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Abbiamo un sogno: facciamo vincere l’Italia, quella vera

I have a dream: un giorno l’Italia si sveglierà diversa e migliore, perché avrà finalmente riscoperto se stessa. Un paese reale che ha voglia di futuro, e non è rassegnato a subire per sempre lo spettacolo dell’ordinaria indecenza organizzato per mascherare la mediocrità di un potere impotente, incapace di opporsi al declino. C’è un’Italia che da tempo si è messa in cammino: in televisione non la si vede, ma sta combattendo ogni giorno porta a porta, casa per casa, per darsi coraggio e programmi, basati sulla civiltà della conoscenza: ecologia, ricerca, energia pulita, lavoro e diritti, dignità. Valori in campo nella vita quotidiana: perché non anche alle elezioni?
Una corrente trasversale sta elettrizzando da mesi il web e le città, i blog e le assemblee. Migliaia di cittadini, che potrebbero diventare milioni. Forse costretti, in primavera, a scegliere ancora una volta: protestare, turarsi il naso o disertare le urne. «Si va a votare? Pare proprio di sì», scrive Jacopo Fo sul “Fatto Quotidiano”, paventando una doppia “calamità”: l’eterno ritorno del Cavaliere o un governicchio Fini-Casini stampellato dal Pd. Scenari da cui sarebbero escluse le nuove idee che attraversano la società civile, non rappresentate in sede politica. «Ma se si guarda la realtà sociale, la situazione è ben diversa», osserva Fo. «Ovunque fioriscono gruppi di difesa del territorio, del posto di lavoro, dell’acqua pubblica, contro la mafia, circoli della Decrescita Felice, del Movimento della Transizione, gruppi d’acquisto, botteghe del commercio equo, feste, concerti, cooperative sociali, imprese ecologiche, filiali di Banca Etica».
Un fenomeno enorme, che ha ancora poca visibilità, ma che «a furia di piccoli passi sta modificando casa per casa il panorama politico, culturale e sociale». E’ una realtà che crea lavoro, risparmio energetico, imprese solidali in tutto il mondo. Migliaia di pasti cucinati ogni giorno per i disperati del pianeta, migliaia di alberi piantati, pannelli fotovoltaici finanziati e costruiti, cibi biologici prodotti, milioni di litri d’acqua e kilowatt risparmiati. «E’ una cultura diversa, che cresce non sui discorsi di chi è bravo a parlare in pubblico ma grazie all’abilità delle mani, alla fantasia e al sudore».
«Nonostante i Veltroni, i D’Alema, i Rutelli, il Presidente e tutte le sue vallette ucraine vestite da babbo natale in bikini – continua Jacopo Fo – migliaia di persone si alzano ogni mattina e si chiedono: “Come posso far avanzare di un centimetro il mondo migliore?”. E si mettono giù a spremersi il cervello per creare un nuovo conto corrente ribelle, isolare un tetto, vendere un chilo di caffè che ha dentro la speranza di un contadino peruviano, far arrivare un piccolo mulino a vento nel Kalahari.E ci riescono!». Visto che non sono crollati psicologicamente neanche di fronte all’ultimo disastro elettorale, «se si mettono assieme cosa potrebbero combinare?».
“Movimento del fare”, lo chiama Jacopo Fo. Cosa succederebbe se si saldasse con i circoli di Beppe Grillo, con i comitati che si oppongono agli inceneritori, con gli orfani della sinistra ambientalista? Il nuovo soggetto politico potrebbe parlare «anche alla gente di buon senso che oggi vota a destra perché non vede alternative». Insomma: «Siamo tanti, anche se siamo divisi e incapaci di far nascere una strategia comune. Ma in questi anni abbiamo imparato a usare mezzi nuovi come il web, a organizzarci a rete, a fare impresa e costruire concretamente nuovi mestieri, attività commerciali, installare pannelli solari, lampioni ad alta efficienza e caldaie ecologiche, andando oltre la denuncia del marcio nel sistema».
Bello ma impossibile? «Parlare oggi di un nuovo movimento politico può sembrare una follia». Eppure: in Francia è nato un patto dal basso che ha messo insieme ecologisti, gruppi etici, comitati spontanei di difesa del territorio. Risultato: oggi i verdi francesi sono il “terzo partito”, col 16% dei voti, «un pelo al di sotto del Partito socialista». E in Germania è successo qualcosa di simile. «Perché non facciamo lo stesso?». Michele Dotti, giornalista e saggista, si è lanciato in questa impresa insieme a Marco Boschini, l’inventore dei “Comuni Virtuosi”. «Abbiamo un sogno», dice l’appello a cui ha aderito Jacopo Fo.
Lo stesso Boschini era a Torino il 16 ottobre, all’assemblea convocata da Maurizio Pallante, presidente del Movimento per la Decrescita Felice. Problema: come aggregare forze per superare il falso dualismo rappresentato da destra e sinistra, entrambe “sviluppiste”, e cercare una terza via: rinunciare alla crescita del Pil, perché lo sviluppo inganna, fa solo disastri ed è nemico del progresso. Lo sviluppo è ingiustizia, guerra, catastrofe climatica, rapina delle risorse, fame e povertà. La medicina per guarire? Abolire lo spreco: milioni di posti di lavoro si aprirebbero se solo si riconvertisse il sistema. Co-generatori anziché automobili, coibentazioni edilizie al posto di nuove case. Meno energia, e pulita. Meno trasporti inutili. E meno rifiuti: strategica la raccolta differenziata, contro la peste degli inceneritori.
Accanto a Pallante, Giulietto Chiesa col suo gruppo di studio per l’Alternativa e il giornalista Massimo Fini, leader di “Movimento Zero”, uniti su un punto: «Dobbiamo comunicare la drammatica realtà della crisi, spiegare che questo sistema ha le ore contate, perché la finanza ha drogato l’economia e l’egemonia occidentale sta per crollare: presto faremo i conti col razionamento dell’acqua, del cibo, della benzina». Tante voci, tante sfumature: Francesco Gesualdi, allievo di Don Milani e portavoce del centro toscano per un nuovo modello di sviluppo, Fernando Rossi del movimento “Per il Bene Comune”, Nanni Salio dell’Ecoistituto Pasquale Cavaliere – Centro Sereno Regis, nonché Luca Salvi, di Banca Etica, esponente del Mae, Movimento etico solidale in cui milita Alex Zanotelli.
Pallante invoca «un nuovo Rinascimento», per archiviare la cattiva politica – di destra e di sinistra – che ha scambiato lo sviluppo per progresso, e di fronte alla grande crisi planetaria balbetta ricette inefficaci. Il grande equivoco? Il dogma della crescita del Pil, creato dal pensiero liberale sviluppatosi con la rivoluzione industriale del ‘700. Dogma su cui la sinistra si è appiattita, smarrendo se stessa. «Siamo di fronte a un cambio di paradigma nella storia dell’umanità», dice Giulietto Chiesa: «Il mondo sta cambiando strada, dopo 250 anni. I vertici finanziari del pianeta lo sanno: e si stanno attrezzando per dominare ancora, ad ogni costo, a prezzo di catastrofi inflitte al pianeta». Per Massimo Fini, il sistema è alla frutta: «Ci salveremo solo tornando alla pre-modernità». Oppure dando il buon esempio, per dirla con Jacopo Fo: che succede se i consumatori tele-ipnotizzati si svegliano dall’incubo, si accorgono di essere cittadini e decidono di unire le loro forze?

dal sito http://www.libreidee.org

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