La Grecia che muore di debito
della redazione de Il Fatto Quotidiano
La Merkel dopo le richieste di Papandreou: "Troppe speculazioni"
"È come fermare una pallottola con la carta igienica” la celebre frase  di Alain Delon nel film Airport 80 si applica  perfettamente al tentativo fatto dal presidente greco Papandreou  di rassicurare gli investitori internazionali annunciando che avrebbe  attinto ai fondi stanziati da Fmi e Unione europea. Ma questo  non cambierà il destino della Grecia che sarà, prima o poi, costretta ad  una ristrutturazione del debito trascinando con sé il Portogallo. Sono  le prime vittime di un establishment europeo che ha consolidato il  potere e la leadership aumentando costantemente i debiti, senza  nessun disegno di futuro. La spinta economica e la coesione sociale  dell’Europa degli ultimi 10 anni sono state costruite sulle fondamenta  d’argilla di un debito crescente delle nazioni.
IL DEBITO. Il debito privato consentiva a Gran Bretagna  e Spagna di creare la propria bolla immobiliare gonfiata da mutui  concessi con troppa generosità a generazioni che non avevano mai visto  una vera crisi economica. Il debito pubblico permetteva a nazioni come  Italia, Portogallo e Grecia di mantenere artificialmente alto il proprio  tenore di vita attenuando le tensioni e l’insofferenza sociale con  generose elargizioni camuffate da "investimenti indispensabili",  "incentivi al consumo" e semplice spreco di denaro pubblico. In queste  bolle parallele è cresciuto un nuovo establishment economico e  politico che ha gestito l’erogazione del debito e l’indirizzo della  spesa.
Un fiume di denaro che si è riversato, ad esempio, sulla sanità  pubblico/privata consentendo ascese economiche formidabili a piccoli  imprenditori che si ritrovano ora proprietari o azionisti dei più  importanti giornali. Si è riversato nel mercato immobiliare costruendo  fortune fulminee con il generoso finanziamento di banche compiacenti che  a sua volta dovevano essere scalate dagli stessi personaggi che avevano  finanziato. Si è riversato su banchieri che entravano e uscivano dai  centri di potere più importanti ministeri del Tesoro e Banche centrali  con un continuo balletto di poltrone fra gli stessi nomi, le stesse  cordate e gli stessi interessi che controllavano, e controllano, la  finanza europea. L’establishment della bolla è cresciuto, ha  acquisito un crescente consenso creando il pensiero unico del profitto a  tutti i costi e ha lucrato miliardi di euro e potere infinito. Gli  scontri fra esponenti dell’establishment non sono mai stati  all’ultimo sangue allo sconfitto (in politica come in finanza) si  lasciava sempre una via d’uscita onorevole o ben remunerata perché il  gioco potesse continuare senza nessuno che rovesciasse il tavolo. Il  gioco non era interrompere la spirale debito-spesa-debito ma governarne  il flusso, avere alternativamente le leve di comando per consolidare il  proprio status all’interno dell’establishment.
LA CRISI. Quando la crisi del debito si è manifestata  nel 2008 politici e banchieri non hanno pensato neanche per un momento  di fare un discorso onesto alle proprie nazioni, nessuno ha detto che  almeno per un quindicennio il mondo occidentale aveva vissuto al di  sopra delle proprie possibilità e che avevamo di fronte anni di crisi  economica. Si è preferito aumentare ancora di più il debito stampando  nuovo denaro: in due anni la base monetaria europea è aumentata del 35  per cento e quella americana del 120 per cento, il debito pubblico delle  nazioni è esploso e nel 2011 in quasi tutte arriverà a più del 100 per  cento del Pil. È come tentare di disintossicarsi dalla droga  assumendo dosi crescenti, la sensazione è di momentaneo benessere ma il  paziente prima o poi muore. E la Grecia è morta, debito su debito, e per  uscire dalla crisi pretende di aumentare ancora il debito con un  prestito ad alti tassi concesso dall’Europa. L’establishment della  bolla aveva proposto al mercato la solita cura: debito che finanzia  debito finanziato dal debito dei paesi membri dell’Unione europea. Il  mercato non ci ha creduto, ha chiesto garanzie reali, impegni precisi a  intervenire con iniezioni di capitale disinteressate, come farebbe un  governo con un suo ente locale, ma l’establishment cresciuto  insieme nella bolla questa volta si è diviso.
L’EUROPA. I tedeschi hanno capito il pericolo di dover  diventare il sovvenzionatore dell’Europa e hanno scaricato gli altri per  non dover affrontare un’opinione pubblica sempre più infuriata dal  tenore di vita irrealistico dei Paesi vicini. Il resto del gotha  finanziario europeo è ora in preda ad una crisi di panico, non sa più  cosa fare e cosa dire perché sa bene che la seconda bolla, quella creata  dal 2008, si sta avvicinando pericolosamente all’esplosione. La Banca  centrale europea è praticamente scomparsa nelle ultime ore di mercato di  questa settimana, il presidente del Financial Stability Board non  ha detto una parola sul pericolo di contaminazione di un collasso  finanziario di Grecia e Portogallo, attendono tutti un colpo di fortuna  qualcosa che faccia cambiare idea ai mercati o ai colleghi  dell’establishment tedesco.
Speranza alimentata dalle dichiarazioni della Merkel:  "Interverremo solo se serve a salvare l’euro". Troppo poco e troppo  tardi di fronte a un mercato che chiede soldi subito. Il ministro delle  Finanze italiano chiede di "non lasciar bruciare la casa del vicino per  evitare che prenda fuoco la propria", non ha però commentato le  previsioni di crescita dell’Italia per gli anni 2011 e 2012 rilasciate  dal Fondo monetario internazionale: 1,2 per cento contro il 2 per cento  delle stime del governo. Questo richiederebbe una manovra da 72 miliardi  di euro in tre anni per centrare gli obiettivi che abbiamo comunicato  agli investitori. Un bel dilemma per un professore universitario di  Sondrio mal tollerato dall’establishment: dire la verità  smascherando il gioco o sfidare la sorte aumentando ancora il debito?
dal sito http://antefatto.ilcannocchiale.it


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