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Rifiuti che bluff

di Emiliano Fittipaldi e Claudio Pappaianni - espresso.it

Discariche nel caos. Impianti mai costruiti. Lavoratori senza certezze. Infiltrazioni dei clan. Raccolta a singhiozzo. Nonostante i proclami di Berlusconi la Campania resta sull'orlo dell'emergenza

IL VIDEO Campania, il disastro delle discariche 

Le piramidi di rifiuti sono tutte lì, lasciate a marcire sotto il primo sole di primavera. Tra le 500 mila tonnellate di sacchetti putrescenti spuntano qua e là copertoni, bidoni arrugginiti, qualche tubo di ethernit. Milioni di buste puzzolenti, ammassate sui terreni sequestrati dallo Stato a Francesco 'Sandokan' Schiavone, formano gigantesche torri di monnezza, mentre sul terreno enormi pozze di acqua piovana si trasformano sotto l'occhio annoiato dei gabbiani in percolato tossico destinato a tracimare nei canaletti dei Regi Lagni. Acque che vengono utilizzate per irrigare i campi vicini, coltivati a cocomeri o ad agrumeti, e territorio di pascolo delle bufale; acque nere che alla fine del loro percorso scaricano i loro veleni direttamente in mare. Un panorama infernale: 'L'espresso' è riuscito a entrare all'interno della discarica di Santa Maria la Fossa, il buco dentro cui in piena emergenza-rifiuti sono state nascoste le schifezze di Napoli e dintorni. Un viaggio che permette di raccontare, anche attraverso foto e filmati esclusivi, cosa succede realmente nelle discariche volute da Silvio Berlusconi e Guido Bertolaso per risolvere lo scandalo che due anni fa ha messo in ginocchio la Campania e il suo capoluogo. Un'emergenza che, tra promesse e bugie, è in realtà ancora da risolvere.

Viaggio all'inferno. A presidiare Ferrandelle c'è l'Esercito, più otto guardie giurate della Gesa, una società di Casagiove. Fuori, c'è un via vai di camion che vanno e vengono dalla vicina discarica di San Tammaro. Dentro, c'è un quartiere costruito con i sacchetti, con cui sono state erette 17 strutture alte una trentina di metri. Molte non sono coperte dai teli speciali. Di fronte alla 'piattaforma delta' (la chiamano così), in una piazzola svuotata si è formata una 'piscina di percolato' lunga una ventina di metri. Sembra una di quelle regolamentari, ma qui non si azzarderebbe a nuotare nemmeno una rana. Appena dietro l'angolo si staglia una collinetta di detriti realizzata fuori dagli spazi allestiti, che 'galleggia', letteralmente, sopra un'immensa pozza d'acqua.

Ogni giorno, solo da qui, partono 20 autobotti per smaltire altrove il percolato. Quello, almeno, che non scompare infiltrandosi nel terreno. Ogni viaggio costa alle casse pubbliche 1.800 euro tondi tondi. Un servizio quotidiano da 36 mila euro, che in due anni fa un totale mostruoso che supera i 20 milioni. Ferrandelle, Italia, è solo uno dei quartieri che formano la grande città dei rifiuti nata in provincia di Caserta: in 3 chilometri quadrati si contano quattro mega discariche, di cui una sola ancora attiva. Quattro milioni di tonnellate di monnezza 'tal quale', circondata da frutteti e allevamenti che producono cibo che arriva sulle tavole degli italiani. "L'emergenza è finita. Abbiamo fatto interventi concreti, seri e reali che rispettano l'ambiente, a differenza di quello che alcuni vanno dicendo", aveva spiegato Bertolaso lo scorso novembre, replicando a chi sosteneva che il piano non stava funzionando a dovere. Le immagini di Ferrandelle e di San Tammaro su www. espressonline.it dimostrano come l'ambiente e la salute siano in realtà l'ultimo dei problemi che si sono posti i governanti affrettati a pulire le strade dai sacchetti. Le conseguenze potrebbero essere devastanti, e la storia dei sopravvissuti di Maruzzella, la prima discarica dell'area San Tammaro, fa da monito. "Nel 1996 eravamo in 20 a lavorarci dentro", racconta il direttore Antonio De Gennaro: "Oggi siamo rimasti in 12, tutti a ripulire le ecoballe destinate ad Acerra dai materiali ferrosi. In cinque sono morti di tumore e altri tre, incluso il sottoscritto, stanno lottando contro il cancro".

Inceneritori? No grazie. Dopo i giorni della vergogna, il 2010 doveva essere l'anno che sanciva definitivamente il ritorno alla normalità. Invece è iniziato nel peggiore dei modi. Prima la condanna all'Italia della Corte di Giustizia europea "per non aver creato una rete adeguata di smaltimento" e il blocco di 500 milioni di fondi comunitari, poi le immagini sui giornali del centro di Napoli nuovamente sommerso dai sacchetti. Se le foto sono simili a quelle scattate nel 2008, il lezzo è identico. È la puzza di monnezza bruciata, di sacchetti in decomposizione, è odore di affari e camorra, che come un avvoltoio non ha mai abbandonato uno dei suoi business preferiti: pure in questa fase - sospetta la Digos di Caserta che ha aperto un fascicolo - i boss dei Mallardo e delle famiglie di Casal di Principe hanno probabilmente continuato a guadagnare, piazzando imprese colluse nell'affare della raccolta. Di fatto, il miraggio evocato come un mantra da Berlusconi&Bertolaso si è dissolto al primo problema amministrativo. È bastata una protesta dei lavoratori del consorzio Napoli-Caserta per il mancato pagamento degli stipendi e il blocco dell'accesso a uno dei siti aperti negli ultimi 18 mesi per mettere in ginocchio l'intero sistema.

