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Imprenditori per necessità: lavoro precario ed instabile

Giuseppe Parente
http://www.rinascita.info/cc/RQ_Politica/EkVluVpVAlMXVDJlhX.shtml

Nel nostro paese il numero di Partita Iva viene rilasciato dall’ufficio dell’Agenzia delle Entrate, al momento dell’apertura di una posizione, che avviene in modo telematico o anche alla Camera di commercio, industria, agricoltura ed artigianato, ed esistono due modelli, il primo per le ditte individuali, il secondo destinato alle società. Il codice della partita Iva è composto da 11 caratteri numerici di cui i primi 7 individuano il contribuente attraverso un numero progressivo, i successivi tre individuano la provincia dove ha sede l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate, l’ultimo numero ha carattere di controllo. Il numero di partita Iva assegnato al contribuente ha validità su tutto il territorio nazionale e rimane invariato per tutto il tempo in cui si svolge l’attività. Alcune categorie professionali come i dottori commercialisti e gli avvocati hanno l’obbligo di aprire una partita Iva. Negli ultimi mesi, nel nostro Paese, si è registrato uno strano aumento del numero di partite Iva per ditte individuali. E’ ancora difficile fare stime ufficiali del numero di tali lavoratori, imprenditori per necessità, ma secondo dati del 2007, le partite Iva di professionisti non iscritti ad albi ed associazioni, sono quasi 250 mila, e non è difficile immaginare che questo ultimo biennio abbiano superato la soglia dei 300 mila. Sono lavoratori che hanno una produzione di reddito superiore ai 12 mila euro al mese, mediamente, e lavorano come web master o web designer, grafici pubblicitari, redattori delle grandi case editrici, giornalisti di quotidiani a diffusione locale. Anche la tradizionale figura della segreteria, è stata promossa a imprenditrice di sé stessa, meritevole dell’apertura della fantomatica partita Iva. Nella maggior parte dei casi si tratta però di false partite Iva, in quanto questi lavoratori hanno una sola committenza. I lavoratori diventati imprenditori di sé stessi, nella nostra società, avrebbero dovuto rappresentare, con decoro e con dignità, l’avanguardia di una nuova borghesia in una società che vive la fase post industriale, ed invece hanno compiuto un percorso professionale verso il vuoto, da lavoratori atipici a liberi professionisti, senza alcun diritto e senza alcuna tutela, come nel caso di Donato, giovane avellinese di 36 anni, esperto informatico, che fino al 2007, lavorava come normale dipendente in una nota azienda informatica del posto e da due anni a questa parte è diventato fornitore di servizi e non lavoratore per la medesima azienda. Donato continua ad andare al lavoro con regolarità, rispettando l’orario di lavoro, come da contratto nazionale di categoria, riceve lo stesso stipendio, al quale però mancano i contributi che non vengono più elargiti dal datore di lavoro, ed è privo anche di tutti quei benefici previsti per il dipendente, quale l’assicurazione, la pensione, l’assistenza, le malattie etc. Oltre ad essere imprenditore di sé stesso, per forza e non per volontà, è anche un bamboccione per necessità, d’altronde con poco più di mille euro al mese, come può creare una famiglia, avere degli affetti e dei figli? Le motivazioni che spingono verso questa strana tipologia contrattuale, per cui un lavoratore dipendente si trasforma in imprenditore di sé stesso, senza diritti e garanzie, sono essenzialmente due: in primo luogo il costo del lavoro per le aziende si riduce davvero all’osso, in secondo luogo l’assoluta libertà d’azione sulle partite Iva, che possono essere prese, lasciate a casa a riposo, riprese, come se fosse la cosa più semplice e naturale del mondo. Mi vengono in mente dei versi del sommo poeta Alighieri: “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie ma bordello”.

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4 commenti:

giovanni ha detto...

Dante aveva già capito tutto! Sulla precarietà ti segnalo anche questa vignetta con relativo post....ridere per non piangere.

baggi1973 ha detto...

hai ragione, meglio buttarla sul ridere, tanto a piangere non è che le cose migliorino.
Se può essere di consolazione per i tanti precari c'è da dire che, vista la situazione, presto andranno a far loro compagnia anche molti che adesso ce l'hanno un contratto di lavoro. Anche qui al nord est la situazione sul fronte occupazione è nerissima, si sente parlare di aziende completamente ferme, non suona nemmeno il telefono, e si preannunciano già vacanze natalizie lunghissime, con la paura che a gennaio le porte possano rimanere chiuse, definitivamente.

giovanni ha detto...

beh, non è che l'aumento del numero dei precari come me possa proprio consolarmi!
Se ad una azienda prima servivano 100 lavoratori, 80 li teneva fissi e 20 li faceva "girare", oggi alla stessa azienda ne servono 50, 20 li tiene fissi e 30 li fa girare. Secondo te sta in piedi questo paragone?

baggi1973 ha detto...

Purtoppo i tuoi calcoli stanno in piedi.
Il dramma è che non stanno aumentando solo i precari, ma aumentano anche i disoccupati "totali". E di segnali di miglioramento nemmeno l'ombra, anzi, mi fa paura lo scenario che si paventa di qui a un paio di mesi.
Mia moglie ha perso il lavoro qualche mese fa, e nonostante abbia spedito centinaia di curriculum non le è giunta nemmeno una proposta di colloquio.
E siamo nel mitico nord-est!
Ciao Giovanni, speriamo almeno nella salute......

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