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Governo e Regioni, la rottura è servita

di Carlo Cipiciani


L’atteso incontro tra Berlusconi e Tremonti da un lato e i presidenti delle Regioni dall’altro per i pesantissimi tagli ai trasferimenti alle amministrazioni regionali si è chiuso con una rottura. Le regioni dicono che i tagli alle loro finanze sono insostenibili, irragionevoli, squilibrati, la negazione del federalismo. Tremonti (e Berlusconi, pur più defilato) dicono che nelle Regioni ci sono cialtroni, che la spesa per le invalidità è andata fuori controllo, che le esse sono le principali responsabili dell’aumento della spesa pubblica, che i tagli sono equilibrati perché il governo nazionale “ha già dato”.
Con buona pace di molti soloni editorialisti dei principali quotidiani nazionali che forse non sanno di cosa parlano, hanno ragione le Regioni. Prima di tutto, perché in un Paese serio le istituzioni si rispettano, non si offendono e non si insultano. E, come prevedono le leggi varate proprio dal governo Berlusconi, la manovra si decide insieme, non si impone all’insegna del “ghe pensi mi”. E’ un fatto di forma: il rispetto di leggi dello Stato. E’ un fatto di sostanza: la condivisione è l’arte del buon governo, l’autoritarismo all’amatriciana è roba da repubblica delle banane.
Poi perché non è vero, come dice Tremonti, che la spesa regionale cresce più di quella del governo nazionale. Dati di Istat, ministero dell’Economia e Corte dei Conti portati sul tavolo dai governatori mostrano che l’amministrazione centrale ha un incremento di spesa pari o addirittura superiore a quello delle amministrazioni regionali. E infine perché il taglio di oltre 8 miliardi di euro in due anni è fuori da ogni logica. Se prendiamo la relazione appena presentata dallo stesso Tremonti sul federalismo fiscale, vediamo che il “costo” per il funzionamento delle Regioni a Statuto ordinario nel 2008 è stato di 2,8 miliardi di euro. Quindi, se le Regioni a statuto ordinario sparissero domani mattina, questo sarebbe il risparmio per i conti pubblici nazionali. Ma alle regioni si chiede quasi il doppio. Cosa si può ragionevolmente tagliare?
Tremonti ha “tagliato” con un tratto di penna i soldi che lo Stato trasferisce alle Regioni per le funzioni “Bassanini”, che lo Stato stesso ha loro delegato: trasporto pubblico locale, famiglia, non autosufficienza, fondo sociale, fondo per le imprese. Come garantire lo stesso quelle funzioni? Arrangiatevi voi, ha risposto Tremonti. Una trovata da vero uomo di governo che chiede “lacrime e sangue” al suo Paese: a fare il ministro così siamo capaci tutti. E il bello è che Tremonti sbuffa se adesso le Regioni, con mossa praticamente obbligata dicono: Ok, a queste condizioni noi non siamo capaci a risparmiare: riprendetevi le deleghe, e garantiteli voi questi servizi, con questi tagli. Se siete capaci.
Il braccio di ferro non è ancora finito, anche se i margini sono ristretti. La verità è che chi è senza peccato scagli la prima pietra. Ma se il ministro – e il suo presidente del Consiglio: a proposito, ma chi è che comanda lì dentro? – avesse proposto, in un’ottica davvero federalista, uno sforzo congiunto ed equilibrato di tutte le istituzioni, decidendo insieme come dove e quanto tagliare per i diversi livelli di governo, avrebbe poi avuto il titolo e l’autorità – se le Regioni avessero fatto le finte tonte e giocato a scarica barile – di imporre davvero i suoi tagli.
Ma così no: così si copre l’incapacità di tenere sotto controllo la spesa centrale, per accontentare gli appetiti di ministri e sottosegretari e delle burocrazie ministeriali scaricando tutto l’onere del peso della manovra sulle Regioni, proprio mentre – con grande faccia tosta – si declama di voler fare il “vero” federalismo. Ieri questa rottura si è consumata nel silenzio mediatico imposto dallo sciopero contro la legge bavaglio. Magari ci sbagliamo, ma così un paese non si governa. Si affonda. Quanto al federalismo, ormai, è un morto che cammina. Avvertite Bossi, che forse si sveglia.

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