Il fotovoltaico più economico dell’energia atomica, ma l’Italia non vuole cambiare strada
di Andrea Bertaglio
Secondo il rapporto della Duke University in North Carolina i costi dei  sistemi solari sono scesi a un punto che è ormai inferiore a quelli  previsti per la costruzione di nuove centrali nucleari
Solare pulito ma più costoso del nucleare? Forse ieri, ma ora non più.  Al di là dei possibili problemi legati al loro smaltimento, gli impianti  fotovoltaici sono generalmente visti come un modo più pulito e  sostenibile di produrre energia rispetto all’energia atomica, ma molto  più dispendioso. Secondo lo studio americano “Solar and Nuclear Costs — The Historic Crossover”,  non è più così. Un recente rapporto della Duke University, in North  Carolina, rivela infatti che l’energia solare è diventata ormai più  conveniente di quella nucleare non solo a livello ambientale (smaltire o  riciclare i moduli è generalmente ritenuto meno problematico che  gestire scorie che rimangono radioattive per migliaia di anni), ma anche  economico. “Il solare fotovoltaico ha raggiunto le alternative a più  basso costo all’energia nucleare”, ha affermato il professor John O. Blackburn, docente di economia presso la Duke University e autore dello studio.
Nel rapporto di Blackburn viene dimostrato come i costi dei sistemi  fotovoltaici siano scesi a un punto che è ormai inferiore a quello dei  costi previsti per la costruzione di nuove centrali nucleari, e che  potrebbe succedere lo stesso nei confronti delle fonti fossili di  energia già entro il 2013. Questo “passaggio storico” sarebbe dovuto al  fatto che negli Usa il costo del solare è, in questo momento, di 16  centesimi di dollaro al kWh. Secondo Mark Cooper,  analista specializzato nell’individuare i costi dell’energia nucleare  presso l’Institute for Energy and Environment della Vermont Law School,  questi 16 centesimi potrebbero scendere a 6, se si implementassero  maggiormente “efficienza energetica, co-generazione e utilizzo di fonti  rinnovabili”. Cooper ha poi affermato che mentre i costi del solare sono  costantemente diminuiti negli ultimi otto anni, quelli stimati per  costruire negli Stati Uniti una centrale nucleare sono passati dai 3  miliardi di dollari nel 2002 agli attuali 10 miliardi per reattore.
Nel rapporto “All Risk, No Reward for Taxpayers and Ratepayers”,  Cooper ha riportato inoltre che questo aumento dei costi è “nulla in  confronto ai rischi finanziari e ai sussidi che affiancheranno la nuova  ondata di centrali nucleari in costruzione”. Sussidi che “producono una  distorsione del mercato”, afferma Doug Koplow,  economista dell’Earth Track di Cambridge, in Massachusetts,  un’associazione che si oppone ai sussidi nel settore dell’energia, i  quali rischiano di “chiudere il mercato a fonti di energia più  competitive”. Rendendo ancora più complicata l’identificazione di quelli  che sono i costi reali delle tecnologie energetiche in competizione fra  loro. A Koplow ha fatto eco Peter Athrton, analista  del colosso finanziario Citigroup e autore di uno studio che ha  dimostrato come l’industria nucleare non potrebbe sopravvivere, senza  trasferire i costi e i rischi economici sui contribuenti. Fatto  confermato dalle condizioni poste dalle compagnie che dovrebbero  costruire i nuovi reattori nel Regno Unito.
Nuovi reattori che,  nei luoghi in cui sono già in fase di costruzione, stanno subendo enormi  ritardi e importanti lievitazioni dei prezzi. Ne è un ottimo esempio  quello di Olkiluoto in Finlandia, che ha già accumulato un ritardo di  oltre tre anni rispetto alla sua prevista data di ultimazione, e del  quale i costi finali sono più che raddoppiati. La spesa prevista del  reattore finlandese era infatti di 2,5 miliardi di euro nel 2002, quando  fu approvato; nel 2005, alla firma del contratto, era salita a 3,3  miliardi; nel 2009, con i lavori già in grande ritardo, la spesa  preventivata era giunta a 5,3 miliardi; oggi, dopo un altro anno di  ritardo accumulato, la stessa avrebbe già abbondantemente superato i 6  miliardi di euro.
Da questi studi traspare il fatto che in un  sistema nel quale si tende a aumentare l’offerta di energia piuttosto  che diminuirne la domanda (e gli sprechi), se si calcola solo la  quantità di energia prodotta le rinnovabili sono ancora perdenti nei  confronti del nucleare, che ne produce una enorme quantità. Ma se si  calcolano nel bilancio i costi economici e ambientali, incrementando il  generale livello di efficienza energetica, è evidente che bisogna  cambiare prospettiva, e che non serve produrre più energia, ma bisogna  consumarne di meno. Nonostante tutti questi segnali che giungono  dall’estero, però, in Italia sembrerebbe imminente un “rinascimento  atomico”, accompagnato dalla promozione di metodi di produzione di  energia tanto costosi quanto rischiosi per la collettività.
Già  nel 1985 la prestigiosa rivista americana Forbes, specializzata da quasi  un secolo in economia e finanza, definì la costruzione degli impianti  nucleari americani di prima generazione “il più grande disastro  gestionale della storia del business”. Le classi dirigenti italiane,  invece, non hanno ancora capito nel 2010 che di disastri gestionali, in  Italia, ne abbiamo e ne abbiamo avuti a sufficienza.
dal sito http://www.ilfattoquotidiano.it


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