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Tu chiamala se vuoi… evasione

Crescono l’evasione e l’elusione fiscale. Solo lo 0,2% dichiara di possedere redditi oltre i 200.000 euro. I lavoratori dipendenti risultano più “ricchi” degli imprenditori e dei liberi professionisti. Lo conferma (dopo di noi) pure l’inchiesta del Corriere della sera. E il governo intanto vara lo scudo.
Sapete quanti italiani hanno dichiarato di aver guadagnato nella loro denuncia dei redditi dello scorso anno più di duecentomila euro? Appena 75.689: meno dello 0,2% dei circa 41 milioni di contribuenti, poco meno, quindi, di due su mille. Di questi “super ricchi” poco più della metà sono lavoratori dipendenti. Dirigenti d’azienda, funzionari pubblici di rango più o meno elevato, magistrati. Poi c’è un altro 25% di “pensionati d’oro” che negli anni passati ha svolto, più o meno, le stesse mansioni. I lavoratori autonomi che hanno invece dichiarato un reddito superiore a 200mila euro sono poco più di ventimila. Cifra che scende ancora per quelli che si dichiarano “percettori di reddito d’impresa”: soltanto 6.253 in tutto.
DATI PARTICOLARI - Va precisato che si tratta di dati provvisori e che fra i numeri dei contribuenti veri e propri e quelli delle dichiarazioni ci possono essere alcune differenze, dovute al fatto che lavoratori dipendenti possono avere anche redditi da lavoro autonomo. Ma le proporzioni, salvo qualche aggiustamento, sono in ogni caso giuste. Il Fisco inoltre ha comunicato che la dichiarazione media del reddito da lavoro autonomo (prevalentemente professionisti) è stata pari a 37.124 euro contro i 19.334 euro del reddito da lavoro dipendente. Qui c’è una seconda sorpresa. Perché se è normale che un lavoratore dipendente dichiari più di un pensionato, è difficile da comprendere come il reddito medio di una ditta individuale possa essere inferiore a quel livello. Esattamente, 18.987 euro. Come non è facile spiegare un’altra particolarità. Stando sempre ai dati forniti dall’Agenzia delle Entrate, un numero esorbitante delle circa 940 mila società di capitali italiane avrebbe chiuso il bilancio in perdita. Addirittura il 45%, quasi una su due, del totale verserebbe in questa situazione.
IN ROSSO - Le imprese in rosso sono state quasi mezzo milione ed hanno accumulato un buco di 53,5 miliardi di euro. Ben 127.490 euro in media. Le società in utile, invece, erano appena 520.459, con profitti per 151,1 miliardi. Se tutto questo avveniva nell’anno precedente a quella che è stata definita “La crisi finanziaria più grave dal crack 1929”, è veramente difficile immaginare lo scenario che si potrebbe presentare con le dichiarazioni di quest’anno (sui redditi del 2008, quindi). Una situazione, quella delle società di capitali, che stride anche con quella delle società di persone, dove i bilanci in rosso sono sicuramente più rari. Queste sono poco più di un milione e rappresentano in prevalenza le piccole e le piccolissime imprese. Circa 148 mila hanno chiuso il bilancio in perdita, una fetta inferiore al 15% del totale. Le società di persone hanno prodotto nell’anno in esame un reddito di 32,4 miliardi. Se a questa somma si aggiungono il reddito delle ditte individuali (39 miliardi circa) e gli utili delle società di capitali si ricava che il sistema delle imprese ha prodotto redditi in “positivi” per 222 miliardi di euro, una somma di poco superiore alla metà del 398 miliardi di redditi dichiarati dai lavoratori dipendenti.
ALLO STATO - Quanti di questi soldi sono finiti effettivamente nelle casse dello Stato? Si stima in 60,7 miliardi il gettito fiscale garantito dalle imprese. Ben 50,7 miliardi riguarderebbero l’Ires delle società di capitali, mentre l’Irpef pagata dalle società di persone si sarebbe attestata intorno ai 6 miliardi, contro i 4 versati (sempre di Irpef) dalle ditte individuali. Le piccole e piccolissime imprese artigiane e commerciali, che rappresentano la stragrande maggioranza delle società di persone e delle ditte individuali avrebbero in pratica pagato una decina di miliardi di euro di tasse. Ovvero il 7% dell’Irpef netta (142,5 miliardi) che sarebbe finita all’Erario. Numeri che secondo gli esperti offrono pochi margini per interventi fiscali a favore del sistema delle imprese che da più parti si continuano ad evocare.
LA LOTTA ALL’EVASIONE - Secondo l’istituto Nens La lotta all’evasione fiscale sta andando male, e questo non è un caso: dal primo decreto di finanza pubblica del maggio 2008 al decreto anticrisi (DL 185/08) di novembre dello stesso anno, sono state smantellate le principali misure antievasione approvate in precedenza dal Parlamento. Si è eliminato la tracciabilità dei compensi dei professionisti; si è innalzato l’importo massimo per rendere non trasferibili gli assegni, si è abolito la trasmissione telematica dei corrispettivi, si è cancellato l’obbligo di tenere un elenco clienti-fornitori facendo così capitolare la co-responsabilità nel pagamento delle imposte tra committente, appaltatore e subappaltatore. Infine, si è ridotto – come detto – drasticamente le sanzioni. L’evasione, quindi, aumenta. “Lo Stato continua a perdere entrate anche nel 2009 – sostengono gli esperti del Nens - e questo creerà presto nuove pressioni sui saldi di finanza pubblica proprio in un momento in cui servono più risorse per finanziare misure di sostegno all’economia”. Una certa curiosità desta poi la notizia pubblicata poco tempo fa dal sito Consumatori.it secondo il quale risulta che circa due yacht su tre che circolano nei mari italiani sono intestati a nullatenenti o a prestanome ultra-ottantenni. L’indagine rivela che si sta allargando a dismisura il fenomeno dei “ricchi nullatenenti”, in altre parole falsi indigenti che vivono spendendo migliaia d’euro per beni superflui e non dichiarano al fisco quanto guadagnano in realtà.
COME AL SOLITO – Enzo Biagi scriveva una quindicina d’anni fa nel suo libro “I come italiani”, citando Corrado Alvaro: “Pochi italiani sono arrivati a capire che il male di uno è il male di tutti, e per uno che soffre la prepotenza e la malvagità, tutto il popolo finisce per soffrirne”. Dalle denunce dei redditi non si direbbe. Pagano solo i lavoratori dipendenti, anche perché non possono farne a meno, ed è su di loro che il fisco si accanisce […] Non ci sono né i mezzi né la volontà politica, che è quasi sempre assente, per scoprire ed eventualmente riportare alle regole quella stragrande maggioranza che dell’erario, dello stato, del governo e delle autorità in genere se ne infischia. I gioiellieri guadagnano all’anno poco più di 18 milioni (valore in lire, n.d.r.) gli imprenditori superano appena i 19, i pellicciai 13. Tremeranno dal freddo. E lasciamo perdere i liberi professionisti, che sono così emancipati, autonomi emancipati e padroni di sé che proprio non si capisce chi possa pensare di mettere un limite a questa loro indipendenza. Niente di nuovo sotto il Sole, quindi.

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