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Il rischio di una Chernobyl giapponese

di Barbara Cloro


Forse non tutti sanno che dal 1986, anno in cui si verifico’ la catastrofe di Chernobyl, il nucleo incandescente del reattore è ancora acceso. Non c’era il cosiddetto “guscio di contenimento” (che c’è nelle centrali piu’ recenti, per esempio in quella di Fukushima1 che oggi sta sotto pressione e a rischio esplosione se già non è esplosa. Update: è esplosa), per cui a furia di colate di argento, cemento ed altre sostanze atte ad isolarlo, s’è ottenuto il risultato di farlo andare nelle profondità del terreno, ma non di spegnerlo completamente.



Per cui ad oggi, la zona dell’incidente è sottoposta ad incredibili controlli: nell’intera area prossima  alla macchina del disastro: in un raggio di 70 km dalla centrale, è vietato viverci, ci si può entrare solo con uno speciale permesso, e bisogna sottoporsi anche ad analisi mediche.
Ma l’Italia non ha imparato la lezione di Chernobyl, anche se decine di migliaia di italiani che non si sarebbero ammalati di cancro sono invece morti per le radiazioni di cui Chernobyl li ha imbottiti. Un governo come il nostro, in cui la corruttela si aggancia agli interessi della mafia locale e internazionale, ha già deciso che -in nome di un disonesto concetto di “sviluppo”- le centrali nucleari debbano essere costruite sul nostro suolo.
Oggi spero vanamente che la lezione giapponese valga qualcosa anche per i piu’ imbelli sostenitori del berlusconismo. Il giappone ha sempre investito moltissimo, dagli inizi del XX secolo, nella tecnologia urbana che previene e rimedia agli eventuali danni dei terremoti. I giapponesi vivono la realtà di una scossa media ogni settimana e -con precisione da “cerimonia del te’” – hanno costruito realtà abitative e lavorative antisismiche. Ciononostante, sono stati colti di sorpresa dallo tsunami e -con ancora piu’ incognite, perchè lo tsunami arriva e passa e chi c’è c’è- dal malfunzionamento delle centrali nucleari. Il Giappone ne ha 56 e almeno 8 sono state danneggiate dal terremoto, stavolta molto piu’ “performante” della media giapponese, seppure elevata.



Di queste 56 centrali, 2 (Fukushima1 e Fukushima2) sono a rischio esplosione perchè, essendosi fermato il motore che governa l’impianto di raffreddamento, il calore del nucleo (che è quello che a Chernobyl, dall’86 non hanno ancora spento) ha creato una pressione inenarrabile ed infatti alle 11,29 di sabato (12,03,011) non si puo’ piu’ nascondere che la centrale è esplosa.



Non mi pare vi siano altri argomenti necessari a decidere di essere idealmente contro un futuro fatto di centrali nucleari in Italia. Paese che non ha nè la precisione giapponese (non vorrei fare un discorso autorazzista, ma il nostro spengleriano “spirito di popolo” è tanto potente nell’arte di arrangiarsi quanto è incorreggibile nel porre l’approssimazione al potere) nè la rettitudine di quella gente per cui per essersi presentato un po’ brillo ad una riunione importante, un ministro ha dovuto dimettersi. Da noi i politici non si dimettono nemmeno se vi sono indizi che siano serial killer.
In Giappone, i ministri coinvolti in scandali che per la loro cultura sono intollerabili  arrivano a suicidarsi perchè hanno ancora un concetto di “onore” e di “disonore”. Da noi, in Italia, i politici al potere li dovresti mandare via a martellate, e invece ci sono – nei forum de “Il Giornale” o di “Libero”- sedicenti “fascisti” che li difendono e li vogliono lì, al “loro posto”. Non importa che siano stati amici di Mangano o che abbiano caldeggiato la strage di due magistrati come Falcone e Borsellino.
Chiudo con una nota nostalgica personale.
Negli anni ’80 ero una ventenne socievole e sempre di buon umore. All’università (il periodo migliore della mia vita) avevamo un amico, un clochard italiano divenuto tale dopo la fuga da genova e dalle grane che aveva avuto per la sua partecipazione alla rivolta dei portuali. Una persona anziana che viveva lavando vetri di negozi e grandi magazzini del centro di Milano. Si spostava con un immenso 125 vespa tappezzato di adesivi “NO NUKES” in tutte le lingue.

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Io (e il mio ragazzo di allora, che poi è diventato padre delle mie figlie) lo prendevo per il culo. Lo si chiamava “no gnuc”, completamente sottovalutando lo spessore e l’importanza della battaglia che portava avanti col suo sussistere veramente alternativo (allora viveva in una casa occupata con altra gente, a piu’ di 50 anni).
Oggi- che ho appena compiuto 50 anni- rido di tenerezza e di scoraggiamento a pensare a quanto ero scema e felice a quel tempo. Soprattutto pensando a quanto mi sentii fiduciosa nell’appartenenza umana, quando appresi del risultato italiano del referendum del 1987, quando compatti e in altissima percentuale, noi italiani votamo NO AL NUCLEARE. Votammo cosi in maggioranza e non mettemmo alcuna scadenza a quella decisione. Avevamo, per persuasione oggettiva o per paura, ipotecato ad libitum il nostro futuro, rappresentandocelo senza il nucleare. Fa piacere vedere che “in democrazia” non è stato così. Era una cosa che solo “credevamo” di aver deciso e invece era ancora da cambiare, come l’idiozia dei 20 anni che è stata abbandonata, mentre invece la battaglia sul nucleare è ancora da ripetere…. a distanza di 25 anni.
ps posto un video di un concerto dal vivo dei Kraftwerk, “radio activity”, perchè secondo me trasmette la giusta ed educativa inquietudine antinuclearista a questa massa improbabile di pecore che confidano nella bontà delle scelte di berlusconi e c. mettendogli in mano una decisione cosi’ nevralgica per cio’ che possiamo considerare “un’idea di futuro”. Un’idea andata mi sa, come un ortaggio marcito.

dal sito http://www.cloroalclero.com

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