La battaglia di quota 162
di Carlo Bertani
Qualcuno si sarà stupito della veemente reazione di Gianfranco Fini nei  confronti di Silvio Berlusconi, scontro che avviene l’indomani di un  successo elettorale.
Per comprendere quella che appare quasi  un’anomalia, dobbiamo prima valutare due scenari: la mutazione  sociologica della realtà italiana da un lato, il cambiamento della  percezione, in politica, della prassi utilizzata per raggiungere gli  obiettivi.
E’ difficile, inoltre, separare completamente i due  aspetti poiché interdipendenti e dialettici.
Un primo aiuto  giunge da due lunghi articoli che scrissi circa un anno fa: “Non può che  finire così” prima[1] parte e seconda[2] parte (collegamenti in nota). Riassumo  brevemente:
Analizzate le cause del lungo declino italiano  (privatizzazione della Banca d’Italia, Euro, dismissione del patrimonio  industriale pubblico e dei servizi pubblici, deriva “autoritaria” in  politica, legge elettorale, ecc) giunsi alla conclusione che il “sistema  Italia” non poteva più reggere molto. Non trovando più soluzione sul  piano politico generale – poiché implicherebbero, al minimo, la completa  sostituzione della classe politica – essa viene individuata “salvando”  la parte più produttiva del Paese ed abbandonando alla “elemosina  europea” il resto. Questa, ripeto, è solo una brevissima sintesi:  invito, prima d’inoltrarsi a disquisire sul breve quadro esposto, a  leggere quegli articoli.
L’unica “novità” era rappresentata  dall’affermarsi, al Nord, di un sempre più forte sentimento autonomista,  rappresentato politicamente dalla Lega Nord. Tralasciando le vie che  potranno (o potrebbero) condurre ad una secessione (poiché le secessioni  sono generate dal mutare dei rapporti politici: la loro definizione  “sul campo” è mera prassi del momento), notiamo che tale processo – dopo  le elezioni regionali del 2010 – si è manifestato più nitidamente.
Un  ministro leghista (Calderoli) che sale al Quirinale con una proposta di  legge costituzionale già pronta, presentata in un semplice cenacolo  privato, la dice lunga sul punto al quale il processo è giunto.
Lo  scontro – apparentemente – sembra vertere solamente su questioni di voti  e di maggioranze, mentre sono i processi politici che sottendono gli  effetti che devono essere soppesati.
Gianfranco Fini riteneva,  quando aderì al PdL, d’esser lui il Delfino; invece, si trovò nella  parte di Bertinotti della scorsa legislatura: onorato, ma completamente  isolato.
Al momento non sappiamo se Fini porterà a compimento il suo  intento, ma riteniamo molto difficile che riesca a sottrarsi, ancora una  volta, alle decisioni che lo attendono.
In sintesi, le decisioni di  Fini lo confinano in due scenari, entrambi riconducibili alla vicenda di  Bertinotti: a quello del 1998 oppure al secondo, del 2006.
Nel primo  caso – gettando la spada nell’agone politico – Bertinotti riuscì a  salvare il suo partito mentre nel secondo, la fine anticipata della  legislatura ma anche le mutate condizioni politiche, lo condussero  all’estinzione. Vorremmo essere una mosca, per conoscere qualche  riflessione a voce alta di Fini, ma riteniamo che la “parabola” del  leader comunista abbia attraversato più volte i suoi pensieri.
Continuare  nella pantomima di un PdL “partito vero” condurrà Fini direttamente ad  occupare, negli anni futuri, poltrone di una certa importanza (col  rischio, però, di fare la fine di Pera o di Pisanu) ma lo sottrarrà  completamente all’agone politico.
Formare un gruppo parlamentare  interno al PdL – di fatto, un suo partito – in qualche modo gli  restituisce margini di manovra che, col trascorrere del tempo,  Berlusconi gli sottrarrebbe inesorabilmente.
Le lamentele di oggi  sono figlie di quelle di ieri, quando AN s’accorse che, nel Nord, il  consenso guadagnato con la “svolta di Fiuggi” era inesorabilmente eroso  dalla Lega: alcuni coordinatori locali di AN – già alle elezioni  regionali del 2005 – si lamentavano “che il partito, nel Nord-Est, stava  sparendo”.
