Pages

"La resurrezione del Cavaliere", un'opera firmata centrosinistra

di Alessandro Tauro

E' accaduto ancora una volta, per l'ennesima volta. La crisi che avvolge, scuote e disarma il centrodestra riesce a mietere più vittime tra le file dell'opposizione che all'interno dei propri accampamenti.
Se la diatriba interna alla maggioranza di governo non stesse assumendo i connotati da strappo insanabile, sarebbe lecito (e anche logico) pensare che ci sia una regia occulta intenta ad infliggere colpi letali alla già traballante "salute politica" del centrosinistra attraverso terremoti politici a destra opportunamente simulati.

Il centrosinistra è oggi più diviso che mai. Non solo sul percorso da intraprendere nel caso in cui il governo Berlusconi si trovasse ad affondare nei fondali oceanici, ma su ciò che dev'essere il centrosinistra, sui connotati che deve assumere l'alternativa politica al berlusconismo. E, ancora prima, sull'eventualità di mantenere ancora in vita in questo paese una sinistra o un centrosinistra.

Il Partito Democratico è impegnato a puntare le pochissime fiches a disposizione su una convergenza politica, programmatica ed elettorale sulla coppia Fini-Casini. Lo stesso Presidente del partito, Rosy Bindi, ha ribadito ieri con chiarezza quella che è la linea bersaniana per i prossimi appuntamenti elettorali: un'alleanza che vada da Vendola a Fini, passando per Di Pietro, Casini e Rutelli.
Eravamo convinti di aver archiviato le allenze pastrocchio stile 2006 (da Diliberto a Mastella). E lo eravamo ancora di più dopo aver visto il trionfo di Nichi Vendola nella Puglia neroblu e la sconfitta del larghissimo centrosinistra (dall'UDC alla Federazione della Sinistra) del rossastro Piemonte. Ora ci rendiamo conto di aver assaggiato solo l'antipasto.

Non tutta la dirigenza democratica sposa però con passione la linea del segretario; Follini, Fioroni, Letta, Boccia ed altri ancora puntano a spingersi ancora più in là, a scaricare da subito Vendola e Di Pietro e a costruire un percorso politico limitato al duo Fini-Casini: la storia della sinistra che si fece centrodestra.

Ciò che cinque anni fa sarebbe sembrato il delirio di un incosciente (un governo appoggiato dal centrosinistra retto da due dei tre ex-leader del centrodestra), oggi si presenta come la più probabile prossima evoluzione politica.

Eppure, a dispetto da ciò che viene sapientemente dipinto oggi dal Partito Democratico, Gianfranco Fini non ha creato alcuno strappo con il premier Berlusconi: non ha lasciato il PDL ma è stato bruscamente cacciato da quest'ultimo, non ha mai bocciato o messo in crisi un provvedimento del governo, ha ribadito fedeltà al centrodestra ed al suo leader.
Ha cercato negli ultimi due anni di rimarcare il proprio ruolo fondamentale all'interno di un partito divenuto sempre più una riedizione di Forza Italia. E lo ha fatto richiamando improvvisamente questioni morali, difese repubblicane e imperativi civili che non avevano mai trovato spazio nel suo mondo negli ultimi 16 anni. Ma utili e funzionali a scatenare le ire di un leader indiscutibile.

L'idea di un governo ampio Fini-Casini-Bersani (per altro numericamente minoritario alle camere) non è un'idea che solletica gli appetiti dei soli dirigenti democratici. Illustri giornalisti come Paolo Flores D'Arcais e Curzio Maltese, di scarsa contiguità ai dettami PD, oggi sostengono come unica soluzione possibile quella di un governo tecnico costruito attorno a tre comandamenti principali: gestione a breve termine della crisi economica, riforma elettorale, legge sul conflitto d'interessi.

Ma quali riforme? E con quale maggioranza? Questa l'identica risposta fornita da Nichi Vendola ed Antonio Di Pietro, destinatari della lettera aperta del direttore di Micromega. Quale maggioranza parlamentare oggi si prenderebbe la briga di riformare la legislazione sul conflitto d'interessi, ripristinerebbe il sistema delle preferenze e varerebbe un piano omogeneo di ripresa dalla crisi economica, in piena campagna pre-elettorale?

Il governo di larghe intese così largamente sostenuto oggi in Italia avrebbe di fronte a sé una strada obbligata, una strada segnata dalle preferenze dei suoi potenziali componenti: abbandono del sistema bipolare, costruzione di maggioranze di governo dopo le elezioni, mantenimento delle liste bloccate.
Una strada in grado di produrre tre possibilità: il celebre governo "da Vendola a Fini", la più improbabile, un governo che unisca il Partito Democratico ai settori non berlusconiani del centrodestra, una nuova vittoria di Silvio Berlusconi a fronte di un'opposizione divisa.

Se la strategia del centrosinistra (o di ciò che ne rimarrebbe) consiste nella vittoria a tutti i costi, con ogni alleato possibile, al fine di sconfiggere Berlusconi per poi riconsegnargli le chiavi del paese dopo qualche anno di stasi ed ingovernabilità, la soluzione migliore potrebbe essere quella finora mai considerata: scegliere Berlusconi come prossimo leader di una coalizione PD-UDC-FLI-PDL-LN.

Una coalizione così, con un leader così, non può che essere destinata al trionfo.

dal sito http://alessandrotauro.blogspot.com/

btemplates

0 commenti:

Posta un commento