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Crepuscolo solitario: Berlusconi travolto dalla crisi

“Futuro e libertà per l’Italia”: questa la sigla scelta da Gianfranco Fini per i due nuovi gruppi parlamentari coi quali, al Senato ma soprattutto alla Camera, il premier dovrà ora confrontarsi per sperare di restare in sella, dopo lo “schiaffo” inflitto all’ex leader di An, reo di aver di fatto neutralizzato la legge-bavaglio e denunciato il saldo negativo tra Pdl e legalità, dopo i casi Scajola, Brancher, Verdini e Cosentino. Messo fuori dal Pdl, Fini ha schierato le sue truppe in Parlamento: una dozzina di senatori e, a sorpresa, 34 deputati. Quanto basta per condizionare il futuro del governo in nome «dell’interesse generale», ovvero: giustizia sociale (stop alla guerra agli immigrati) e legalità politica (no alla corruzione del potere).
Se, come annota Marcello Sorgi sulla “Stampa”, la “cacciata” di Fini dal Pdl è potuta maturare grazie all’appoggio degli ex “colonnelli” finiani, da Gasparri

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a La Russa, ormai conquistati alla causa berlusconiana, scondo “L’Unità” le sorprese potrebbero proseguire in Parlamento, dove alcuni esponenti del Pdl – da Santo Versace all’ex ministro Beppe Pisanu, ora presidente dell’Antimafia – non hanno gradito la “crociata” contro il presidente della Camera. Sorgi parla di una «metamorfosi uscita dalle rovine del Pdl: da partito unico del centrodestra a partito esclusivo del presidente», grazie a una «nuova forma di cameratismo» che marchia una nuova identità collettiva che ricorda la stagione del “Caf”, il patto di potere tra Craxi, Andreotti e Forlani «caratterizzato da intercambiabilità, indifferenza ed empirismo senza principi, piegato al mantenimento del potere, che visse una breve fortuna e accompagnò la Prima Repubblica verso la fine».
«Berlusconi – scrive Mario Sechi, direttore del “Tempo” – non avrà il problema di finanziare la sua avventura», mentre a Fini toccherà «puntellarsi nel Palazzo» e «trovare i soldi per mandare avanti la baracca». Una sfida senza quartiere: «Come in ogni guerra d’assedio che si rispetti, i lealisti berlusconiani cercheranno di tagliare viveri e rifornimenti ai ribelli finiani», che minacciano – grazie al loro numero – di «rendere la vita durissima a Berlusconi». Secondo Sechi, per sopravvivere la maggioranza dovrà per forza allargarsi ad altre forze. «Primo segnale: ieri il gruppo di


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Rutelli ha votato la riforma universitaria della maggioranza». Quali le prossime mosse? «Stavolta chi darà lo scacco matto non concederà la rivincita all’avversario».
Per Antonio Polito, direttore del “Riformista”, a colpire è ancora una volta «la maledizione di metà legislatura» che impedisce a Berlusconi di governare con continuità: «Accadde già nella legislatura 2001-2006, ed anche allora tutto cominciò con un mal di pancia di An, causato dalla sconfitta del candidato della destra alle provinciali di Roma. Si avviò così un percorso di crisi virtuale del governo (rottura con Casini, subgoverno con Fini, caduta di Tremonti e ritorno di Tremonti) che portò il berlusconismo sfinito e di fatto già sconfitto alle elezioni. Stavolta non c’è voluta nemmeno un’elezione locale perché la maledizione si avverasse: da oggi la maggioranza politica uscita dalle urne non c’è più».
Una tranquillità sfortunatamente minata dal cupo scenario di due crisi internazionali – ieri l’11 Settembre, oggi il crac finanziario del capitalismo globale – ma anche i limiti politici del premier: «I governi Berlusconi soffrono tutti di spossatezza e debilitazione programmatica», continua Polito. «Nati per rifare il sistema della giustizia penale, di solito si riducono a una Cirielli o a un lodo Alfano, quando non scivolano nell’obbrobrio di un caso Brancher. Nati per scrivere la libertà d’impresa addirittura nella Costituzione, finiscono per inciampare su un articolo 18, sbattere il muso su

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Marchionne o inseguire Bossi sulle quote latte. Così che quando Berlusconi esalta il governo del fare è come se ammettesse implicitamente la fine del governo del pensare».
Incapace di cambiare l’Italia secondo promesse, scrive Polito, «Silvio di solito si riduce a gestirla come meglio può», mettendo in mostra i limiti del suo potere, carismatico ma impacciato nei corridoi della leadeship politica: «L’uomo che passa per essere il grande seduttore è riuscito a litigare con Umberto Bossi nella prima legislatura, con Pierferdi Casini nella seconda e con Gianfranco Fini nella terza. Avendo così esaurito l’intera gamma dei suoi alleati, tant’è che per cercarne di nuovi è già al secondo giro con Bossi e sarebbe pronto a tornare anche con Casini». Quello che ne esce peggio è proprio Berlusconi, insiste Polito: «Prima o poi gli elettori si chiederanno se è sempre colpa di qualcun altro quando il governo si arena». Espellere il dissenso?  «Più soli non ha mai voluto dire più forti; non in politica. Dalle maggioranze bulgare che avevano dato a Berlusconi, gli italiani si aspettavano anni tranquilli e fattivi, non questo Vietnam», che porta l’Italia in acque incerte, «inesplorate anche per Bersani e per l’opposizione».
E mentre Gad Lerner avverte dal suo blog che «nei prossimi mesi» sarà Umberto Bossi a vibrare il fendente decisivo contro Berlusconi, «il

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Napoleone declinante», il direttore di “Megachip”, Pino Cabras, offre un’analisi drammatica della situazione: «Il blocco di potere che si è saldato intorno al Caimano – scrive – non regge agli effetti della Grande Crisi economica e finanziaria, ingovernabile per una galassia di cricche parassitarie, tanto meno governabile se l’unica missione-paese che propone è il vecchio piano di Gelli innestato nello sfacelo statuale del leghismo, il tutto tenuto insieme dal kombinat politico-mediatico-paramassonico fondato da B. e Dell’Utri».
Secondo Cabras, è questa la ragione per cui Fini ha da tempo «iniziato il suo pellegrinaggio presso logge e poteri forti, in Italia e fuori: lui e loro sono consapevoli che la gelata è finita e che il caos repubblicano si ritrova a fare i conti con i fantasmi del 1993, i segreti indicibili, i complotti, e avrà bisogno di nuovi equilibri». Se i nostalgici dei governi tecnici fanno già scaldare i motori «ai Goldman Draghi e ai D’Alema» i quali «sibilano auspici per un velleitario “patto per la crescita”», in realtà nessuno di loro dirigerà una rinascita: «Chiunque governerà ora – afferma Cabras – sarà un curatore fallimentare che livellerà il tenore di vita di un paese in rotta fino agli standard della Serbia», alle prese con «una fase politica piena di incertezze e pericoli» nella quale «occorrerà coniugare difesa dei diritti con idee politiche nuove e autonomia di pensiero, senza andare a rimorchio di alcuna moda né di alcun leader partorito dalla casta».

dal sito www.libreidee.org

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