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Latouche si dice felice, beato lui!

Quello che segue è un articolo di Latouche che parla della sua felicità. Molte delle cose che racconta io le ho realizzate ma non perché sia un sostenitore della decrescita quanto perché l'unica cosa che lentamente sta sparendo è il mio reddito. Quindi ci sia arrangia, che non è una roba che hanno inventato quelli della decrescita.

A differenza di lui sono incazzato.
Incazzato perché questo limita la mia "libertà", le mie possibilità e quelle di mio figlio. Stavo molto meglio quando potevo viaggiare liberamente e conoscere nuove culture, comprare libri e riviste in quantità industriale (compresi i suoi).

Eppure uso la bicicletta (quando ne ho voglia), mi muovo a piedi e con il tram. Mica aspettavo lui per questo.
Vado al mercato sotto casa e lì trovo che le zucchine dei "contadini" costano 2 volte e mezzo quelle che mi vende il mio amico marocchino. Eppure le prime sono a km zero e le altre forse arrivano da Frosinone (non lo so se arrivano da Frosinone ma così è in termini di km percorsi ).
Allora quando Latouche scrive che "oggi non si tratta di trovare un nuovo modello economico ma di uscire dal governo dell' economia per riscoprire i valori sociali" mi fa proprio incazzare.
Mi chiedo come pensa di riscoprire  nuovi rapporti sociali; rapporti che valgano per tutti e non solo per qualche illuminato scrittore come lui che grazie alla rendita che gli procurano i suoi libri riesce ad apprezzarli più di me.
E allora capisco perché a questi "snob" non interessa un nuovo modello economico. Non gli interessa perché l'attuale permette comunque a loro di vivere felicemente di rendita. 
E allora mi chiedo " ma con tutte le possibilità e le capacità espresse possibile che non riusciamo a pensare ad un modello economico che sia democratico e che dia la felicità a tutti?
Perché quelli felici sono sicuramente quelli come Latouche ma anche quelli alla Briatore mica scherzano in quanto a felicità.


DI SERGE LATOUCHE
repubblica.it

Da molto tempo ormai non uso più l' automobile, mi muovo soltanto in bicicletta. Quando vengo in Italia, cosa che mi capita spesso, non prendo mai l' aereo, solo il treno. Anche se sono stato a lungo un amante della carne, ora ne mangio pochissima, mi diverto a scoprire altri sapori, perché gli allevamenti intensivi di bestiame sono tra le prime cause dell' inquinamento atmosferico. Un chilo di carne equivale a sei litri di petrolio. Preferisco comprare quel che mi serve nelle piccole botteghe e cerco di usare ogni cosa sino a consumarla del tutto. Piuttosto che buttare, riparo, anche se oggigiorno costa meno comprare un oggetto nuovo fabbricato in Cina. Ma preferisco appunto allungare la vita delle cose, o riciclare, combattendo così la filosofia dell' usa-e-getta, l' obsolescenza programmata dei beni.. Non possiedo un cellulare, e sto bene così. Pratico quello che il mio maestro Ivan Illich chiamava "tecnodigiuno".



Non guardo mai la televisione e ho soltanto un computer che mi permette di consultare ogni tanto le email. Non mi collego ogni giorno alla posta elettronica, faccio delle lunghe pause anche in questo. Spesso scrivo lettere a mano perché è un modo di dimostrare a me stesso che non ho bisogno di una protesi elettronica per comunicare con gli altri.
L' importante è resistere alla "tecno-dipendenza". Si può usare la tecnologia ma bisogna evitare di esserne schiavi. Benché faccia tutte queste rinunce rispetto allo stile di vita moderno, non sono da compatire. Invertire la corsa all' eccesso è la cosa più allegra che ci sia. La mia unica regola è la gioia di vivere. E' possibile immaginare una società ecologica felice, dove ognuno di noi riesce a porsi dei limiti, senza soffrirne perché non si sono create delle dipendenze. E' ormai riconosciuto che il perseguimento indefinito della crescita è incompatibile con un pianeta finito.

Se non vi sarà un' inversione di rotta, ci attende una catastrofe ecologica e umana. Siamo ancora in tempo per immaginare, serenamente, un sistema basato su un' altra logica: quella di una "società di decrescita". Io parlo di decrescita felice, perché sono convinto che si tratta di piccoli aggiustamenti che ognuno di noi può fare senza soffrirne. Da giovane ero un economista esperto di sviluppo. Negli anni Sessanta sono stato in Congo e poi nel Laos per attuare programmi di sviluppo economico. E' così che è incominciata la mia riflessione critica su questo modello di crescita continua. Pensavo essere al servizio di una scienza, in realtà si trattava di una religione. Gli economisti come me allora sono dei missionari che vogliono convertire e distruggere popoli che vivevano diversamente. Quando ho iniziato a non seguire più questa dottrina assoluta, in vigore ormai da decenni, ero molto isolato.

In Occidente nessuno ha avuto il coraggio di parlare di decrescita fino al 1989, dopo il crollo del Muro. Quando siamo entrati in un mondo globale, senza più differenze tra primo, secondo o terzo mondo, lentamente c' è stata una presa di coscienza. Oggi non si tratta di trovare un nuovo modello economico ma di uscire dal governo dell' economia per riscoprire i valori sociali e dare la priorità alla politica. Ognuno di noi può fare qualcosa intorno a quelle che io chiamo le otto ' R' . Ovvero rivalutare, riconcettualizzare, ristrutturare, ridistribuire, rilocalizzare, ridurre, riutilizzare, riciclare. Rivalutare significa per esempio creare un diverso immaginario collettivo, fatto dell' amore per la verità, di un senso della giustizia e della responsabilità, del dovere di solidarietà. Rilocalizzare vuol dire produrre a livello locale i prodotti necessari a soddisfare i bisogni della popolazione. Riutilizzare e riciclare è anche l' unico modo di evitare di essere sommersi dai rifiuti infiniti che stanno distruggendo la Terra. Le otto ' R' sono cambiamenti interdipendenti, che insieme possono far nascere una nuova società ecologica. Una società nella quale ci sentiremo di nuovo cittadini, e non più solo semplici consumatori.
 

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