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Lega, l'alleato infedele

di Luca Telese

Il conflitto fra Maroni e il Pdl sui numeri della piazza cela quello Carroccio-premier sul controllo del Nord


Roma -Ma quale "fedele alleato"? Il Corriere della Sera ieri ci regalava un titolo su Umberto Bossi che diceva l’esatto contrario di quello che sta accadendo nel centrodestra. E ieri, plasticamente, la polemica fra Roberto Maroni e il Pdl fotografava in maniera esatta la misura lacerante del conflitto.

"Poliziotti in gamba". Spiegava infatti il ministro dell’Interno: "Nella questura romana lavorano persone molto in gamba e che sanno il fatto loro". Quale spartito si cela dietro il minuetto al cianuro fra Maroni e Maurizio Gasparri, a proposito della credibilità della Questura di Roma? Molto più che una cerimonia di atti dovuti, molto più che una difesa d’ufficio. Ma piuttosto la trasposizione su scala istituzionale di un confronto senza quartiere che si sta combattendo sottotraccia (ma nemmeno tanto) in queste fra la Lega nord e il Pdl, fra i guerriglieri di Umberto Bossi e Silvio Berlusconi, fra gli alleati (non) fedeli e il partito del premier.

Governatori padani. Ecco il riassunto che serve a illuminare il senso della polemica e inquadrarlo nella cornice più ampia del conflitto a cui appartiene. Due mesi fa la Lega riesce a strappare a Berlusconi, il primato dei candidati al nord: Giancarlo Galan perde la battaglia per la ricandidatura in Veneto, e cede il suo posto al ministrissimo emergente Luca Zaia. Roberto Cota, altro dioscuro del Carroccio, ottiene di poter sfidare la Bresso in Piemonte. Tutti i sondaggi - a partire da quelli di Libero - raccontano di uno smottamento dell’elettorato del nord verso il Carroccio: in veneto si parla di un rapporto 40% a 20% per la Lega. In pratica un "sorpasso", che si celebra proprio nei territori che rappresentano il forziere elettorale del centrodestra.

Berlu-leghista in manette. Un altro peso, che fa saltare ogni equilibrio sul piatto della bilancia ce lo mette Pier Gianni Prosperini. Uomo forte del Pdl in Lombardia, custode di 20 mila preferenze, leghista di ieri, "berlu-leghista" incaricato di intercettare i voti anti-immigrati, l’uomo delle ordinanze contro il kebab. A due mesi dalle elezioni finisce in manette, in diretta tv. Poi ammette il reato e patteggia. Indovinate a chi andranno quei voti? Anche in Lombardia il Pdl è senza protezioni per la concorrenza degli uomini di Umberto Bossi, capitanati dal proconsole Matteo Salvini, leghista verace e acchiappavoti micidiale.

Il duello di Roma. Il secondo nodo decisivo è la manifestazione di Roma. Scompaiono tutti gli alleati, sul palco c’è solo Berlusconi, demiurgo, pastore officiante, che impone ai presidenti il suo credo e il suo giuramento. Nell’unico spazio riservato a un altro leader - Umberto Bossi - il leader del Carroccio ritaglia un piccolo show a spese della liturgia. E così Berlusconi prova a divorare Pontida, e Bossi si vendica provando a rubare la scena con un comizio e contro "la famiglia trasversale" e una battutaccia sui suoi rapporti con il Cav: "Io sono l’unico che non ti ha mai chiesto soldi". Ma altri dettagli pesanti, nella fretta della cerimonia catodica, rischiano di essere trascurati. Il primo. Zaia non si presenta a leggere la promessa di fedeltà (ufficialmente per la morte di un cugino).

L’assenza di Bossi. Berlusconi prova a correggere in corsa: "Al suo posto - annuncia raggiante - il giuramento sarà letto da Umberto Bossiiì!!!". Grande boato della piazza. Ma poi, senza che nessuno se ne accorga, Bossi, che pure è lì, non si assoggetta al rito da valvassore. Il giorno dopo esplode la polemica fra il Pdl e la questura: "Erano 150 mila", dicono gli ufficiali di pubblica sicurezza (che rispondono a Maroni). "C’è una crisi etilica", ribatte duro Gasparri, difendendo la piazza azzurra. Nuova sorpresa. Umberto Bossi si schiera con la polizia: "Fosse stato per noi avremmo portato dieci milioni".

Leghisti leali, non fedeli. Non conta l’entità della sparata, ma il senso di quel messaggio: "Sono leale - disse una volta Massimo D’Alema parlando di Occhetto - non sono fedele". Che lo stesso pensiero passi per la testa dei leghisti è ormai evidente. Ed ecco che l’altro "grande assente" del centrodestra (ufficialmente per motivi istituzionali, ma non ci crede nessuno) chiudono la tenaglia.

L’affondo di Fini. Infatti, Gianfranco Fini difende Maroni: "Ho trovato le dichiarazioni del ministro dell’Interno encomiabili. E’ stato bravo nel momento in cui ha ricordato che nelle questure e nelle prefetture lavora gente che sa il fatto suo. Ha avuto senso delle istituzioni". Già. Perché Fini e Bossi marciano divisi ma colpiscono uniti. Uno si può prendere i governatori "pesanti" del nord (Zaia e Cota), l’altro quelli del centro-sud (Polverini e Scopelliti). Il Cavaliere resta a portare la croce. Ma i suoi fedelissimi non sono più in prima fila.

dal sito http://antefatto.ilcannocchiale.it/

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