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Il fax non squilla più

Rischio Calcolato ha ricevuto questa mail, che volentieri pubblica. E’ una lettera scritta da un imprenditore che ci ha chiesto, per evidenti motivi, di restare anonimo e che ci pare rappresentativa della situazione di tanti, troppi imprenditori che, ignorati dalla stampa e dalla politica, sono in tale difficoltà da mettere in dubbio la continuità aziendale. E si parla anche di aziende solide, con una storia pluri decennale alle spalle, passate attraverso molte altre crisi, sempre terribili, ma mai come l’attuale.


È da qualche tempo che, al mattino mi trovo ad ascoltare alla radio una rubrica chiamata “Venti di Ripresa, l’Italia che riparte”


La storie, raccontate tramite delle interviste, sono, in pratica, quasi sempre uguali le une alle altre: descrivono aziende che, nel 2009, hanno subito un grosso calo, diciamo del 30% sul fatturato, e che, nel 2010, sono tornate a crescere. In genere descrivono anche come abbiano fatto, e qui si dividono tra quelle [aziende] che hanno licenziato metà dipendenti e quelle che hanno cambiato, spesso in modo radicale, i prodotti o servizi offerti. Nella quasi totalità dei casi si parla di aziende che non vendono al pubblico ma che, o esportano, o hanno come clienti altre aziende.

Io ascolto, e mi interrogo: ma quand’ è che sono state raccolte quelle interviste? Perché, non so a voi, ma a me il fax non squilla.

Certo, ci sono stati mesi in cui [il fax] pareva essersi un po’ ripreso, che portasse, finalmente, di nuovo qualche ordine ma, da settembre in poi, pare essersi trasformato in un inutile soprammobile. Persino le offerte [sempre via fax] di servizi telefonici, quelli che mi proponevano quotidianamente di cambiare operatore in cambio di mirabolanti regali e tariffe imbattibili, si sono lentamente diradate fino a sparire.

Per fortuna, ogni due o tre settimane, arriva l’ordine grosso, quello riesce ancora a tenermi un po’ a galla. Arriva sempre e comunque dall’estero, di solito dalla Cina. Purtroppo, sono ormai anni che il mercato italiano continua a scendere e lo stesso dicasi per quelli tedesco e francese. Non parliamo neppure di Spagna Irlanda e Regno Unito, un tempo mercati fondamentali, oggi solo ricordi di un business che non c'è più.
La stessa Germania, che pare bearsi di una ripresa sorprendente, rilascia in continuazione dei dati sull’andamento dei consumi delle famiglie che fanno paura. In pratica il consumo delle famiglie gli è regredito fino a tornare ai livelli di un decennio fa in termini reali. Mi domando, come fanno a dire di essere cresciuti se sono al livello di un decennio fa? Che crescita è se la ricchezza distribuita diminuisce? Senza contare che, come normale, il paniere dei consumi si deve essere allargato almeno quanto il nostro, comprendendo internet, televisione satellitare, telefonia mobile e mille altre cose che 10 anni fa non avevano lo stesso impatto. Di sicuro, gli agenti che mi distribuivano i prodotti in quel paese hanno tutti abbandonato ogni speranze e restituito il campionario, e non solo il mio, che i costi degli spostamenti non erano più giustificati dagli introiti.

Io produco merce destinata ad essere venduta nei negozi: cose troppo particolari e ricercate per essere vendute nella grande distribuzione, ma di prezzo assolutamente accessibile. Roba che è sempre stata considerata bella, di quella che cerchi per il rapporto prezzo qualità e perché non ce l’hanno tutti. Quello che mi spaventa di più sono i miei clienti: sono sempre di meno, e non perché mi abbiano abbandonato per favorire la concorrenza. Certo alcuni l’hanno fatto, ma tanti, troppi, hanno semplicemente chiuso i battenti ed al loro posto ci sono o cinesi o monomarca che vendono prodotti cinesi. Se i miei clienti si estinguono, io che faccio? Come mi riciclo se “i grandi” vanno a comprare direttamente in Cina paccottiglia da rivendere a 50 volte il suo valore? Sono sempre stato un imprenditore, non ho l’età per ricevere una pensione che, comunque, non avrebbe un ammontare tale da permettermi un’esistenza decente. Che faccio? Dove vado? Dove scappo?

