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Il taglio dell’Ici: Robin Hood ha dato ai ricchi e tolto ai poveri

di Pietro Salvato

Fu uno degli “spot” più efficaci della campagna elettorale del centrodestra: il taglio dell’imposta sulla prima casa. Abbiamo fatto i conti per capire chi ci ha guadagnato e chi ci ha perso ed abbiamo scoperto che…

Ancora sabato, davanti alla platea di Confindustria a Parma, Silvio Berlusconi si è pubblicamente vantato, per l’ennesima volta, del taglio dell’Ici, l’imposta comunale sugli immobili. In realtà, quella tassa era stata già tolta (e coperta) dal precedente governo Prodi, il quale l’aveva abolita per tutte le “prime case” con imposta comunale inferiore ai 300-350 euro, ossia più del 60% dei contribuenti, a cominciare da quelli con redditi medio-bassi. A distanza di diversi mesi (fu uno dei primi atti del governo Berlusconi) abbiamo deciso di verificare quali sono stati gli effetti sulla finanza pubblica, a cominciare da quella dei comuni, e quello nelle “tasche” degli stessi contribuenti italiani.

CHI CI HA GUADAGNATO E CHI CI HA PERSO? - La perdita del gettito Ici sulla prima casa è stato stimata intorno ai 2 miliardi di euro. I contribuenti che hanno tratto beneficio dall’estensione del taglio dell’Ici a tutte le abitazioni, così come voluto dal governo Berlusconi, sono stati quelli più abbienti, poiché la misura si è dimostrata tanto più rilevante quanto maggiore è il valore della loro abitazione. Tutti gli altri, più del 60% dei contribuenti, viceversa non hanno avuto alcun beneficio. Si tratta, come detto, dei proprietari d’immobili con un valore catastale gravato da un’imposta inferiore a 300-350 euro e soprattutto dei numerosi contribuenti che, non avendo un’abitazione di proprietà, vivono in una casa in affitto come, in particolare, la gran parte delle generazioni più giovani. In sostanza, questi esclusi, appartengano per lo più alle fasce di reddito più basse, vale a dire quei redditi che nell’attuale fase di crisi economica risultano i più colpite e, di conseguenza, appaiono anche quelli più bisognosi d’assistenza e sostegno a causa dell’erosione crescente, aggravatasi proprio negli ultimi mesi, del potere d’acquisto delle famiglie.

MENO SOLDI NELLE CASSE DELLO STATO - Come detto, il taglio di questa imposta ha determinato un calo del gettito di ben 2 miliardi di euro all’anno, che ha gravato innanzitutto sugli stessi bilanci delle amministrazioni comunali. Il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti alias “Robin Hood”, si era impegnato a compensare i Comuni di tale perdita. A distanza di diversi mesi da quell’operazione, la compensazione agli enti locali non è arrivata, se non solo parzialmente. Certo, in mezzo c’è stata la “grande crisi” eppure, a conti fatti, i Comuni hanno visto diminuire ampiamente le loro entrate. Inoltre, il cosiddetto “Patto di stabilità interno” ha ulteriormente aggravato la situazione tanto che, appena pochi giorni fa, numerosi sindaci di centrodestra e di centrosinistra del Nord Italia, sono scesi in piazza a protestare, togliendosi simbolicamente la “fascia tricolore”, contro i tagli praticati dal governo.

IL BUCO DI BILANCIO E LE SUE IMPLICAZIONI - Il taglio dell’Ici, così come operato dal governo Berlusconi, ha avuto due gravi implicazioni. La prima, la più lampante, è stata l’aumento di spesa corrente che ha dovuto accollarsi il bilancio erariale. La spesa pubblica, come abbiamo già ricordato, con questo governo è letteralmente esplosa. Si è mangiato, in sostanza, metà del nostro Pil. Allo stesso tempo, complice certamente la crisi economica e “l’immancabile” evasione fiscale, favorita peraltro dallo stesso governo e dai suoi vari scudi e

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 e tolto ai poveri 

condoni, le entrate fiscali, sono nettamente calate. La seconda implicazione, quella meno appariscente, ma forse anche quella più drastica, invece è consistita nell’abbattimento della principale fonte di finanziamento autonomo delle amministrazioni comunali. Infatti, dei circa 8 miliardi di gettito Ici su base nazionale, oggi ne restano a disposizione degli enti locali poco più di 4, dovuti per lo più alle seconde case e agli immobili destinati ad altra destinazione. In pratica, è stata tagliata la principale fonte autonoma di finanziamento ai Comuni. Non male per chi si riempie la bocca di federalismo e decentramento.
LE CONSEGUENZE DI QUEL TAGLIO - Abolire completamente l’Ici sulle abitazioni ha perciò escluso ogni possibilità d’impiegare quei 2 miliardi a favore di tutti i redditi da lavoro, con particolare attenzione alle fasce di reddito più bisognose di sostegno in questa fase di grave crisi. Tanto è vero che per coprire l’aumento del ricorso alla Cassa integrazione, il governo si è appropriato degli stessi fondi destinati alle aree sottosviluppate (i famigerati Fas), questi ultimi peraltro di pertinenza regionale. Le risorse finanziarie necessarie alla copertura dell’eliminazione dell’Ici avrebbero consentito, per esempio, d’innalzare la detrazione fiscale per i redditi da lavoro più bassi, oppure si sarebbe potuto prevedere un intervento per stimolare l’occupazione, specie quella giovanile e femminile. In particolare, metà delle risorse previste a copertura dell’Ici potevano essere utilizzate per aumentare in misura molto significativa le detrazioni fiscali alle mamme lavoratrici e la restante metà per finanziare la costruzione di migliaia di asili nido. Oppure, ancora, ricordo a solo titolo di cronaca, che fu avanzata una proposta contraria al taglio per i redditi più alti, la quale prevedeva che se i 2 miliardi di euro necessari ad abolire completamente l’Ici sulla prima casa fossero stati destinati all’innalzamento delle detrazioni fiscali per i redditi da pensione fino a 55.000 euro all’anno, il potere d’acquisto dei pensionati sarebbe cresciuto di circa 400 euro all’anno. In sostanza, quindi, l’estensione dell’esenzione Ici alla totalità delle abitazioni, ha certamente aumentato il reddito dei proprietari degli immobili di maggior valore – tanto più lo ha incrementato quanto più alto è il valore della loro abitazione - ma ha notevolmente ridotto l’autonomia finanziaria degli enti locali e, allo stesso tempo, impedito che quegli stessi fondi fossero utilizzati a favore dei redditi da lavoro e da pensione più bassi che oggi, con più difficoltà, stanno attraversando la grave crisi in cui versa il nostro paese.


dal sito www.giornalettismo.com

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