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Il «lavoro» al capezzale della finanza

di Galapagos

Anche il Portogallo sarà «aiutato» dalla Ue, dalla Bce e dal Fondo monetario con un prestito complessivo di 90 miliardi di euro. Ma di questi soldi Lisbona non vedrà una lira: come per Grecia e Irlanda i «prestiti» prenderanno altre strade: serviranno a rimborsare le grandi banche (e gli investitori) che hanno acquistato bond portoghesi ricevendo altissimi tassi di interesse.

Per il popolo portoghese invece niente. Anzi: i prossimi anni saranno di duri sacrifici e certamente, di caduta del Pil. La Ue, infatti non fa beneficenza, e per prestare denaro impone a Lisbona una manovra durissima di rientro dal debito pubblico. Questo significa aumento della pressione fiscale, taglio della spesa pubblica, controllo dei salari e vendita (anzi, svendita) dei «gioielli» di famiglia, con selvagge privatizzazioni. C'erano alternative? Ovviamente sì: il prestito dei 90 miliardi non viene fatto per beneficenza, ma per impedire che i costi di un eventuale default si scarichino sul sistema bancario. In altre parole, chi ha prestato denaro a Lisbona, non pagherà pegno.

Siamo, come evidente, all'assurdo. I tassi pagati sui bond portoghesi, infatti, erano enormemente alti perché contenevano il rischio che il debito non fosse rimborsato. Fin qui si è nelle regole del gioco. O se preferite della speculazione. Ora, però, si garantisce la restituzione integrale di capitali prestati, interessi compresi. In questo modo si falsano le regole del gioco. E le regole erano state clamorosamente violate anche con i dissensi della Grecia e dell'Irlanda. È stato calcolato che le banche francesi erano esposte (cioè creditrici) per oltre 90 miliardi verso Atene e quelle tedesche per circa 70 miliardi.

I crediti vantati, invece, verso l'Irlanda da banche britanniche e tedesche sono mostruosi: oltre 400 miliardi. Politicamente, «cane non morde cane». Ovvero i grandi paesi europei sono stati concordi nella difesa delle proprie banche e nella concessione di «aiuti» ai paesi in crisi. Non è giusto, ma non si è levata una sola autorevole voce per suggerire che ai creditori un po' avventati bisognava chiedere di partecipare al salvataggio, accollandosi parte (anche piccola) delle perdite. Solo la Merckel aveva avanzato una proposta in questa direzione, ma poi ha fatto subito marcia indietro. Anche il governo di Dublino si era azzardato a sostenere la necessità che i creditori fossero coinvolti nei piani di salvataggio, ma le banche britanniche e tedesche hanno fatto quadrato e attraverso i loro governi, hanno respinto al mittente la proposta. E, occorre sottolineare, la situazione economica irlandese era ottima al contrario di quella portoghese e greca.

Ma ormai è la finanza che detta i tempi: l'economia reale, i lavoratori sono una «sovrastruttura». In questa situazione tutti si sarebbero aspettati che l'euro andasse a fondo. Invece la moneta comune europea si sta rafforzando. La spiegazione è semplice, anche se ideologica: il capitale è felice quando si «stanga» il lavoro; si stringe la spesa pubblica a maggior gloria di quella privata; si privatizza per trasferire il plusvalore al capitale privato sempre più in difficoltà nel trovare occasioni di investimento e profitto. Il capitale è spietato: non a caso le borse rimbalzano quando vengono diffusi dati negativi sull'occupazione e tremano quando l'occupazione cresce perché potrebbero crescere anche le richieste salariali. Con l'arrivo del Portogallo, salgono a tre (su quattro) i paesi Pigs che hanno dovuto ricorrere alla pietà internazionale. Per ora è in salvo (tra i quattro dell'acronimo) solo la Spagna. Ma non è detta l'ultima parola: la speculazione non sta con le mai in mano.

Galapagos
dal sito  www.ilmanifesto.it 

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