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10 milioni di teste di c..., e le leggi del mercato.

di Debora Billi

"I telespettatori sono 20 milioni di teste di cazzo", così chiosava l'indimenticato Ettore Bernabei, direttore generale della RAI negli anni '60 e '70. Eppure, la TV trasmetteva ogni venerdì la "commedia teatrale" e mia nonna (quarta elementare), non se ne perdeva una. Trasmetteva anche i "romanzi sceneggiati", che non trattavano di finte contesse sedotte da attori-cani tra rose di plastica, ma erano roba come "Il mulino del Po" di Bacchelli, "La cittadella" di Cronin, "Davide Copperfield" e persino "La coscienza di Zeno". Avevano uno straordinario successo presso il pubblico italiano, che vantava ancora una buona percentuale di analfabeti. Quando ci chiediamo come mai la TV trasmette oggi soltanto tette, litigi e lacrime, ci viene risposto che è il pubblico a volerlo. E' il mercato, bellezza: se proponessimo cultura non la guarderebbe nessuno e non si guadagnerebbe denaro. Un po' come se al supermercato trovassimo solo shampoo all'albicocca e poi venissero a dirci che succede perché noi compriamo solo shampoo all'albicocca.
Ieri sera, dieci milioni di teste di c..., con punte di 20, hanno guardato orazioni civili sulla ndrangheta e racconti di vita su eutanasie vecchie di anni; hanno ascoltato qualche canzone immortale altrettanto demodé e seguito un pezzo teatrale sul battesimo di mafia. Appena due milioni di altre teste di c... hanno invece guardato le cubiste che fanno la doccia, su un network concorrente.
E' cambiato, improvvisamente, il mercato? Il pubblico chiede altro? Se così fosse, sarebbe lecito aspettarsi un'inversione di rotta delle produzioni televisive, in religiosa obbedienza alle leggi del mercato e del profitto. In fin dei conti, è questa la dottrina propinataci finora. Non si pretende certo che il pubblico abbia ritrovato i sofisticati gusti dei nonni analfabeti e torni ad apprezzare Italo Svevo, ma sicuramente vedremo d'ora in poi meno cubiste e più teatro, meno pianti in diretta e più cantautori.
Come dite? Non sarà affatto così? Beh, a pensarci bene tali segnali il mercato li aveva avuti già altre volte: come quando, del tutto inaspettatamente, i soliti milioni di teste di c... si sintonizzarono in massa su RaiDue e si sciropparono un'altra orazione civile di tre ore su un evento vecchio di trent'anni. Si trattava del Racconto del Vajont di Marco Paolini, che senza neppure un plastico tenne incollata al teleschermo mezza Italia nel 1997 e fece parlare i critici televisivi per mesi: chissà cosa diamine è successo, si chiedevano.
Nulla accadde neppure allora. Dove sono gli inserzionisti pubblicitari che pretendono audience a vagonate? Dove gli investitori che esigono milioni di telespettatori per battere ogni record? Dove i manager, pubblici e privati, che non vedono l'ora di conquistare lauti bonus grazie a tali clamorosi successi? La legge del mercato mi dice che ora sbatterano i pugni sul tavolo gridando "Basta cubiste! Vogliamo le orazioni civili! Vogliamo tanti sghei!".
A meno che... a meno che non sia affatto una questione di mercato, di profitto, di investimenti, di domanda e offerta. A meno che l'orda ventennale di tette e lagne e risse sia motivata da qualcos'altro, che non ha nulla a che vedere col business. Ma stento a crederlo, francamente: oggidì tutto è business, e io sono sicura che anche la TV si allineerà prontamente alle nuove e promettenti esigenze del pubblico.
Voi no?

dal sito http://crisis.blogosfere.it

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