema, a quest’ora, era imperatore della galassia! Comunque, su col morale, gente. Guardate questo piccolo video ( http://www.youtube.com/watch?v=swntE1iWB5Y&feature=player_embedded ) e vi sentirete 15 anni di meno (guardate anche la faccia di Fassino, che in quel momento se ne sentì 150 in più). Perché usare il gerovital quando c’è ancora in giro Violante?


Alessandro Robecchi
http://temi.repubblica.it/micromega-online/l’elisir-di-lunga-vita-si-chiama-violante-l’inciucio-mantiene-giovani/

0 commenti

La crisi? In Italia deve ancora arrivare…

La vera crisi in Italia, deve ancora arrivare. Se nei rapporti con le altre nazioni ne siamo usciti più o meno bene, “grazie” alle minori esposizioni dei nostri gruppi bancari con l’Estero, la crisi quella che tocca i singoli cittadini sta per arrivare.
Certo, i posti di lavoro volatilizzati, i conti correnti prosciugati, l’aumento dell’indebitamento privato, la crescita del denaro preso da usurai. Ma fin qui, bene o male che si vada, in Italia si è continuato a galleggiare.
Figli adulti, hanno chiesto a genitori più o meno anziani, di metter mano al portafogli. E prendi oggi, prendi domani, ecco che la vera crisi ora occhieggia fra le famiglie italiane. Quelle famiglie con una storia di piccolo risparmio che fin qui, ha fatto si che la nazione potesse – più o meno – tirare avanti anche nei momenti di magra.
L’Italiano medio è risparmiatore. Non lo direbbe nemmeno sotto tortura, ma nella maggior parte dei casi, riesce a mettere qualcosa da parte. E molti, lo fanno di generazione in generazione.
Quando si parla di crisi generale quindi, se ne ha ben donde. Ma se si guarda alle realtà vicine, ci si rende conto che tutta questa fame alla fine, in Italia, non si fa.
Sicuramente sono molte le persone che hanno dovuto cambiare stile di vita. Tagliare sulle spese superflue come cene al ristorante e viaggi e magari abbigliamento griffato. E quelle che già si trovavano in disgrazia, continuano a barcamenarsi in una economia che non è peggiore del “prima della crisi”: poveri erano e poveri – ahimè – sono rimasti.
Ciò che sta accadendo nel nostro Paese è che il risparmio è stato intaccato. Azioni, bot, buoni postali, soldi sotto la mattonella: è un continuo prendere. Per se stessi. Per i figli. Per i nipoti.
Ed intaccare il risparmio, significa dare fondo alle riserve senza garanzia di recupero. Ecco, questa è la crisi all’italiana.
Una controprova di come non si faccia la fame, giunge proprio nei periodi di festa: non calano granché i consumi. Nemmeno i viaggi. Forse alcuni progetto in tempo le proprie vacanze per usufruire di qualche pacchetto low cost, ma le agenzie di viaggi sono prese comunque d’assalto e addirittura alcune crociere sono prenotate già da un anno.
Il ricorso al piccolo prestito poi, fa si che in ogni caso, non ci si privi troppo di nulla.
Ed è nella tipologia di utilizzo del credito, che si legge una differenza. Se un tempo si richiedeva alla propria banca un sostegno economico per il mutuo della casa, gli studi dei figli o qualche lavoro di ristrutturazione, oggi sono molti quelli che attingono per consentirsi lussi ora meno possibili, come appunto viaggi e spese extra.
Si rateizza tutto: dal viaggio alla vettura, dai mobili nuovi a qualsiasi tipo di acquisto che non rientri nei settori di spesa urgente.
Certamente c’è anche chi non solo non arriva a metà mese, ma ha problemi di accesso al credito ed ha dovuto rivoluzionare la propria esistenza. Ma se si guarda col microscopio la situazione globale, l’Italia è meno sgarrupata di quel che si possa pensare.
Ora però, tocca prevedere cosa accadrà nel momento in cui gruzzoli più o meno ricchi inizieranno a grattare verso il fondo. Ecco: bisogna poter immaginare anzitempo, come affrontare il reale ritrovarsi con le spalle completamente scoperte.
Statistiche alla mano, abbiamo le pensioni minime più basse di tutta l’Europa. Le fasce deboli non hanno garanzie. Le donne sono le prime a subire la perdita del lavoro. Ed i giovani sono poco avvezzi a dover rinunciare a plus come la moto, il viaggio e compagnia briscola.
Certo che i poveri esistono: chi dice il contrario? Ma se vi guardate intorno, non c’è traccia pesante di povertà. Anche perché se così fosse, se la maggior parte della nazione fosse sotto scacco totale e con le braghe a terra, si sarebbero già mosse le Masse a dichiarare guerra ad uno Stato opprimente, iniquo e non garantista.
Nessun popolo rimane fermo se la minaccia della povertà nera diviene reale e realtà quotidiana. Ed in Italia – tutto sommato – la gente pur lamentando crisi, non appare allo stremo. Per fortuna.

