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Silvio e la mafia: “I documenti di Ciancimino jr? Tutti autentici”

di Dipocheparole

Le carte che proverebbero il coinvolgimento del Cavaliere nella presunta trattativa fra Stato e Cosa Nostra, protagonisti l’ex sindaco di Palermo Vito, Bernardo Provenzano e i vertici dei Ros, non sono affatto contraffatte

ciancimino Silvio e la mafia: I documenti di Ciancimino jr? Tutti autenticiL’Italia della fine degli anni ‘80-inizio degli anni ‘90 era un posto pericoloso. Qualcosa si muoveva nel quadro politico della penisola, qualcosa che ha un nome: stragi. Cosa Nostra, la mafia siciliana, era scesa sul piede di guerra: “Fare la guerra allo Stato per poi trattare con lo Stato“, era la parola d’ordine dell’ala radicale della mafia siciliana, guidata da Salvatore Riina. Salta per aria Giovanni Falcone, salta per aria Paolo Borsellino: la loro colpa, il maxiprocesso di Palermo con cui erano finiti con le mani in manette molti boss. Saltano per aria i referenti politici, iniziano le stragi nel continente. Ma c’è un’ala della mafia che contesta un tale andazzo, che preferiva il lavoro sotterraneo, che non apprezza le bombe: questa “seconda” mafia è guidata da Bernardo Provenzano. E’ l’ala “moderata”, si fa sempre per dire, della Cosa Nostra siciliana: al centro dei gangli e dei punti di snodo, un uomo, l’ex sindaco di Palermo: Vito Ciancimino. Così, almeno, si apprende dal suo racconto.
LA TRATTATIVA – E’ stato infatti lui, attraverso i suoi documenti, raccolti dal figlio Massimo, a far emergere nel dibattito italiano la parola “trattativa”. Lo Stato avrebbe trattato con la mafia. Il paese, le sue massime istituzioni, avrebbero cercato di negoziare con dei criminali per interrompere la scia di sangue di fatto legittimando la loro esistenza. E la mafia avrebbe presentato una serie di richieste allo stato: il famoso “papello” di Salvatore Riina, le sue condizioni per interrompere le bombe. Cessazione del carcere duro, spostamento di molti detenuti dai carceri di massima sicurezza, revisione del maxiprocesso: lo Stato doveva mollare la presa. Solo così le bombe sarebbero cessate. Terminale di questa connessione fra potere pubblico e criminalità organizzata era, appunto, Bernardo Provenzano, l’ingegner lo Verde di cui Vito Ciancimino raccontava al figlio, suo autista e sua ombra fedele. Bernardo Provenzano, ai tempi in cui Riina non era ancora in galera, ne condivideva la direzione della mafia siciliana, per poi subentrargli. E Vito Ciancimino era la porta d’ingresso del terminale: la persona presso la quale il colonnello Mario Mori e il suo vice Mauro Obinu , Reparto Operativo Speciale dei Carabinieri, si recarono perchè invitati, appunto, a prendere parte alla trattativa. Sempre secondo Ciancimino, s’intende.
20100511 ciancimino massimo Silvio e la mafia: I documenti di Ciancimino jr? Tutti autenticiIL PROCESSO MORI – Di questo si parla nel processo ai due incardinato presso la procura di Palermo: ipotesi di reato, favoreggiamento aggravato. Nei riguardi, appunto, di Bernardo Provenzano, di cui, è il teorema accusatorio, i due impedirono l’arresto. “Provenzano godeva di una zona franca durante la sua latitanza”, racconta Massimo Ciancimino. E il motivo è presto detto: siccome Provenzano serviva, in quanto terminale di contatto per la supposta trattativa che Mori stava portando avanti a nome dello stato, non poteva essere messo dietro le sbarre. Luogo che in effetti gli competeva, visto che era ricercato fin dal 1963: ma, appunto, secondo la storia che raccontano i Ciancimino, a partire del 1992, a Provenzano sarebbe stato concesso di aggirarsi liberamente per l’isola. Appunto, favoreggiamento; il motivo, la trattativa. Il generale Mori ha sempre negato che una tale vicenda sia mai avvenuta: “Incontrai più volte Vito Ciancimino – ha detto Mori – e cercai più volte contatti con la commissione Antimafia senza che avessi obbligo di farlo. Proprio gli incontri con Ciancimino furono la prova che una trattativa con Cosa Nostra non ci fu”. E poi: “Ogni trattativa del genere e questa in particolare che implicava una resa vergognosa dello stato a una banda di criminali assassini – ha aggiunto – sarebbe stata impensabile”, scriveva la Repubblica, edizione di Palermo.
