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Venderò cara la pelle

di Lameduck

Il più grande statista italiano degli ultimi centocinquant'anni, giusto per capire in quale considerazione è tenuto dai vertici della politica mondiale, è stato fatto accomodare al tavolo della cena del G20 vicino a due presidenti africani - forse in onore del bunga bunga, e ben lontano da Obama e dalle quattro donne premier presenti. Giusto per non mandarlo in cucina al tavolo della servitù.
Un posto a tavola vale più di mille parole.

"Venderò cara la pelle, non mi dimetterò mai, chiamerò la gente in piazza". Anche se lui e i suoi giornali personali fantasticano di un finale come quello del  "Caimano", con orde di papiminkia sulla soglia della povertà che assaltano il Palazzo di Giustizia in difesa del nano fantastiliardario e dei suoi numerosi eredi, io fossi in loro starei attenta ad invocare la piazza e la guerra civile. 
L'ultima volta l'organizzatore è finito a testa in giù appeso ad un distributore. E il dopo non è stato un bello spettacolo.
Non che pensi che il popolo italiano potrebbe arrivare ad un piazzale Loreto con Berlusconi. Lui non lo merita mica. In fondo Mussolini una guerra, e pure mondiale, l'aveva fatta; uno straccio bisunto di impero l'aveva messo assieme. Questo, a parte difendere i suoi interessi con una trentina di leggi ad personam, non ha fatto letteralmente un cazzo. Al massimo meriterebbe di essere messo alla gogna in mezzo ad un tendone da circo, cosparso di pece e coperto di piume di gallina, a ricevere torte in faccia. Sommerso dal ridicolo. E magari dopo, un po' di bunga bunga.
 

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