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Padri e figli – 2

«Fra i più assidui partecipanti a queste meravigliose cavalcate di Silvio in quello che allora sembrava il mondo della sua fantasia c’era anche suo padre, un anziano signore discreto e cortese, pensionato della Banca Rasini, che ascoltava il figlio in silenzio, l’occhio fisso sul cronometro, e biascicando qualcosa che sui primi tempi ritenevo degli scongiuri. Un giorno, avvicinatomi di più a lui, sentii che mormorava, nelle pause del soliloquio di Silvio: “Desmila…Vintmila…Trentmila”. Gliene chiesi con lo sguardo il significato. “Sono”, mi mormorò all’orecchio, “gl’interessi che, mentre lui parla, stanno maturando nelle banche sui suoi debiti”»

«Silvio amava profondamente quel suo padre sommesso e sottomesso, sebbene fosse la sua antitesi, o forse proprio per questo; e che, dicevano, aveva un tale rispetto del denaro che, quando citava il suo amico Ottolenghi, lo chiamava Settelenghi per risparmiare un lengo. Il pover’uomo cercava di tenere quella specie di Grande Gatsby che la sorte gli aveva assegnato come figlio bene ancorato alla realtà, ma in fondo ne era – come tutti noi – affascinato, lo guardava con gli stessi occhi con cui gli astanti dovettero guardare Nostro Signore quando disse a Lazzaro: “Alzati e cammina”; ma senza mai liberarsi dal terrore che con Silvio il miracolo non si ripetesse»

«Silvio soffrì moltissimo per la morte del padre. Lo vidi piangere come una vite tagliata, e quella volta erano lacrime vere. Qualche giorno dopo, parlando di lui, mi disse: “D’ora in poi mio padre sei tu”. Mi chiedo a quanti altri lo aveva già detto, o stava per dirlo. Ma sono arciconvinto che a tutti lo diceva con la stessa assoluta sincerità»

«Ecco perché mi fa tanto male vederlo sul video con quel sorriso fasullo, quasi un ghigno, che non ricorda neanche di lontano la bella risata fresca e squillante del Silvio di Arcore, non ancora Cavaliere. Quante bugie mi diceva anche allora. Ma come volergliene? Erano le sue chansons de geste, qualcosa di mezzo tra “I Tre Moschettieri” e Il “Barone di Münchausen“, senza nessuna pretesa di credibilità. Ora le presenta come un programma di governo che, anche se mantenuto al cinque per cento, non basterebbe più chiamarlo “miracolo”. Ad ognuna di esse, quando gliele risento snocciolare dal video, mi viene fatto di biascicare: “Desmila…Vintmila…Trentmila”. Ma senza nessuna speranza che stavolta Lazzaro si alzi e cammini»

Indro Montanelli, 22 luglio 1994.
Tratto da La mia eredità sono io – Pagine da un secolo
BUR Scrittori Contemporanei

dal sito http://phastidio.net

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