di Emilia Urso Anfuso
http://www.agoravox.it/attualita/economia/article/la-crisi-in-italia-deve-ancora-11919

0 commenti

"Scusandoci per il disagio"

Nevica, e 700 treni vengono cancellati. 700 in un giorno, non in un anno. Si potrebbe anche sopportare.

Nevica, e Moretti dice, riuscendo a rimanere serio: “Chi sale su un Intercity dovrebbe portarsi almeno un paio di panini, dell’acqua e un maglione in più”. Già, che problema c’è? È logico. Se prevedi – e la probabilità è altissima – di passare 12 ore in aperta campagna di notte con -10° su un treno bloccato senza riscaldamento e senza minibar, il minimo che una persona previdente possa fare è effettivamente portarsi da casa un po’ di generi di prima necessità: magari anche una stufetta (a legna, perché la corrente non c’è), delle coperte, una scatola di aspirine, cose del genere.

Ma anche questo – forse – si potrebbe sopportare.

Ciò che non si può assolutamente sopportare è...

l’annuncio che Trenitalia ha ideato, immaginando di fare cosa gentile, per casi di questo genere e che noi passeggeri ci sentiamo ripetere invariabilmente a ogni viaggio, qualunque cosa stia accadendo: “Il treno Intercity Notte 799 da Torino Porta Nuova a Roma Termini viaggia con 740 minuti di ritardo. Ci scusiamo per il disagio”.

Il disagio? DISAGIO??? Hai detto “d-i-s-a-g-i-o”???

12 ore e 10 minuti di ritardo sarebbero un “disagio”? Meno di un foruncolo sul naso, più o meno come una scarpa slacciata, quasi meno di dieci centesimi che ti cadono in un tombino?

“Disagio” si può dire per un ritardo di 8 minuti. Disagio è il bar che ha finito i tovagliolini. Disagio è quando una vibrazione eccessiva fa scivolare il libro che stai leggendo addosso al tuo vicino senza provocare danni seri se non appunto un po’ di disagio.

Una notte al gelo – in campagna o alla Stazione Termini – ma anche semplicemente 60 minuti di ritardo su una percorrenza di 120, un Eurostar con un solo bagno funzionante per tutte le carrozze di prima e di seconda classe (la regola), tutto questo non è un “disagio”. Si tratta di piccole catastrofi quotidiane, di microtragedie, di disservizi intollerabili e danni molto seri: alla vita, al lavoro, all’equilibrio psico-fisico delle persone.

Ingegner Moretti, dia retta. Visto che ai problemi seri pare non riesca a porre rimedio, a questo – che non è meno serio ma certo del tutto alla sua portata – provveda. Subito. Faccia cambiare quell’annuncio. E infligga una bella multa al sadico o allo spiritosone che l’ha concepito. Subito. Non costa nulla. Non migliorerà nulla. Ma, lasciandoci il danno, ci toglierà almeno la beffa. In parole più chiare: ci levi questa colossale presa per il culo.

E, naturalmente, ci scusi per il disagio.

