di Tommaso Vaccaro
     
ROMA - Anche a Termini  Imerese, dopo gli stabilimenti Fiat di Melfi e Cassino, i 2.200 operai  impiegati nell’assemblaggio della Lancia Ypsilon tornano a lavoro. Da  queste parti la malinconia da rientro post-vacanziero è un “lusso” del  passato. Come quell’odiato primo giorno di scuola che, a distanza di  anni, assume la forma di un ricordo gradevole, spesso rimpianto.
 Nel volto mesto degli operai che fanno il loro  ingresso in fabbrica dopo la pausa legata alle ferie e a una settimana  di cassa integrazione,  resta soltanto la preoccupazione per un futuro  che – stando alla situazione attuale – appare segnato.
Il conto alla rovescia di Termini Imerese
Nel  calendario, le tappe cerchiate con il pennarello rosso sono quelle del   20 settembre, quando scatteranno altre due settimane di Cig; il ritorno  alle catene di montaggio previsto per il successivo 4 ottobre; il  fatale appuntamento con la fine del 2011, quando il Lingotto darà il  benservito allo stabilimento siciliano, chiudendone per sempre i  battenti.   
Nel mezzo, c’è la data del 15  settembre con l'incontro fissato al ministero dello Sviluppo economico  per iniziare a sondare le eventuali offerte di rilevamento della  struttura.
      
Peccato  che il governo, proprio in quei giorni, sarà impegnato giorno e notte a  cucire le toppe ad una maggioranza sempre più lacerata, tra i tira e  molla con i finiani e le minacce del Carroccio. “Se sono stati latitanti  prima – presagiscono infatti le tute blu di Termini Imerese –  figuriamoci che attenzione avranno ora per la nostra emergenza”.
I viaggi di Sergio
      
Ma  la cassa integrazione a singhiozzo riguarda un po’ tutti gli  stabilimenti italiani. Lui, Sergio Marchionne, l’ad dell’azienda  torinese, sale a bordo del suo elicottero per visitare all’alba la  fabbrica di Cassino. Incontra gli operai, il direttore della struttura e  poi riparte dopo nemmeno un’ora. Altro che una nuova gamma di prodotti  credibili. La politica aziendale targata Marchionne passa in primo luogo  dalle pubbliche relazioni dell’Amministratore delegato. Al Meeting, in  fabbrica, negli Usa. Tutto va’ bene, purché se ne dia notizia.
Le cifre del ‘disastro Italia’. “L’antropologia positiva” di Sacconi
  
Così  mentre mezzo milione di posti di lavoro restano in bilico e centinaia  di aziende della Penisola non rialzeranno mai, colpevole la crisi, le  saracinesche abbassate per la pausa estiva, la prima brezza settembrina  stimola le riflessioni del Ministro del Welfare, Maurizio Sacconi. 
  
“Solo  i lavoratori e le loro organizzazioni possono determinare quella  produttività che garantisce il ritorno dell’investimento” vagheggia l’ex  socialista dalla pagine del Corsera. Farfuglia una “antropologia  positiva” che passa dalla formula “meno Stato e più società”  sull’impronta, continua Sacconi, della “tradizione francescana”. 
      
Un  pugno allo stomaco a fronte di un sistema produttivo, quello italiano,  in piena fase di liquidazione, con oltre 650.mila dipendenti di aziende  in crisi che nel futuro non scorgono altro che il baratro della  disoccupazione. E non certo per colpa dei lavoratori stessi, 400mila dei  quali a breve resteranno a spasso.
  
Made in Italy. E’ strage dei grandi e piccoli marchi
Del  “made in Italy”, un tempo sbandierato dagli “ottimisti” come il volto  inossidabile del Bel Paese, non resta infatti che una distesa di  carcasse dai nomi altisonanti. Fallisce la Itierre con i suoi marchi  Just Cavalli, Galliano, C’N’C, Ferrè e i suoi 1.500 dipendenti. 
        
Al  30 giugno 2010, la posizione finanziaria del fallimentare Mariella  Burani Fashion Group (1.500 dipendenti) è negativa per 358,611 milioni  di euro. Gli effetti per le quattromila aziende fornitrici  monocommittenti saranno immediatamente devastanti, con migliaia (fino a  seimila) posti di lavoro che potrebbero saltare.
  
Lo ‘scontrino’ della crisi. Pagano i lavoratori
E  ancora c’è il dramma dei 350 della Nokia-Siemens, dei 700 della Ixfin  di Caserta e dei 1.400 dipendenti della Ex-Jabil. Per quanto riguarda la  Finmek, saranno in mille, divisi tra il Veneto, l’Abruzzo e la Campania  a piangere le conseguenze di una crisi tutt’altro che alle spalle. 220 i  lavoratori della Ritel di Rieti e 800 quelli della Micron ad Avezzano.  Questo solo nel settore delle apparecchiature elettriche. 
  
Ma  sono tanti i capitoli di questo libro dall’esito annunciato. C’è la  chimica, con i 400 della Portovesme a Cagliari che rischiano lo  stipendio, gli 800 della Ineos Vinyls in Veneto, Romagna e Sardegna, i  300 della Montefibre a Venezia, i 450 della Nuova Pansac veneta, i 200  della Basell a Terni, gli 80 della Krotongres a Crotone. C’è il settore  degli elettrodomestici: i 4.000 della Merloni in Emilia, Umbria e  Marche, i 500 della Electrolux in Veneto, i 150 della Riello a Lecco, i  150 della San Giorgio a La Spezia, i 900 della Siltal in Piemonte,  Veneto e Campania, gli 800 della Indesit in Piemonte, Lombardia e  Veneto. Una strage di posti di lavoro e di aziende che spazzerà il  comparto dei cosiddetti “prodotti per la casa” in un sol colpo:  rischiano il posto e lo stipendio i 120 della Cesame a Catania, i 550  della Nicoletti a Matera, i 450 della Saint Gobain a Savigliano in  Piemonte, i 650 della Ideal Standard a Brescia e in Friuli, i 1500 della  Natuzzi a Bari.
A parte il caso Tirrenia, e i 3mila posti a  rischio, ci sono poi i capitoli disastrosi sulla Firema, la Fervet, la  Ferrosud e la Keller che sta chiudendo il sito produttivo in Sicilia  senza dare garanzie per quello sardo. Ci sono i 450 lavoratori della  Grimeca a Rovigo i 200 della Manuli, i 200 della Astigiana  Ammortizzatori, i 400 della Rieter, i 250 della Sogefi, i 1200 della  Oerlikon Graziano, i 200 della Cantieri Apuania, i 300 della Eaton, i  300 della Fincantieri di Castellammare di Stabia, i 500 della Atr. 
  
Tanti  (troppi) numeri che forse possono confondere, ubriacare. Ma solo se  presentati nella loro crudezza, quasi come uno scontrino del  supermercato, rendono pienamente le dimensioni di una spesa troppo  onerosa. Un prezzo che l’Italia non sarà in grado di pagare.