Da qui – oggi – riparte la vocazione “sudista” del  partito di Fini: non a caso, una delle lamentazioni più calcate,  riguarda proprio la situazione siciliana e del Sud in genere, unici  luoghi dove Fini può ancora trovare consensi che non siano “oscurati”  dall’espansione berlusconiana.
Per capire le sottili  discriminazioni che sono state fatte nei confronti del potenziale  elettorato di Fini, prendiamo come esempio un modesto emendamento alla  Finanziaria che fu presentato da un “ex AN” sulla scuola.
Il sen.  Valditara – vista l’assurda situazione che vede nella scuola italiana il  55% dei docenti con un’età superiore ai 50 anni (la media europea è del  30% di over 50) – si proponeva di “svecchiare” un poco il corpo docente  pensionando i circa 60enni anche nel caso non avessero raggiunto i  requisiti. Insomma, la sua proposta[3] “regalava” due anni di contributi figurativi. I  costi? Irrisori (42 milioni in tre anni, meno di 15 milioni l’anno) ma,  la commissione Bilancio, lo bocciò. Perché?
Non si trattava certo di  questioni di bilancio: le vicende legate a Bertolaso ed all’allegra  compagna di costruttori “gaudenti” che lo circondavano, ha mostrato ben  altri livelli di spesa. Solo le spese di Palazzo Chigi sono aumentate,  in due anni, di circa 1,5 miliardi di euro: non si tratta, quindi, di  quei quattro soldi.
Insomma, il problema non è valutare la proposta  di Valditara o i finanziamenti a Bertolaso, bensì di capire chi quei  soldi avvantaggiavano.
Nel primo caso docenti (e la qualità della  scuola in generale), nel secondo costruttori.
Fra quei docenti, non  ci sono soltanto “comunisti” bensì persone di destra: non è un mistero  che, nell’elettorato di Alleanza Nazionale, ci fossero moltissimi  dipendenti pubblici, quelli che si sono visti dileggiati e trattati come  ladri dal minus veneziano. Il risultato? Alle recenti elezioni  regionali, 2 milioni di voti in meno per il PdL: riflettiamo che tutte  le vittorie e le sconfitte elettorali sono oramai da osservare nel  quadro di un’asta al ribasso. Vince chi perde di meno.
Se, al  vertice, Berlusconi premia soltanto gli ex di AN et similia che si  rivelano fedelissimi non al partito, ma alla sua persona – pensiamo alla  Santanché, nominata sottosegretario per essersi prestata a giocare una  parte nella vicenda privata del divorzio, accusando Veronica Lario di  aver avuto una storia sentimentale…vicende squallide, del peggior gossip  – nel Paese tende a premiare il suo elettorato ed a trarre risorse, per  farlo, dall’ex elettorato di AN, assimilandolo per composizione sociale  ai “comunisti”.
Nel volgere dei prossimi tre anni – dai vertici  alla base – l’elettorato di AN sarebbe completamente fagocitato e privo  di voce in capitolo. Umberto Bossi, che è “animale politico” come pochi –  nel senso che avverte quasi “ad istinto” il mutare del vento – si  mostra molto pessimista sulla ricomposizione del dissidio, e già pensa  ad elezioni.
Questa la situazione attuale che potremmo circoscrivere a  due situazioni: ricomposizione o frattura.
Nel primo caso, Fini  seguirà il destino che è stato di Bertinotti nel 2006, nel secondo caso –  in un modo o nell’altro – farà saltare il banco. Berlusconi non  accetterà mai di governare passando ogni giorno sotto le forche caudine  di Fini, e saranno quindi elezioni.
Da qui in avanti, il discorso  diventa più interessante: dove andrà Fini?
Non è un mistero che  siano già in corso, oggi, abboccamenti con Casini, con Rutelli e,  probabilmente, con esponenti del PD, ma fermiamoci alla “triade”  Fini-Casini-Rutelli.
Nel panorama di una forte disaffezione  dell’elettorato di destra (2 milioni in meno! Il 5% circa degli aventi  diritto!), questo nuovo “centro” potrebbe raggranellare fra il 10 ed il  15% dei consensi, forse più.
Restando pressoché stabile l’elettorato  del PD e dell’IDV, la diminuzione dei consensi dell’asse PdL-Lega non  consentirebbe più a Berlusconi di governare.