Scritto da Piergiorgio Paterlini / Mariavittoria Orsolato

http://www.pressante.com/politica-e-ordine-mondiale/italia/1591-qscusandoci-per-il-disagioq.html

0 commenti

natale a casa Marrazzo


www.insertosatirico.com

0 commenti

IO HO PAURA



Questo video è dedicato a tutte le persone che hanno perso il lavoro, è la storia di molti di noi in questo momento così cupo per il nostro paese. Migliaia di aziende hanno chiuso nel 2008, altrettante nel 2009 e si prevede che ancora molte saranno quelle che chiuderanno nel 2010. Senza il lavoro una persona non ha nessuna possibilità di sopravvivere, e ancora peggio nessuna possibilità di ragionare. "Se togli il lavoro alle persone gli toglierai il diritto di espressione e il diritto alla vita stessa, ma in cambio otterai l'odio peggiore, quello che non guarderà più in faccia a nessuno, nemmeno al proprio fratello, e di questo dovrai temere. " Marwel Jhons

Fonte: http://www.diciamolatutta.tv/

0 commenti

Energia dal sole: la soluzione finale, una buona idea?

Non c'è niente da fare. Orfani di una eredità gigantesca, che abbiamo dissipato in gozzovigliamenti vari nel giro di una manciata di generazioni, ci continuiamo ad affannare alla ricerca della soluzione UNICA alla crisi energetica che ormai, come il riscaldamento globale, sono in pochi a negare.

Ecco quindi che qualcuno ha preso alla lettera certi calcoli, che mostravano come un quadrato di un paio di centinaia di km di lato nel mezzo del deserto del Sahara sarebbe stato in grado di fornirci tutta l'energia di cui avevamo bisogno ed è partito con un progetto che DAVVERO si propone di fornire una importante percentuale dell'energia elettrica per la vecchia Europa a partire da un gigantesco impianto solare Sahariano. Il Progetto, il suo nome è Desertec è gigantesco e trovarete in questo articolo di Der Spiegel un'ampia presentazione ( in inglese).

Sinceramente, mi perdonerete, non voglio nemmeno entrare nei dettagli.

Non c'è infatti bisogno di concepire un impianto da decine di GW, basterebbe molto meno.

Basterebbe cominciare a studiare le reti affinchè siano in grado di distribuire in modo intelligente l'energia, molto di più di quanto possano fare ora.

Ci vuole tempo impegno e strategia.

Basterebbe pensare ad aumentare i piccoli bacini irrigui, stabilendo degli standard di realizzazione, in mdo da velocizzarne la realizzazione e l'iter autorizzativo, in modo che siano posti in tandem e possano fare da "volano" di produzione elettrica, questo essendo già una cosa competitiva oggi, anche se solo pochi lo sanno.

Il resto lo farà il costo dell'energia, rapidamente crescente, via via che il prezzo del petrolio tornerà a salire e con lui quello del gas e quello del carbone.

Saranno le mille iniziative private che potranno creare quella resilienza, necessaria alla sopravvivenza del sistema, che attualmente i mega impianti non possono dare. Immaginate quel mega impianto nel mezzo del deserto durante un probabile momento di tensione tra Nord e Sud del mondo e capirete che non sarebbe molto sensato concentrare una percentuale cosi grande della produzione di energia elettrica in un unico posto. Meglio, molto meglio, pensare di trasferire la "tecnologia" ( si tratta di un know-how di certo non eccessivamente rivoluzionario che dovremmo poter cedere con una certa serenità)ai paesi interessati ed aiutarli a realizzare una rete che colleghi le sparse comunità, che diverrebbero ciascuna un centro produttivo. Siccome questo è abbastanza evidente anche ad osservatori superficiali ed occasionali come noi, credo che questo ed altri megaprogetti, in ultima analisi siano in perenne caccia agli investimenti, mentre cercano di essere competitivi, in termini di costi con il nucleare e con il gas.

E' una fatica futile a mio avviso. Sarebbe come cercare di dimostrare che esiste un modo piu' comodo di ottenere liquidità che andare in banca a prelevarla dal conto corrente della ricca eredità che lo zio d'amercia ha avuto la bontà di lasciarci.

Le future fonti di approvvigionamento energetiche saranno TUTTE quelle che riusciremo a preseguire e che saranno ancora disponibili fra trenta o quaranta anni a cifre ragionevoli. Petrolio gas carbone E nucleare non lo saranno.

Cosi come è un esercizio futile cercare di portare le ferrovie in pareggio, in qualunque realtà economica, allo stesso modo è futile pretendere un pareggio economico brutale tra energie rinnovabili e non rinnovabili.

