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Voglio fare il Kamikaze

da www.pensareinprofondo.blogspot.com

Oggi volevo commentare quella intervista sul sole 24 ore in cui un tizio, imprenditore, ci fa capire perché (poveraccio) è stato costretto a portare un po' di soldi all'estero.
La sintesi è che:
1- non si sente un evasore
2- vorrebbe un premio perché lui in fondo se li riporta indietro è per salvare l'azienda
3- è colpa di quegli anni conflittuali (i 70) se era costretto a mettere fuori dall'Italia un po' di quella ricchezza che qualcun altro gli produceva
4- quelli che gli permettevano l'occultamento in fondo sono degli stronzi taglieggiatori perché si tenevano una parte di quello che lui nascondeva
5- è stato costretto ad internazionalizzare l'azienda perché non fidandosi di un sistema che gli permetteva di evadere, e che grazie a questo andava dal culo, voleva salvaguardare per sé stesso il frutto di tanto sudore della fronte degli altri.

E' la fotografia di una classe imprenditoriale predatrice, attorniata da stuoli di avvocati e commercialisti che consentono con laute consulenze che il meccanismo giro a loro esclusivo vantaggio.
Dicevo che volevo commentarlo e forse l'ho fatto (potete leggere uno stralcio dell'intervista qui sotto), ho letto però le dichiarazioni della Marcegaglia (tralascio quelle del nano con B di cognome e di mestiere ministro) che contesta Tremonti solo perché ha elogiato il posto fisso, al punto da individuarlo come "la base della stabilità sociale" (la Repubblica).
La signora dice che quella è roba del secolo scorso (il posto fisso).

Io sono sicuro che dai paradisi fiscali che ospitano una parte del patrimonio di questa gente (parlo della signora) qualcosa rientrerà in Italia. Magari per dare una mano alla nazione.
E di questo le sono sinceramente ed in modo commosso grato. Penso anche che di fronte a questi illuminati e moderni capitani d'industria qualcosa bisogna concedere. Mi sfugge cosa può essere da terzo millennio per la tizia, cosa le possiamo concedere in più, cosa potrà mai soddisfare la sua fame di modernità. Quale parte della mia condizione umana deve essere ancora sacrificata per farla sentire (insieme ai suoi amici) soddisfatta.

E se mi girassero i coglioni? Così tanto per fare dell'avanguardismo del terzo millennio mi venisse in mente di fare il Kamikaze e farmi esplodere insieme a questa gentaglia?
Saremmo tutti soddisfatti.
Lei con una bella lapide con su scritto "sognava un'Italia moderna e morì incompresa", io "non riuscì a realizzare i suoi sogni ma consentì a qualcuno altro di realizzare i suoi ripulendo la strada".


"Fonte: sole24 ore
Lo chiameremo, con scarsa fantasia, Mario Rossi. Niente nomi veri, niente ragione sociale: il nostro Mario Rossi è uno "scudiero" molto nervoso e, anche, arrabbiato. Con i giornali, in primo luogo: «Tutti quei titoloni sulla caccia agli evasori sono ridicoli. Mi irrito quando leggo che rientreranno cento miliardi occultati o riciclati. Io aderirò allo scudo fiscale, ma non sono e non mi sento un evasore. E mi secca molto che lo scudo si sia trasformato in un calderone dove il Fisco trita tutto e tutti uniformemente: imprenditori, riciclatori, speculatori e fighetti che inventano prodotti finanziari tossici, alla base della crisi attuale».

Cosa voleva, uno scudo per soli imprenditori? «Uno scudo, o una via preferenziale, riservata a chi riporta i fondi in azienda. Le banche hanno chiuso i rubinetti e noi siamo costretti a mettere mano a tutti i fondi disponibili per non affogare. Beni personali e beni allocati all'estero: questo sforzo va appoggiato, sostenuto e, in qualche modo, premiato. C'è una netta differenza tra chi riporta fondi in Italia per far girare l'azienda e chi fa rientrare frutti di speculazioni finanziarie o grandi rendite che non si tramutano in investimenti e lavoro».
Mario Rossi è anche arrabbiato con la Guardia di Finanza: «Ci vogliono costringere ad aderire allo scudo con la minaccia di stanarci uno per uno. E di mandarci sui giornali per evasione fiscale. Ma non sarebbe meglio cercare con il bisturi il mafioso che ripulisce capitali della droga o di altre carognate? Perché pretendere una lista con i nomi di tutti i correntisti? Non si fa di ogni erba un fascio».

Mario Rossi è un imprenditore. Suo padre aveva avviato, a metà degli anni 70, un'attività di commercio internazionale nel settore dei componenti in plastica: «Erano anni duri, ogni giorno uno scontro con il sindacato, il terrorismo colpiva con regolarità, il più grande partito comunista dei paesi occidentali era a un passo dal governo. È diventato naturale, in quegli anni, trattenere una piccola quota di fondi all'estero».

All'inizio, racconta, usavano una fiduciaria inglese come intermediazione con il cliente finale: «Trattenevamo il 20%, senza esagerare con carichi eccessivi e ingiustificabili. Lo chiamavamo, in codice, tuenti, da twenty. Dicevamo: a quella ditta fai il tuenti e il responsabile amministrativo capiva. E il tuenti diventava tuenti faiv quando eravamo sotto pressione per adempimenti burocratici assurdi o in periodi di dichiarazioni fiscali. Una specie di protesta civile contro i cavilli. Volevamo creare una piccola riserva, niente di più. Poi, quando sono subentrato io alla guida dell'azienda, mi sono posto il problema di cosa fare. Erano gli ultimi anni della prima repubblica: partiti in sfacelo, leggi finanziarie con manovre mostruose.

Ricordo bene la tassa straordinaria, imposta dalla sera al mattino, sui conti correnti. C'era il concreto rischio che l'Italia non entrasse nell'area monetaria europea, sarebbe stato un disastro. Per questo ho dato una veste internazionale all'azienda: ho creato una società alle Antille che a sua volta ha dato vita a una società di diritto olandese che è diventata socia, con il 50% delle quote, della mia azienda».
Questo per risparmiare sulle tasse? «No, assolutamente no. Il risparmio fiscale non c'entra. Il livello tra fisco italiano e olandese è tutto sommato uguale. C'è solo una differenza di cinque punti percentuali tra la tassazione dei dividenti in Olanda e quella in Italia, ma non vale la pena rischiare per così poco."

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