Gli italiani non sanno più sognare
di Massimo Gramellini
Sulla relazione annuale del  Censis aleggia lo spirito di Jung. Giusto così: questa crisi non è  materia per economisti, ma per psicanalisti L’Italia, sostiene il sempre  immaginifico De Rita, affonda perché non sa più desiderare. In realtà  molti di noi hanno ancora dei sogni. Quello che manca è l’ossigeno per  raccontarli, persino a se stessi. A forza di scattare a vuoto, la molla  si è inceppata. Il futuro non è un’opportunità e nemmeno una minaccia.
Semplicemente non esiste. Il futuro è la rata mensile del mutuo o il  bilancio trimestrale dell’imprenditore: nessuno ha la forza di guardare  più in là e si vive in un presente perenne e sfocato, attanagliati dallo  sgomento di non farcela. Sulle macerie della guerra, l’inconscio dei  nonni riusciva a progettare cattedrali di benessere: quegli uomini  avevano visto abbastanza da vicino la morte per immaginare la vita.  Sulle macerie morali del turbo-consumismo, la cui crescita dopata ha  ucciso i desideri (di fronte a tremila corsi di laurea o tremila canali  televisivi l’impulso è di spegnere tutto), l’inconscio dei nipoti sembra  paralizzato da un eccesso apparente di libertà e dall’assenza di punti  di riferimento. Anche la delega al leader salvifico, di qualsiasi  colore, ha fatto il suo tempo.
Bisogna cavarsela da soli e siamo diventati troppo egoisti per  ricordarci come si fa. Orfani di padre, cioè dell’autorità che trae  origine dall’autorevolezza e consente ai figli di avventurarsi in  territori inesplorati, sapendo di poter contare all’occorrenza su una  robusta ringhiera. E con una classe dirigente specializzata nel dare  cattivo esempio, priva del titolo morale per imporre regole che è la  prima a non rispettare. Come si evince da quanto detto fin qui, la  fotografia del Censis è decisamente beneaugurante. Almeno per chi è  convinto che non ci si possa aspettare il riscatto sociale da teorie  economiche e ideologie politiche, ma solo dall’urgenza di tante  rivoluzioni individuali che riescano a connettersi fra loro, creando una  vera comunità. Darsi una disciplina esistenziale, fissare dei traguardi  e poi mettersi in marcia senza vittimismi, perché i «se» sono la  patente dei falliti, mentre nella vita si diventa grandi «nonostante». E  che Jung ce la mandi buona.
dal sito http://www.lastampa.it
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