Per il semplice motivo che, ad esempio, nel conto di queste ultime andrebbero messe le guerre, i disastri ecologici, i cambiamenti climatici, senza contare lo sviluppo e l'estendersi del nostro nefasto stile di vita a tutto l'orbe terraqueo.

Non servono i mega progetti. Specialmente se il loro unico vero scopo è quello di dimostrarne la competitività economica a tutti i costi.

Serve la consapevolezza della posta in gioco, diffusa ad ogni livello. A quel punto i progetti e le cose da fare, ad ogni possibile e concepibile livello, non mancheranno.

Pietro Cambi

http://crisis.blogosfere.it/

0 commenti

Sulla crisi una lezione dagli immigrati

Nessuno sa se la crisi è davvero finita, né quando l’economia mondiale tornerà a correre, né se capiterà ancora di sperimentare lunghi periodi di crescita. Quel che invece si può già tentare è un primo bilancio della crisi in Italia, a oltre due anni dal suo inizio oltreoceano, quando scoppiò la bolla dei mutui immobiliari americani (agosto 2007).
Sull’impatto della crisi circola da tempo una diagnosi - accreditata da diverse e autorevoli istituzioni, dalla Chiesa alla Banca d’Italia - secondo cui la crisi avrebbe colpito soprattutto i deboli. Ma è davvero così?

Molti elementi fanno pensare il contrario. Il primo impatto della crisi, si ricorderà, fu di tipo finanziario, con il crollo dei titoli azionari: questo meccanismo colpì innanzitutto i ceti superiori, ben più esposti a questo genere di rischi di quanto lo siano i piccoli e medi risparmiatori. Poi, poco per volta, la crisi si estese all’economia reale, in alcuni casi distruggendo posti di lavoro, in altri casi congelandoli attraverso la messa in cassa integrazione di operai e impiegati. Ma quali furono i gruppi sociali maggiormente colpiti? I cittadini del Mezzogiorno o quelli del Nord? I lavoratori dipendenti o quelli indipendenti? Gli stranieri o gli italiani?

Qui i dati riservano diverse sorprese. Secondo la serie storica dell’Isae le famiglie in difficoltà, quelle che «non arrivano a fine mese», sono da sempre più numerose al Sud che nel Nord, ma durante la crisi sono aumentate più al Nord che al Sud, con conseguente riduzione del divario. La crisi sembra dunque aver ridotto le diseguaglianze territoriali, probabilmente anche grazie alla social card, il cui meccanismo di accesso non tiene conto del costo della vita, molto minore nelle regioni meridionali: e infatti il Sud, con il 45% dei poveri, ha ottenuto il 70% delle social card.

Ancora più sorprendenti i dati dell’occupazione. In due anni, ossia fra l’estate del 2007 e quella del 2009, l’occupazione totale è diminuita di 407 mila unità, ma le vittime di questo calo non sono stati i gruppi sociali considerati più deboli, bensì quelli più forti.
Per operai e impiegati i nuovi posti di lavoro hanno sostanzialmente eguagliato i posti di lavoro perduti (il saldo è negativo per sole 5 mila unità). Per i lavoratori indipendenti, invece, le chiusure di attività hanno largamente superato le aperture, con un saldo negativo di 402 mila unità. Una parte di queste chiusure è costituita da contratti di lavoro parasubordinato non rinnovati, ma la parte preponderante è dovuta alle difficoltà finanziarie delle partite Iva, strangolate dalle restrizioni creditizie e dai ritardi nei pagamenti, a partire da quelli della Pubblica amministrazione.

Quanto alla nazionalità dei lavoratori coinvolti nella crisi, i dati Istat ci riservano l’ultima sorpresa: gli oltre 400 mila posti di lavoro perduti sono il saldo fra un crollo per gli italiani (quasi 800 mila posti di lavoro in meno) e un sensibile aumento per gli stranieri regolari (quasi 400 mila posti di lavoro in più). Insomma, comunque lo si rigiri, il prisma della crisi mostra invariabilmente la debolezza dei gruppi sociali forti: i ricchi possessori di attività finanziarie, il Nord, le partite Iva, gli italiani se la sono cavata peggio dei piccoli risparmiatori, del Sud, dei lavoratori dipendenti, degli stranieri. A due anni della crisi siamo mediamente più poveri, ma c’è meno disuguaglianza. Un esito che contrasta con la retorica della crisi («la crisi colpisce soprattutto i deboli»), ma non con ciò che si sa del funzionamento dei sistemi sociali di mercato, in cui è del tutto normale che la crescita amplifichi gli squilibri e la crisi li attenui.