L’ARCHIVIO CIANCIMINO – Per confortare la sua versione, Ciancimino jr. dispone di una gran serie di documenti. L’immenso archivio di suo padre, da lui conservato e ordinato – ne voleva fare un libro, “le verità di Vito” il titolo. Parte di questo materiale è stato consegnato l’8 marzo scorso alla scientifica di Palermo. Il figlio dell’ex sindaco mafioso del capoluogo siciliano riteneva in questo modo di poter rinforzare la sua storia: la scientifica aveva il mandato di verificare che i documenti consegnati da ciancimino 580x417 Silvio e la mafia: i documenti di Ciancimino jr? Tutti autentici Ciancimino fossero effettivamente riconducibili al padre. Il che avrebbe rinforzato di molto la loro attendibilità. “Prima della strage Borsellino”, è la storia di Ciancimino, “il colonnello incontrò più volte mio padre, nella nostra casa romana di via San Sebastianello. Almeno due volte prima del 29 giugno, quando il dottore Antonino Cinà” (il medico di Riina – ndr) “mi consegnò a Palermo il cosiddetto papello, che io portai subito a Roma. Dopo il 29 giugno, ci fu un altro incontro fra Mori e mio padre”. Ciancimino non usa mezzi termini. “La richiesta dei carabinieri era chiara, così mi spiegò mio padre dopo quegli incontri: volevano stabilire un canale privilegiato per interloquire con i vertici dell’organizzazione mafiosa. Mio padre riteneva quella strategia uno sbaglio da parte delle istituzioni, era come accreditare la linea folle di Riina”.
LE RICHIESTE – Quali le richieste dello Stato? “La resa incondizionata dei capimafia, in cambio di un trattamento di favore per i familiari dei boss”. Su tutta l’operazione, dice Ciancimino, avrebbe vigilato Bernardo Provenzano, che autorizzò la trattativa. “ Mio padre seppe poi dal signor Franco, suo referente nei servizi segreti, che di quella trattativa erano informati gli onorevoli Mancino e Rognoni. Mio padre ne parlò con i carabinieri. E dagli stessi ebbe conforto in tal senso”, scriveva in proposito la Repubblica di Palermo, riportando la deposizione del figlio di Vito Ciancimino al processo per cui i due militari sono imputati per favoreggiamento aggravato alla mafia. E, dicevamo, a fondamento di questa storia i documenti da lui consegnati, perchè la scientifica ne verificasse l’attendibilità. Tempo dopo, i risultati: “Sono originali. Alcuni dei documenti scritti e redatti da Vito Ciancimino, consegnati dal figlio Vito, sono “con certezza” da attribuire al sindaco di Palermo. A dirlo, il capo della polizia scientifica Pietro Angeloni, al processo contro il generale dei Ros dei Carabinieri Mario Mori e del colonnello Mauro Obinu, per la mancata cattura di Bernardo Provenzano. Sui manoscritti e dattiloscritti attribuiti a Vito Ciancimino sono stati effettuati due tipi di analisi, una merceologica e una grafologica. La prima perizia, effettuata con il carbonio 14, è servita a stabilire che la carta è databile nel periodo in cui Massimo Ciancimino, figlio di Vito, ha fatto risalire la loro redazione.Secondo i periti del pubblico ministero Nino Di Matteo, i documenti non sono quindi frutto di manipolazioni o interpolazioni”: ecco il verdetto della scientifica, emerso giusto la settimana scorsa. Dunque, ha torto Mori e ha ragione Ciancimino? Caso chiuso?
IL DOCUMENTO INCERTO – Al tempo. Su un documento, la scientifica non ha le idee chiare: e, come da copione, è il più importante. Si tratta del cinquantacinquesimo documento consegnato da Massimo Ciancimino, quello in cui “sarebbero stati sovrapposti alcuni spezzoni di un altro foglio, in particolare le parole “Berlusconi- Ciancimino- Milano- truffa bancarotta”, ricavate da un foglio che il figlio dell’ex sindaco mafioso aveva consegnato ai magistrati di Caltanissetta. La grafia è in una parte di don Vito, nell’altra (in cui si parla di Berlusconi) è dello stesso Massimo Ciancimino. I due fogli sarebbero stati unificati e fotocopiati insieme. All’udienza