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Le alternative politiche al bar dello sport 2: vince Vendola

di Franco Cilli
 

Sono stato contento di leggere sul Manifesto della partecipazione di ampi settori del movimento, sia di quello del nord est rappresentato da Luca Casarini sia di quello romano, ai lavori di una delle cosiddette “fabbriche” di Vendola.
Sono anni che sbraito come un vecchio petulante sforzandomi di far passare l'idea che è necessario creare una sorta di organismo politico composito, frutto dell'accordo di realtà sociali e sensibilità politiche differenti, con il solo scopo di realizzare in Italia una transizione da un sistema politico mafioso clientelare ad uno più evoluto, borghese certamente, ma maggiormente garantista dal punto di vista dei diritti elementari.
Ho posto questo problema in ragione di una situazione di emergenza democratica ed ambientale.
Da quanto si capisce dall'articolo sul Manifesto, finalmente si parla di dipietristi e grillini come possibili interlocutori, rinunciando alla solita patetica elencazione dei misfatti e delle impurità degli uni e degli altri.
Credo che un'alleanza fra forze sociali legaliste, la sinistra e il movimento, sia necessaria ed anche inevitabile. Conti alla mano non esistono altre strade praticabili, se si vuole considerare il problema istituzionale come non rinviabile e prioritario.
Ho ripetuto fino alla nausea, che un patto fra queste forze non comporta abiure o tradimenti dei propri ideali e della proprie vocazioni da parte di nessuno.
La necessità di realizzare un ricambio del ceto politico italiano, è dettato dall'urgenza di avere una classe politica con cui contrattare condizioni più favorevoli riguardo al lavoro, ai diritti e all'ambiente.
Si dirà che determinate discriminanti sono irrinunciabili e che la richiesta di maggiori diritti è inscindibile da una radicalità dei contenuti politici. Torno a dire che quando ci ritroveremo in una di stato di natura, mascherato da un'oligarchia apparentemente legittimata dal volere popolare, tutto questo non avrà più senso. L'obiezione che è inutile guardare la proprio cortile di casa quando i problemi hanno una natura globale è giusta solo in parte. In primo luogo non si può fare finta che gli stati nazionali per quanto indeboliti e soppiantati da organismi sovranazionali non esistano più o abbiano smesso di condizionare la vita di milioni di persone. In secondo luogo va considerato che proprio partendo da una dimensione nazionale si possono innescare meccanismi di cambiamento globale. Chavez, Lula, Morales, sono fenomeni che rappresentano il riverbero della politica e delle parole d'ordine del movimento su una dimensione nazionale, e il peso di queste realtà si misura sia su scala locale che all'interno di un sistema globale.
Occorre inventarsi la capacità di portare il conflitto dentro le istituzioni, accettando l'idea della mediazione e mettendo da parte le discriminanti irrinunciabili, per quanto possa apparire doloroso. Allo stesso tempo è necessario riuscire a coniugare l'amministrazione di uno stato con un progetto politico di cambiamento radicale della società. È una quadra difficile, ma non impossibile.

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