Quello che invece non è scontato, e merita forse una riflessione, è la divaricazione fra i destini degli italiani e quelli degli stranieri. Perché la crisi colpisce di più gli italiani?
Le ragioni possono essere tante, ma quella di fondo mi sembra questa: il nostro sistema economico riesce a creare quasi esclusivamente posti di lavoro poco appetibili, che gli italiani rifiutano e gli stranieri accettano. E tuttavia, attenzione, questo non avviene perché gli italiani siano troppo istruiti bensì, semmai, per la ragione opposta. La nostra forza lavoro ha un livello medio di preparazione bassissimo: abbiamo la metà dei laureati rispetto agli altri Paesi sviluppati, e i nostri studenti medi fanno una pessima figura nei confronti internazionali (vedi i risultati dei test Pisa). Se i nuovi posti di lavoro creati fossero davvero di qualità, probabilmente mancherebbero tecnici, ingegneri, bravi insegnanti, e così via. E infatti i nuovi posti sono spesso di livello modesto, e finiscono per essere accettati soltanto dagli stranieri. Non per la ragione che molti immaginano, però, ossia a causa della bassa qualificazione degli stranieri. Il livello di istruzione degli stranieri è analogo a quello degli italiani (10,2 anni di studio contro 10,9). La differenza è che «loro» vivono in un altro tempo, che noi abbiamo dimenticato. Un tempo in cui l’importante era avere un lavoro, non importa quanto adeguato alla nostra immagine di noi stessi, un tempo in cui fare sacrifici era normale, un tempo in cui il benessere non era considerato un diritto.

In questo senso gli stranieri, con i loro 400 mila nuovi posti di lavoro conquistati nel bel mezzo della crisi, ci stanno impartendo una meritata lezione. Una lezione su cui, a conclusione di questo drammatico 2009, varrebbe forse la pena riflettere.

Luca Ricolfi
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=6785&ID_sezione=&sezione=

0 commenti

Il Pd mi fa godere (ma anche no)

di Andrea Scanzi

Sono affascinato, ragazzi. No, non dalle autoreggenti della Brambilla, per quanto io e Gigi (è così che chiamo Amicone) sogniamo California quando le guardiamo.

Sono affascinato dal Pd. Più ancora, da quelli che hanno scoperto solo adesso cosa sia il Partito Democratico. Benvenuti sul Pianeta Terra, cari (cari, cit) polli di allevamento.

La prodigiosa lentezza mentale di certi soloni è per me, da sempre, fonte di giubilo. L’hanno capito ieri, i cantori della sinistra riformista, in data 19 dicembre 2009, chi siano (veramente) D’Alema, Bersani e i massimalisti dell’inciucio. Wow, che velocità, che prontezza di riflessi, che guittezza. Neanche Gabor Talmacsi nella MotoGp uno scatto così. Bravi, cari (cari, cit) polli di allevamento. Alla fine ci siete arrivati anche voi. E’ già qualcosa.

Quando vi siete svegliati del tutto, tra un greatest hits della Mannoia, un miserere di Jovanotti e un’omelia di quel mattacchione di Scalfari, fatemi un fischio.

Il fatto, però, è che – una volta scoperta the dark side of the Baffetto (che poi there’s no dark side of Baffetto really, matter of fact it’s all dark, cit) – adesso avvertite il desiderio di abbandonare la zattera che affonda. Quella zattera affonda dal giorno in cui incollarono i tronchi con la Coccoina, ma ognuno ha i suoi tempi.

E così vi sentiti delusi, ingenui, traditi. Derisi e disgregati. Da qui la voglia (inaccettabile) di emigrare altrove.

Non sia mai, compagni: il Pd è ancora un luogo meraviglioso. Per almeno 14 motivi – e dico 14 perché mi sono un po’ rotto le palle di questa cosa del dieci.