scorsa dello stesso processo, il generale Mori aveva fatto emergere una “perfetta sovrapponibilità” tra due documenti che Ciancimino jr aveva sostenuto essere differenti l’uno dall’altro, e che invece erano stati ricavati da un solo foglio manoscritto, “sdoppiato” come se si trattasse di due diverse lettere indirizzate sempre al presidente del Consiglio, Silvio riina provenzano Silvio e la mafia: i documenti di Ciancimino jr? Tutti autentici Berlusconi”. Si, perchè attraverso i documenti delll’ex sindaco di Palermo verrebbe tirato in ballo nientemeno che il presidente del Consiglio, quando era ancora imprenditore delle Tv. Massimo Ciancimino ha infatti raccontato che in un bar di Roma, primi anni ‘90, si erano incontrati l’ingegner Lo Verde, appunto Provenzano, e Vito Ciancimino – il racconto, al solito, era stato trasmesso dal figlio al padre. Il primo avrebbe raccontato di appoggi politici importanti e nuovi, e di un imprenditore del nord pronto a mettere in campo le sue televisioni per supportare gli amici di Marcello Dell’Utri. Chi? Appunto, Berlusconi. Sul foglio incriminato, “parole come “Berlusconi-Ciancimino”, “Milano truffa assicurazioni”, “Milano-Gelli-Bono-Calvi”. Parole di una certa pesantezza.
AUTENTICO? -Solo che, lo abbiamo visto, la scientifica non sarebbe per niente convinta dell’autenticità di quest’ultimo documento. Una metà è sicuramente riconducibile a Vito Ciancimino, l’altra metà, quella in cui c’è la roba succosa, non corrisponderebbe grafologicamente e scientificamente al profilo dell’ex sindaco del Sacco di Palermo. Quindi, anche qui, caso chiuso e Berlusconi non c’entra niente? Un momento: oggi è Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano a ricordare un dettaglio importante. Era stato lo stesso Massimo Ciancimino, in tempi non sospetti, a dichiarare in sede giudiziale che quel documento era stato manipolato. “Evviva”, scrive l’editorialista di punta del quotidiano di Antonio Padellaro, “Ciancimino fabbrica carte false per provare accuse false, dunque B. con la mafia non c’entra. La posta in gioco è altissima: se fosse vero quel che dicono Massimo Ciancimino e ultimamente anche la madre, vedova di don Vito, sugli investimenti del padre e di altri mafiosi nel gruppo B., dovrebbe riaprirsi l’indagine per mafia e riciclaggio sei volte archiviata a Palermo a carico del Cavaliere per insufficienza di elementi per sopportare un giudizio. Dunque è fondamentale sapere se Ciancimino porta merce avariata o genuina. La risposta è in un verbale del 1° dicembre 2009 reso da Massimo ai pm Sergio Lari e Nino Di Matteo. Quel giorno consegna un foglio fotocopiato e avverte: “Guardando il foglio alla mia sinistra è la mia grafia, alla mia destra è la grafia di mio padre. Gli appunti più chiari sono scritti a matita da mio padre, infatti li ho fotocopiati per evidenziarli meglio. Quelli più scuri… è la mia grafia. Erano argomenti che mi ripromettevo di approfondire con mio padre (in vista del libro di memorie che avrebbero dovuto scrivere insieme nel 2001-2002 e che poi non si fece perché don Vito morì nel novembre 2002, ndr)”. Domanda dei pm: “Quindi è un foglio misto?”. Risposta: ”Sì, è un foglio misto”. Pm: “Quindi è un collage?”. MC: “Esatto”. Pm: “Ridotto in fotocopia?”. MC: “Sì”. Quindi fu lo stesso Ciancimino a informare immediatamente i pm che dieci anni fa, quando mai avrebbe immaginato che sarebbe stato chiamato a risponderne, fotocopiò su un foglio A4 due appunti, uno suo l’altro del padre. Appunti assolutamente autentici. Possibile che diventino “un falso” solo perché sono riprodotti nella stessa fotocopia? Sì, se lui avesse detto che erano entrambi del padre. No, visto che ha detto subito chi aveva scritto cosa, ben prima che lo scoprisse la Scientifica”. Insomma, dice oggi Travaglio: la partita “Ciancimino-Berlusconi” non è affatto chiusa come i giornali che gridavano, dando dell’imbrattacarte falsario a Massimo Ciancimino – La Stampa e il Giornale su tutti – volevano far credere

dal sito http://www.giornalettismo.com

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