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No all’immunità: An e Lega tradiscono Silvio?

Mentre il Presidente del Consiglio ne ha bisogno come il pane per rimediare alla sentenza della Consulta sul Lodo Alfano, finiani e leghisti non sembrano disponibili a dare il proprio incondizionato appoggio come un tempo. Fino a quando? Hanno un chiodo fisso, il Cavaliere e i suoi: introdurre nel nostro ordinamento questa norma: “Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a procedimento penale”. E’ l’articolo 68 della Costituzione in vigore dalla nascita della Repubblica fino alla fine del ’93, fin quando, sull’onta di Tangentopoli, il Parlamento decise di modificarlo con una norma più soft. Ecco l’articolo votato 16 anni fa insieme da rifondaroli e missini, passando per i repubblicani: “Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza”. A Silvio Berlusconi una norma così non può bastare. Perciò ci si muove dalle sue parti: per adattarla alle sue esigenze. Ma mentre una volta Silvio in materia di giustizia aveva alleati davvero fedeli, pronti a seguirlo in maniera incondizionata, anche a costo di dover votare leggi ad personam turandosi il naso, oggi il loro sostegno non è scontato. Dopo aver appoggiato il Cavaliere per quasi un decennio, gli alleati storici cominciano a far sentire i loro distinguo. Se gli ex An avevano già qualche giorno fa manifestato perplessità su una forzatura come quella di riportare indietro l’immunità a quella sancita dai Padri Costituenti, oggi è stata la volta del partito di Bossi nel prendere le distanze da qualsiasi modifica all’articolo 68 della Costituzione.
INVERSIONE DI TENDENZA – Roberto Calderoli non ha usato mezze misure: “La Lega aveva votato nel ‘93 contro l’immunità parlamentare – ha fatto sapere il ministro per la Semplificazione Normativa – e resta contraria alla sua reintroduzione perchè se un politico sbaglia deve essere processato, come qualsiasi cittadino. Il malato non è l’art. 68 della Costituzione ma la Giustizia. Basti considerare che Pm e Giudici vivono, lavorano e vanno a mangiare insieme per proseguire con il Csm che non è parte terza e nell’ambito del quale sono ufficializzate varie correnti politiche. C’è poi la Corte Costituzionale che vede al suo interno degli schieramenti politici perchè il sistema di nomina discende da un Parlamento eletto con legge proporzionale. Oggi c’è il bipolarismo che incide anche sulla elezione del Presidente della Repubblica, sulle nomine che lui fa e sui membri indicati dal Parlamento”. Italo Bocchino, vicecapogruppo del Pdl a Montecitorio, invece, ci teneva a precisare che sulla questione “si può procedere solo se c’è larga condivisione”. E parlare di larga condivisione, viste le prese di posizione nette e contrarie di Franceschini, dell’Idv, di Casini (“Non è il momento”, diceva l’ex presidente della Camera), equivale a pronunciare un secco no all’iniziativa. Inoltre, Filippo Berselli e Giulia Bongiorno, rispettivamente presidente della commissione Giustizia del Senato e della Camera, fra i parlamentari ex An del Pdl rimasti fra i più vicini al Presidente della Camera Gianfranco Fini hanno messo le mani avanti sollevando parecchi distinguo sull’ipotesi di una marcia forzata verso una riforma del sistema giudiziario a tappe forzate e blindate. LE PROPOSTE – Dura vita, dunque, per i Ddl che già sono sul tavolo della Prima Commissione Parlamentare (Affari Costituzionali) e che vorrebbero, nella sostanza, riportare indietro l’articolo al 1948. Si legge nella relazione che accompagna gli articoli del disegno di legge di cui è primo firmatario l’On. Renato Farina (Pdl): “Le vicende rubricate sotto la denominazione di “Mani pulite”, oltre a originare indagini e processi per casi di vera o presunta corruzione nell’ambito della pubblica amministrazione con il coinvolgimento di parlamentari, determinarono anche un clima di intimidazione che indusse la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica, irretiti dal “tintinnar di manette” e da lanci di monetine, a modificare l’articolo 68 originario, nel quale l’immunità non era certo pensata come un privilegio a cui eventualmente rinunciare ma come una prerogativa non tanto di singoli parlamentari, quanto del popolo che in tal modo tutelava la propria sovranità espressa con il libero voto”. Molto chiaro anche il testo presentato nell’altro ramo del Parlamento dal senatore Andrea Pastore ed altri otto colleghi: “La proposta – scrivono – intende attribuire alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica una prerogativa tipica, quella di valutare l’eventuale intento persecutorio o il carattere manifestamente pretestuoso di procedimenti penali intrapresi nei confronti di deputati e senatori”.
IL TRADIMENTO – Tempi che cambiano, insomma. Gli stessi che oggi lasciano Silvio solo ed abbandonato a se stesso non si erano mai tirati indietro nel soccorrerlo. Anche a costo di sacrificare il loro dna che li richiamava al rigore. Quando era il momento di votare l’indulto, ad esempio, furono gli unici, insieme all’Italia dei Valori a non piegarsi al pensiero unico del Parlamento. Lega Nord e An fondarono, nel 2006, una sorta di partito della certezza della pena, un’area politica che professava la giustizia giusta e uguale per tutti, un’area poco incline sulla carta a quel garantismo mai fatto completamente proprio dalle forze politiche che si dicono di destra, ma un’area che, nei fatti, all’occorrenza sarebbe stata comunque pronta a sacrificare i propri ideali pur di difendere il Capo della coalizione dal rischio di sentenze sfavorevoli, proteggendolo dalle condanne delle toghe “politicizzate”, “faziose”, “rosse”. Dal 2001 in poi erano stati disposti a tripli salti mortali pur di giustificare imbarazzanti provvedimenti dei governi Berlusconi di cui erano parte integrante, ma nei quali, in materia di giustizia la linea da seguire era esclusivamente subordinata alle esigenze del leader della coalizione: fu così, dunque, che ebbero strada spianata l’approvazione delle depenalizzazioni del falso in bilancio, della legge Cirielli, del Lodo Schifani, del Lodo Alfano. Senza freni. Oggi il Cavaliere, invece, incassa il no. Ma, per tutto quello che ha ricevuto finora, non si può affatto lamentare.

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