In primavera pareva le cose si stessero rimettendo un po’ meglio, poi la doccia fredda delle fiere d’autunno in cui non c’è stata affluenza di clienti. I corridoi erano vuoti, per tutti, non solo per me. Ed è stato il segnale dello stallo in cui si vive ora: è novembre, dovremmo non avere mani per lavorare, ed invece siamo a guardare le notizie sportive su internet.  ( nota: vedi questo link )

Guardo in giro le scrivanie vuote dei collaboratori che non ci sono più, il viso del magazziniere che si inventa cose da fare ma che non ha ordini da evadere, ascolto un silenzio mai sentito prima e mi domando: ma sono io che ho sbagliato? Poi sento un amico, e mi racconta le stesse cose che vivo ogni giorno: il fax che non squilla, le mail che non arrivano, il telefono che tace.

Eppure ho fatto le cose che dovevo, mi sono impegnato, ci ho rimesso festività, domeniche e serate: ho una nuova collezione, bella, innovativa, col prezzo giusto…ma mancano clienti che mi chiedano i nuovi, fiammanti cataloghi per vederla.

Porto a scuola un figlio e sento parlare di scioperi, non mi chiedo neppure perché li facciano: ma che senso ha? Possibile che gente che ha la certezza di portare a casa i soldi ne pretenda ancora? Io che mi sto mangiando il capitale e indebitando per resistere, vedo gente che dovrebbe essere pagata dalle tasse che non posso più versare e che chiede di più. Ed io ho sempre di meno.

Per radio sento l’ironia su quelli, tantissimi che non pagano le tasse per reddito basso: e mi sento coinvolto, perché già l’anno scorso sono andato in perdita, e quest’anno va peggio… mi accusano di non essere congruo? Mi verrebbe voglia di autodenunciarmi, di fare venire un controllo: che vedano le sedie vuote, il fax silenzioso, il magazzino con le luci spente.

Le ferie non le ho fatte, la macchina non l’ho cambiata e neppure mandata dal carrozziere, a cena fuori con mia moglie, poco se non niente, anche i regali di Natale, quest’anno, beh, solo ai bambini. Ho una marea di spese fisse, una volta erano, se non marginali, almeno non così importanti. Oggi sono la parte maggiore delle mie uscite.

Mi domando se tirare avanti.. ma cosa posso fare? Sopra i 45 da chi vado? E se poi l’economia riparte e non ci sono? E dove riprendo i contatti ed i dipendenti coi quali hai convissuto per una vita?

Magari ho fatto male a non accettare quel posto pubblico, mi pareva sterile passare le mie giornate senza adrenalina, puntavo in alto ed il concorso l’avevo fatto per scherzo, per accompagnare un amico. Ed oggi mi domando come ci si senta ad essere il mio amico che vive senza paura.

Ps.: Mentre scrivevo questa lettera il fax non ricevuto nulla, il telefono non ha mai squillato, la mail è restata vuota. Ma sono solo io? Ditemi, sono solo io?

btemplates

1 commenti:

fausto / fardiconto ha detto...

"...Porto a scuola un figlio e sento parlare di scioperi, non mi chiedo neppure perché li facciano: ma che senso ha? Possibile che gente che ha la certezza di portare a casa i soldi ne pretenda ancora?..."

Scioperano sempre meno in effetti: ora che sono per gran parte precari sottopagati, licenziati a giugno per essere riassunti a settembre (vedi miei conoscenti), non sono più in grado di difendersi. Fine.

Vedo che pure qui le maestre elementari sono state identificate come responsabili del collasso dell'impero di cui facciamo parte. Chissà come è nata questa buffa leggenda. Chissà se qualcuno avrà il coraggio di parlare di energia e risorse, prima che le lampade si spengano. Chissà.

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