Vado a elencarli, con la dovizia di sempre. Ecco 14 motivi per cui sarà bello morire piddini. Ecco perché il Pd mi fa godere (ma anche no).

  • Militando nel Pd non hai l’obbligo di dire cose intelligenti. Non hai neanche l’obbligo di dire cose. Più che altro, militando nel Pd non hai proprio l’obbligo. Non hai. E basta.

  • Il risotto mantecato di D’Alema è tuttora meraviglioso, e – se hai un po’ di fortuna – a tavola potrai trovare anche Vissani, Violante e i pizzini autografi di Latorre. Daje.

  • Nel Pd uno come Jovanotti è derubricato alla voce intellettuale. Questo, a una prima analisi, suona frustrante. Ma a una seconda, no: se Jovanotti è un intellettuale, c’è speranza per tutti.

  • Il Pd è una panacea placida e assonnata. Rassicurante. Per aderire al progetto, basta non prendere mai posizione (se non sbagliata). E quando qualcuno – i soliti cacadubbi giustizialisti – vi farà notare che così fate il gioco di Berlusconi, potrete sempre rispondergli – citando l’Enciclica Proraso di Polito o il Vangelo secondo Macaluso – che “noi siamo per il dialogo”, “noi siamo per la democrazia”. “Noi siamo buoni”. Hasta Bicamerale Siempre.

  • Il Pd era il partito perfetto di Rutelli.

  • Il Pd è il partito perfetto della Binetti.

  • La linea politica del Pd è l’impalpabile. Però ammantato di sicumera (altrimenti poi non fai pendant con Nanni Moretti).

  • Il Pd è l’acqua calda che tarda a uscire dal rubinetto (cit). Non un difetto, bensì l’ulteriore stimmate della vostra santità democratica. Perché voi sietre puri e casti: come l’acqua (appunto). Mentre gli altri sanno solo criticare; dicono solo no: e voi lo sapete, che così non si risolve nulla. Voi siete per costruire, mica (solo) per distruggere. Ebbene, cari (cari, cit) polli di allevamento, rampognate costoro – i disfattisti – con parole di fuoco, battezzandoli - all’acme dell’invettiva – con un epidittico (?): “Andate a sculacciare i billi con quell’analfabeta di Di Pietro e quel terrorista mediatico di Tartag… ah ehm Travaglio”.

  • Il Pd gode di buona stampa. E ancor più buoni salotti. Se sei triste, puoi farti invitare dalla Dandini. Se sei ancora più triste, puoi farti invitare da Fazio. Se sei ancora ancora più triste, puoi comunque ridere a caso per una battuta della Littizzetto. Ognuno ha le amache (cit) che si merita.

  • Solo dentro il Pd puoi provare l’ebbrezza che dà il rimpianto per Veltroni. Non è nostalgia, non è passatismo: è canna del gas. Lisergico spinto. Meglio del peyote.

  • Il Pd è così vecchio che chiunque abbia meno di 87 anni (età cerebrale) sembra gggiovane.

  • Il Pd è un Vic 20 in attesa di formattazione, così lento all’avvio che qualsiasi file chiamato Serracchiani pare l’ultima versione di Adobe Photoshop.

  • Il Pd è così tardo che in confronto Debra Morgan è una guitta.

  • Il Pdmenoelle è la polizza per la vita di Silvio Berlusconi e del berlusconismo.

Vamos.

E ora andiamo tutti a chiedere l’amicizia a Massimo D’Alema, sempre ammesso che sappia cosa sia Facebook (voi lo sapete: un covo di brigatisti).

http://scanzi-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2009/12/20/il-pd-mi-fa-godere-ma-anche-no/

0 commenti

Chi ha abusato dell'espressione "Campagna d'odio"? Mussolini, Hitler, Bin Laden, il KKK, Berlusconi

Non sono trascorsi molti giorni da quando ho pubblicato sul Tafanus, nello stesso giorno, due posts sul "Partito dell'Odio" contrapposto al "Partito dell'Amore". Era il 16 dicembre. Chi volesse rinfrescarsi la memoria può farlo:

-1) [Il "Partito dell'Amore", e il "mandante morale" dell'odio di rimessa]

-2) [Il repertorio degli insulti del "Popolo dell'Amore"]

Ora, sull'ultimo numero del "Venerdì" di Repubblica, mi viene in soccorso la memoria storica di Curzio Maltese, che mi ricorda chi - oltre all'attuale leader del "Partito dell'Amore", ha usato, nel corso degli ultimi 80 anni, l'espressione "campagna d'odio". Gli esempi riportati da Curzio Maltese non sono, purtroppo, molto edificanti. Ecco un estratto dall'articolo di Curzio Maltese:


"E' in atto una campagna d'odio contro di me, il fascismo e l'Italia»
(Benito Mussolini, discorso al Senato, 1932).

