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Il sasso in bocca

Fonte: Link: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=6643&ID_sezione=&sezione=
Marcello Sorgi

Un antico e terribile rituale mafioso voleva che per far tacere chi aveva cominciato a parlare - tradendo il dovere del silenzio che è alla base del patto omertoso -, oltre a ucciderlo, lo si doveva lasciare con un sasso in bocca: segno insieme di vendetta e di monito, per altri che, sciogliendo la loro lingua, avrebbero saputo a cosa andavano incontro. Qualcosa del genere è accaduto ieri, nella Roma politica e terminale dell’autunno 2009, al transessuale Brenda. Dopo due mesi di illuminazione mediatica dovuta al suo coinvolgimento nel «caso Marrazzo», dopo una strana rapina ad opera di un gruppo di romeni, parte in fuga con il suo telefonino, parte menati da altri trans e finiti in ospedale, Brenda è stata soffocata in uno scantinato di via Due Ponti, un quartiere periferico di nuova prostituzione, frequentato non soltanto dall’ex governatore del Lazio, e non da soli politici, ovviamente. Il sasso in bocca, nel caso di Brenda, erano le memorie elettroniche del cellulare e del suo computer, annegato nel lavandino del miniappartamento dato alle fiamme, che non potranno più parlare. Dei tre trans entrati in scena dopo l’esplosione del «caso Marrazzo», Natalie, la più affezionata, era quella che aveva messo in guardia l’ex governatore dal pericolo dello scandalo.

Michelle, che con Brenda lo aveva incontrato due volte, era già scappata a Parigi, sentendo brutta aria. Brenda, la terza, era quella che più esplicitamente aveva detto che nel giro di prostituzione brasiliano, Marrazzo era solo uno dei più assidui, tra i politici frequentatori. S’era anche divertita a fare qualche allusione, accennando a un fantomatico «Chiappe d’oro», dietro il cui soprannome, nientemeno, si sarebbe celato un ministro. Così, senza accorgersene, o forse essendosene accorta troppo tardi, Brenda aveva firmato la sua condanna a morte. Ora qualcuno dice - e moltissimi pensano - che i mandanti dell’assassinio di Brenda siano da ricercare proprio tra quei politici che, nel timore di essere scoperti e fare la fine dell’ex governatore, avrebbero fatto di tutto, perfino armato la mano dei killer, pur di chiuderle la bocca. E’ possibile, diranno le indagini se questa è un’ipotesi da approfondire. Così come è probabile che Brenda sia stata fatta tacere, non per quel che aveva detto o si preparava a dire, ma per aver cominciato a maneggiare di testa sua rivelazioni e sospetti il cui mercato, abilmente orchestrato, doveva servire ad avvelenare la prossima campagna elettorale. Una strana coincidenza vuole che l’assassinio di Brenda coincida con le rivelazioni, a ventisei anni di distanza, sul sequestro di Emanuela Orlandi, e con i ricordi di quest’altra incredibile vicenda romana, sospesa tra il Vaticano e il potere democristiano del tempo, la malavita della Banda della Magliana che ha intanto ispirato un film e una fiction tv, e poi spie, ricatti, servizi deviati e altri tipici ingredienti del lungo crepuscolo della Prima Repubblica.

Lì una povera ragazza di quindici anni di cui i parenti sperano ancora di rivedere il sorriso, qui l’enorme e sgraziato cadavere del trans, a segnare, in epoche così lontane e diverse, i sinistri rintocchi, il rantolo affannoso e il battito spento del cuore della Capitale. Eppure, seppure la storia di Roma è da sempre scandita da scandali e misteri inconfessabili, ci dev’essere una ragione per cui il calendario politico-sessuale di quest’ultimo anno - da Noemi a Brenda - sembra aver segnato il punto di non ritorno. A fare la differenza non è l’assassinio o l’aspetto «noir» del potere, a cavallo tra il Palazzo e la malavita. Il cadavere, infatti, c’era già nello scandalo Montesi di mezzo secolo fa, con la scoperta, sorprendente per i tempi, sulla spiaggia di Capocotta, del corpo nudo di una donna morta dopo un’orgia. Non è il sesso che, in un modo o nell’altro, ha accompagnato la vita politica del Paese, arrivando a lambire il Quirinale degli Anni Cinquanta, e via via Palazzo Chigi, i ministeri, il Parlamento, fino il laticlavio dei senatori a vita. Non sono neppure i trans, ormai entrati con tutti gli onori nella vita pubblica, con una recente, ancorché non duratura, rappresentanza parlamentare, una star del Grande Fratello e gli spot di un nuovo canale satellitare della Rai.

A ben guardare, la diversità sta in questo. I politici del passato - e dei passati scandali -, benché colti a loro volta in un momento di debolezza, restavano fino in fondo politici. La loro vita, le loro giornate e gran parte delle loro nottate erano occupate da riunioni, incontri, attese e da quell’attività, impalpabile, a volte incomprensibile, che attiene al governo della cosa pubblica. Un lavoro che, al dunque, produceva risultati. Magari sbagliati, ma li produceva. I politici di adesso invece sono troppo impegnati a dimostrare che non c’entrano nulla con la politica, che tra l’altro disprezzano. Cosa facciano tutto il giorno - a parte ricoprirsi di insulti in diretta tv - non si capisce. La politica italiana è immobile. A ogni annuncio, segue immancabile la smentita. Le due immagini simbolo dell’«annus horribilis» che sta per finire, sono il grande materassone a tre piazze che entra trionfalmente a Palazzo Grazioli, nella casa romana di Berlusconi, e Marrazzo in mutande, filmato mentre scongiura i suoi carnefici di non rovinarlo.

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