I limiti del decreto 195, che sulla carta sanciva la fine del disastro, sono evidenti. Il sottosegretario ha varato cinque nuove discariche per liberare subito le strade dai rifiuti, in attesa di dotare la regione degli inceneritori necessari e di una raccolta differenziata che riducesse al minino la quantità di spazzatura da bruciare. Ma l'unico termovalorizzatore funzionante è quello di Acerra che, tra continui stop and go, a fine febbraio ha finalmente terminato il collaudo e presto funzionerà a pieno regime. Sempre che il controllo delle emissioni nocive non determini altre fermate: le prove generali avevano generato più di un allarme, con il continuo sforamento dei limiti consentiti. Qualcuno si è pure divertito a manomettere le attrezzature da migliaia di euro che l'Arpac ha sistemato a ridosso del camino. Tanto da spingere l'Agenzia regionale per l'ambiente a lamentarsi, nero su bianco, con il nuovo gestore, la milanese A2A. Gli altri impianti vaticinati da Bertolaso non esistono: il progetto di Santa Maria La Fossa, adocchiato subito dai clan e finito nelle carte dei pm che hanno chiesto l'arresto di Cosentino, è bloccato. Per quello di Napoli c'è solo l'indicazione di massima dei suoli, mentre a Salerno la gara indetta dal sindaco Vincenzo De Luca, candidato governatore per il centrosinistra, è ferma tra ricorsi e controricorsi. Se tutto va bene, ci vorranno altri quattro anni, forse anche di più, prima di avere il secondo inceneritore utile. A quel punto, tutte le discariche aperte oggi in Campania saranno strapiene.

Miraggio differenziata. Con una raccolta differenziata ancora inchiodata al 22 per cento (ma Napoli sfiora il 18, Caserta non arriva nemmeno al 14), i cinque siti rischiano di reggere massimo due anni. L'invaso di Chiaiano è pieno per metà, quello Terzigno è quasi colmo. Ecco perché, malgrado il parere negativo della Conferenza di servizi, a poche centinaia di metri dalla ex Cava Sari sarà presto inaugurata Cava Vitello, con un invaso ancora più grande: oltre un milione di tonnellate di capacità. Con buona pace dei soldi (1,2 milioni di euro) che ogni anno il ministero dell'Ambiente versa nelle casse del Parco nazionale del Vesuvio per tutelare la biodiversità dell'area naturale. E dei cittadini di Boscoreale, comune limitrofo, raggiunti ogni giorno dalle zaffate dello sversatoio: esasperati, nelle scorse settimane hanno assediato per protesta il Municipio, e in occasione della visita elettorale del ministro Mara Carfagna hanno lanciato contro la sua auto un po' di spazzatura.

Ogni anno in Campania si gettano 2,5 milioni di tonnellate di rifiuti: la ricetta di B&B non è riuscita a far diminuire la produzione. I comuni che non raggiungono le percentuali di raccolta differenziata previste dalle nuove regole, dovrebbero essere sciolti all'istante. Ma finora sono stati firmati solo sette decreti, che poi sono stati puntualmente annullati dal Tar. Oggi appena 500 mila tonnellate l'anno vengono riciclate, oltre un milione finisce direttamente in discarica, il rimanente continua a essere compresso e avvolto nel cellophane per essere poi distrutto negli inceneritori. Ma visto che l'arretrato è da record, il 40 per cento di quello che dovrebbe essere trattato nei compattatori finisce in sversatoi tradizionali. Raggiungere i dati del Nord, vicini al 50 per cento, sembra pura fantascienza: la differenziata è un'operazione che non conviene ai campani, costretti a smaltire l'umido in impianti lontani dalla regione, per un costo che supera i 200 euro a tonnellata. Eppure esiste un sito per produrre compost già bell'è pronto, proprio di fronte a Ferrandelle. Incredibilmente è stato utilizzato per accatastare ecoballe. I macchinari all'interno non sono mai stati usati e le vasche sono vuote. "Una tristezza", commenta laconico un tecnico che conosce il deposito.

Debiti, consorzi e promozioni. Con l'addio di Bertolaso, le province della Campania hanno ereditato, oltre a tutti i poteri, anche problemi di una gestione folle durata 16 anni. È un serpente che si morde la coda: la gente non paga, i Comuni accumulano debiti verso la struttura commissariale (siamo oltre i 300 milioni di euro), i consorzi provinciali ereditano il buco e non pagano gli stipendi dei dipendenti. Non solo. I consorzi sono strutture ingolfate con personale spesso inutilizzato, che sprecano soldi a go-go. Il consorzio Napoli-Caserta (sulla cui gestione i pm stanno indagando da mesi) è, per esempio, gestito di fatto dal direttore generale Antonio Scialdone, uomo di fiducia di Nicola Ferraro, consigliere regionale uscente dell'Udeur coinvolto in numerose inchieste di camorra. 


dal sito http://espresso.repubblica.it

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