A quel punto, il  “porcellum Calderolensis” si rivolterebbe contro Berlusconi stesso e,  soprattutto al Senato, non ci sarebbe una maggioranza in grado di  governare. Insomma, la famosa “quota 162” che fu l’assillo di Prodi.
Grande  confusione sotto il cielo: chi avvantaggerebbe?
Non è un mistero  che potenti lobbies stiano seguendo attentamente quanto sta avvenendo:  dal Governatore Draghi che pubblica sempre dati economici più pessimisti  rispetto a quelli del Governo, a Montezemolo ed alla Marcegaglia che  chiedono soldi per le imprese, fino alle associazioni meno appariscenti,  più occulte, ed agli scenari internazionali.
Sotto l’aspetto  internazionale, il progetto secessionista della Lega non è visto di buon  occhio: qualcuno (leggi: Germania) non gradirebbe certo di ritrovarsi  un Centro-Sud che sarebbe la copia della Grecia. E, questo, nonostante  sia stata la Germania stessa – ma in anni lontani, e le situazioni  cambiano – la grande mecenate del sen. Miglio.
Un tentativo  “centrista” o di centro-sinistra sarebbe visto di buon occhio dalla  burocrazia europea – il solito governo d’emergenza nazionale – per  togliere ancor più ricchezza e diritti e salvare l’unità della Nazione.
Sull’altro  versante – ossia sulla sopravvivenza politica di Berlusconi – c’è poco  da fare affidamento: quando Berlusconi confessa di sentirsi un “pirla”[4] mentre parla con Tremonti, ammette di non  rendersi conto della gravità dei conti pubblici italiani. Oramai, le  differenze con la Grecia sono soltanto dei soffi.
In realtà,  l’attuale Governo non ha il “fiato” per raggiungere l’agognato traguardo  di fine legislatura: mancano i soldi per tutto, ed il fondo del barile è  già stato raschiato. Altro che ponti e centrali nucleari.
Potrebbero  rivolgersi – dal punto di vista fiscale – al loro elettorato, ma  sarebbe un suicidio politico: molti che votano Berlusconi, lo fanno per  avere condoni fiscali, edilizi, “scudi fiscali” ed un generale  disinteresse fiscale sui loro patrimoni.
La scuola è già stata  azzerata per coprire l’abolizione dell’ICI per i redditi più elevati, i  nostri ragazzi guadagnano 1.000 euro il mese (da precari e quando va  bene), le pensioni sono state tagliate, i contratti sono soltanto un  ricordo: che fare?
Berlusconi, se potesse – ossia se non dovesse,  terminata l’avventura di Governo, fare l’imputato “a vita” – sarebbe il  primo a voler lasciare la nave che affonda, ma non può: lotterà fino  alla fine per non trascorrere il resto dei suoi anni da un’aula  giudiziaria all’altra.
Un futuro Governo di unità nazionale sarà  costretto ad inasprire la fiscalità: Draghi ha più volte annunciato che  bisognerà inasprire ancor più la materia previdenziale.
Gli italiani,  mostrando saggezza, per più del 40% hanno dimostrato di non credere più  a questa classe politica, non recandosi ai seggi: senza lunghe analisi,  hanno già capito che la scelta è fra la padella e la brace.
Fin  quando nuove forze politiche non riusciranno ad affermarsi, per uscire  dal quadro asfittico dell’attuale politica, non ci sarà speranza: troppe  sono le cose che andrebbero cambiate.
Anzitutto, pochissimi livelli  decisionali: uno Stato forte ed un solo livello intermedio, cancellando  Province e Regioni. Interventi sull’energia rinnovabile, creando  know-how e posti di lavoro in Italia, intaccando – finalmente ! – quei  40-60 miliardi di euro che sono la “bolletta energetica” annuale, il  sempiterno “buon pascolo” per ENI ed ENEL. Per trasformarli in ricchezza  fruibile dagli italiani.
Le cose le sappiamo tutti: il ritorno della  sovranità monetaria allo Stato, la fine delle “avventure di pace” nel  mondo (con quel che costano!)…e poi, scuola, sanità, trasporti…
Questo  è un Paese da rifondare, e non saranno certo le “imboscate” romane di  uno o dell’altro a cambiarlo: ci vorrebbero capacità, serietà ed  indipendenza dai poteri forti. Ossia vera democrazia: quel che manca.
dal sito http://carlobertani.blogspot.com 


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