«Gli ebrei alimentano una campagna di odio internazionale contro il governo. Gli ebrei di tutto il mondo sappiano: questo governo non è sospeso nel vuoto, ma rappresenta il popolo tedesco. Chi lo attacca, offende la Germania»
(Adolf Hitler, programma nazionalsocialista, 1933).

Ho cominciato dalle citazioni per ricordare chi sono i due inventori della più fortunata formula del moderno vittimismo politico: «campagna di odio». In tempi più recenti, i razzisti degli Stati del Sud accusarono Martin Luther King di aver lanciato «una campagna d'odio contro i bianchi».

Osama bin Laden parla nei suoi messaggi della «campagna d'odio dell'Occidente contro l'Islam». Tutto questo per spiegare perché rabbrividisco ogni volta che sento l'espressione «campagna d'odio» in bocca a un politico. Non verrebbe mai in mente a una persona pacifica. Neppure in presenza di una vera campagna d'odio nei suoi confronti.

Martin Luther King per esempio non l'ha mai usata. La ragione è ovvia. Chi si sente non oggetto di una critica legittima, ma vittima di un'ondata di odio che minaccia la sua stessa vita, si autorizza immediatamente a qualsiasi rappresaglia. Per molti giorni, una campagna mediatica ha diffuso la demenziale equazione fra la critica politica e giornalistica al premier e l'aggressione di piazza del Duomo. Quasi che Pier Luigi Bersani o Repubblica fossero i mandanti di Massimo Tartaglia. Ora, fra l'uomo disturbato che ha aggredito Berlusconi e l'opposizione politica al premier - è ridicolo ma necessario precisarlo - non esiste alcuna relazione. Mentre ne esiste una strettissima, da mandante a esecutore, fra Silvio Berlusconi e Vittorio Feltri, uno che distrugge la vita delle persone, come nel caso Boffo, e dopo tre mesi dice che si trattava solo dí fesserie.

Sembra Johnny Stecchino: «D'accordo, gli ho ammazzato la moglie, ma poi gli ho chiesto scusa...». Questo a proposito del clima d'odio e di violenza. Eppure il Corriere della Sera o il TgUno non hanno dedicato una riga di commento a denunciare i responsabili della barbarie che avanza. Guarda caso. Chiunque svolga un'attività pubblica sa per esperienza personale che purtroppo il mondo è pieno di spostati. Questa era l'unica morale che si poteva onestamente trarre dall'episodio di Milano. Il resto è infamia.
(da Curzio Maltese - Venerdì di Repubblica)

Alla vigilia di Natale, con la faccia ancora mezza rotta, ha purtroppo ricominciato con la menata della "Campagna d'Odio". Inarrestabile. Ho il sospetto che le ferite riportate "nell'attentato" non fossero poi così gravi, se ha già ritrovato la forza di azzannare un microfono, e di ricominciare a sparare minchiate (o forse era il ventriloquo Cicchitto, compagno di P2?) Ecco il testo della breve performance:

Roma, 24 dic. "Tutti gli indicatori economici sono positivi", anche per questo "le fabbriche del disfattismo devono smetterla di produrre un'atmosfera di odio e pessimismo". Cosi' Silvio Berlusconi nel collegamento telefonico da Arcore con lo speciale di 'Radio Anch'io' in diretta dall'Aquila
.

...ElleKappa, mi vuoi sposare?...

ULTIMO MINUTO: Il TgUno di Mingiolini ha intervistato Silvio sull'attentato al Natzinger. Ovviamente Silvio ha detto che questa è una prova ulteriore dell'esistenza di una "Fabbrica dell'Odio". A quando la istituzione di veri e propri "Masters dell'Odio" post-laurea?

http://iltafano.typepad.com/il_tafano/2009/12/chi-ha-usato-dellespressione-campagna-dodio-mussolini-hitler-bin-laden-il-kkk-berlusconi-.html

0 commenti

L’aggressione a Berlusconi è una montatura? C’è altro di cui chiedere conto.


