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“Siamo vicini alla verità sull’impero di B.”

di Sandra Amurri

Secondo De Magistris, dopo le rivelazioni della vedova e del figlio di don Vito Ciancimino, siamo a un punto di non ritorno e la magistratura deve arrivare a svelare se il premier ha costruito la sua fortuna anche grazie ai soldi della mafia

Epifania Scardino, moglie di Don Vito Ciancimino, sindaco mafioso di Palermo, racconta ai magistrati di essere stata presente alle cene tra suo marito, Berlusconi e alcuni imprenditori siciliani. Cene che – secondo la signora – si sarebbero svolte a Milano in alcuni ristoranti nei pressi del Duomo, a pochi passi da via Chiaravalle, dove aveva sede le società “Inim immobiliare” di Francesco Paolo Alamia (presunto referente di Ciancimino, già assessore al Comune di Palermo, esponente di spicco della corrente cianciminiana) e di Alberto Dell’Utri, fratello del senatore condannato, e la “Edilnord” di Berlusconi. Pronta la risposta dell’onorevole Pdl Niccolò Ghedini nella veste di avvocato del premier: “Berlusconi non ha mai conosciuto Don Vito Ciancimino”. Eppure nel 1975-76-77, anni in cui sarebbero avvenuti gli incontri, Vito Ciancimino era solo l’ex sindaco di Palermo ed un esponente di spicco della Dc siciliana, e i costruttori Franco Bonura e Nino Buscemi non erano ancora stati inquisiti per mafia: dunque averli incontrati non sarebbe stato un reato. I primi guai giudiziari di Ciancimino, infatti, ebbero inizio negli anni ‘80 con le inchieste di Giovanni Falcone. Don Vito nei suoi appunti, decine e decine di fogli, scritti a mano e a macchina, si definisce con Dell’Utri e indirettamente con Berlusconi “figli dello stesso sistema… della stessa Lupa”. E si chiede come mai lui venga condannato e gli vengano sequestrati i beni, mentre Dell’Utri e Berlusconi restino persone “pulite” al di sopra di ogni sospetto.

Materiale prezioso al vaglio dei magistrati di Palermo e Caltanissetta, che per la prima volta potrebbero dare corpo ai tanti sospetti sull’origine del successo del Berlusconi imprenditore. È così, onorevole De Magistris?
Deve essere ineludibile la verifica giudiziaria di come sorge, prima ancora che il Berlusconi politico, il Berlusconi imprenditore. Siamo a un punto di non ritorno. La magistratura deve andare avanti per svelare quello che è il problema più inquietante: come ha realizzato il suo impero economico? Lo ha fatto davvero anche grazie ai soldi della mafia? Storie di collusioni che si riallacciano al ruolo decisivo di Dell’Utri – suo stretto consulente e poi co-fondatore di Forza Italia.

Questo spiegherebbe la ragione per cui Berlusconi avrebbe la necessità di salvarsi giudiziariamente da un lato e di salvare il suo impero economico dall’altro?
Certamente. Vuole salvarsi da un punto di vista giudiziario e vuole salvare l’impero. Quindi teme il processo Mills, che cerca di bloccare con il Lodo Alfano, e contemporaneamente teme le indagini, che cerca di bloccare negando il sistema di protezione ai collaboratori di giustizia come nel caso di Spatuzza. E lo fa attraverso i suoi sodali: il ministro Alfano e il sottosegretario all’Interno Mantovano.

E a quanto pare non dispensa neppure l’informazione, affinché i fatti che lo riguardano vengano oscurati e gli ospiti pericolosi come Massimo Ciancimino censurati.
È ovvio che il lavoro debba essere portato a termine e a questo pensano i sodali alla Rai e nei giornali. Alla magistratura impedisce di indagare e all’informazione di raccontare. Ci auguriamo che la verità venga ricostruita per il bene del Paese, affinché si capisca che per molti anni siamo stati governati da chi ha fatto affari con pezzi criminali, con la mafia. Questo spiega anche la ragione per cui continua a tenersi come consigliere Dell’Utri, condannato in appello per fatti di mafia.

Il solito giustizialista! Non siamo di fronte a una sentenza definitiva.
Alcuni fatti come quelli di cui è accusato Dell’Utri non hanno bisogno di sentenze definitive: politicamente sono sufficienti, o meglio, sarebbero sufficienti in un Paese normale per emettere un giudizio e forse anche per stare in galera.

Ritiene possibile che la soluzione per salvare se stesso e il suo impero possa essere quella, che molti accreditano, di un Berlusconi presidente della Repubblica o di sua figlia Marina, presidente della Mondadori, candidata premier?
Escluderei la prima ipotesi, visto che il partito dell’amore si è trasformato nel partito dell’odio. Che il sultano pensi di farsi sostituire da qualcuno della sua discendenza non lo escludo. Starà agli italiani impedirglielo. Con la speranza che abbiano aperto gli occhi.

da il Fatto Quotidiano del 19 settembre 2010

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