Per chi avesse del tempo da perdere, queste sono le migliori risposte che ho trovato in rete a favore e contro l’ipotesi della montatura.

Per chi non ce l’avesse, consiglio di investire qualche minuto per chiedere conto (è il caso di dirlo) al ministro Brunetta di questa notizia, passata stranamente inosservata:

Che ne dice ministro, vogliamo usare internet anche per fare le telefonate e mandare la posta, oltre che per far circolare i certificati medici?

In conclusione, un appunto: se fossi di sinistra perderei meno tempo a scambiare lucciole per lanterne, e più a criticare gli obbrobri della “Casta”, che si mangia giornalmente in francobolli quello che un laureato rischia di percepire in due-tre mesi di lavoro. Invece, in questo caso, l’articolo è de Il Giornale (ed è stato ripreso, che io sappia, solo dal Foglio).

E’ proprio vero che, almeno a volte, serve.

http://ilnichilista.wordpress.com/2009/12/21/laggressione-a-berlusconi-e-una-montatura-ce-altro/

3 commenti

auguri

Tanti auguri!

Cambiano i tempi, Babbo Natale era troppo buono, troppo barbone, senza lifting ne' tinture, troppo rosso... insomma di questi tempi di regime mediatico e mediocre, meglio un Papi Natale giovanile, botulinizzato, nero con poco trucco, pieno di gnocche analfabetizzate che distribuiscono regali e di fidi gnomi malefici come Bondolo, Sallustiolo, Belpietrolo, Feltriolo, Lupachiottolo che tirano avanti la slitta.
Lo avete voluto, Buon Medianatale, italiani!

www.insertosatirico.com

0 commenti

BUON NATALE GENTE!!


E mi raccomando, almeno oggi, fate uno sforzo per essere un pò più buoni,
perchè ricordate,
"fatti non foste per vivere come bruti, ma per seguire virtute e canoscenza"!

0 commenti

Nucleare: arriva una maxi stangata per gli italiani

“Ma da dove arriveranno queste montagne di soldi? Sarà una donazione di qualche nababbo o soldi di un benefattore? L'eredità di uno zio d'America o un regalo di Babbo Natale? Il governo finalmente scopre le carte e svela la maxi stangata causata dal ritorno dell'atomo in Italia: a pagare sarà come sempre Pantalone, con buona pace dell'alleggerimento delle bollette elettriche sbandierato nell'ultimo anno e mezzo dal Governo”.

E' questo il commento sarcastico di Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente al decreto legislativo sul nucleare previsto dalla Legge Sviluppo, approvato ieri in Consiglio dei ministri che prevede decine di milioni di euro di rimborso per i territori che ospiteranno le centrali nucleari e sgravi fiscali per comuni, imprese e cittadini che vivono nei pressi degli impianti atomici.

“Il governo deve smetterla con la propaganda sui benefici economici, ambientali ed energetici che garantirebbe il progetto di nuove centrali nucleari, dal quale la stessa cancelliera tedesca Angela Merkel si tiene ben lontana” - continua Ciafani -. “Spendendo non meno di 50 miliardi di euro per produrre il 25% dell'elettricità, distoglieremmo tutte le attenzioni e le risorse economiche che potrebbero essere investite subito nella green economy dell’efficienza energetica e delle rinnovabili. Sono queste le uniche soluzioni efficaci e già disponibili per rispettare la scadenza europea del 2020 prevista dal pacchetto energia e clima, ridurre davvero la bolletta e la dipendenza dall'estero e per diversificare le fonti energetiche”.

"Il governo fermi questo progetto, utile per pochi e inutile per la collettività” - conclude Ciafani – “che scatenerebbe inevitabili conflitti istituzionali e sociali già visti, non solo negli anni ‘70 e ‘80, ma anche poco tempo fa a Scansano Jonico per realizzare il deposito geologico dei rifiuti radioattivi, e che né i rimborsi milionari né l'uso dell’esercito eviterebbero”.