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I falsi diari da Mussolini al Trota

di Alessandro Robecchi

Il 2010 sarà forse ricordato, oltre che per la signorina Ruby, nipote di Mubarak, anche per un’importante svolta dell’editoria italiana. La decisione della casa editrice Bompiani di pubblicare i falsi diari di Mussolini messi in circolazione da Marcello Dell’Utri rappresentò infatti il primo passo per un massiccio rilancio dell’editoria. Il fatto che una grande casa editrice potesse pubblicare documenti storici senza curarsi della loro autenticità aprì in un certo senso un nuovo mercato: quello dei diari patacca. Elisabetta Sgarbi, responsabile della casa editrice, fu molto chiara: “Non vogliamo mettere un cappello valutativo sulla storia e non dobbiamo rilasciare certificati” (Il Corriere della Sera, 29 luglio 2010). E anche: "Se volessi dimostrare che i diari sono veri, assumerei una posizione sbagliata. Non mi arrogo il diritto di farlo, non è il mio compito” (Il Fatto Quotidiano, 27 luglio 2010). In sostanza si aprì una nuova frontiera della storiografia: la storia à la carte. E per la prima volta su un documento storico venne scritto, fin nel titolo, che chi ci crede bene, e gli altri non fa niente. E’ strabiliante, ma il titolo con cui i diari-patacca di Mussolini andarono in libreria fu I diari di Mussolini (veri o presunti). Molto spiritoso, ma un passo avanti rispetto ai libri di Gianpaolo Pansa. La novità di un editore che pubblica dei falsi storici provocò qualche piccola polemica e qualche protesta degli storici. Ma soprattutto aprì le porte a un vero boom dell’editoria (vera o presunta), le cui tappe fondamentali riassumiamo qui sotto. Buona lettura.

Aprile 2011. I diari di Sergio Marchionne (veri o presunti), Bompiani, pagg. 454, 12 dollari (edizione americana), 950 euro (edizione italiana).

Stampati in Serbia, Brasile e Polonia, i falsi diari di Sergio Marchionne ebbero un discreto successo presso le banche d’affari che li usarono per tappare i buchi dei finanziamenti concessi alla Fiat. Come sempre, il dibattito partì da una domanda: sono veri o sono falsi?, cui rispose con coerenza l’editore: “Chissenefrega, intanto vendiamoli”. I diari di Marchionne sono divisi in due parti. Nella prima, scritta in inglese, si parla della Fiat. E’ un artificio letterario per stimolare il lettore italiano, pigro, assenteista e senza voglia di lavorare. Le note al testo sono in serbo, una decisione presa dall’editore una volta appurato che gli operai metalmeccanici che leggono correttamente il serbo sono lo 0,00004 per cento del totale. La divulgazione dei problemi della Fiat è dunque assicurata. La parte relativa alla Chrysler, invece, è scritta in un fluente italiano finanziato dal ministero del Tesoro americano. Per quanto riguarda la sostanza storica introdotta dai diari, il personaggio Marchionne ne esce benissimo. Conosciamo così un tipo spigliato, vivace, giocherellone, molto preoccupato per le sorti dei suoi operai, consapevole a tal punto che il lavoro alla catena di montaggio è alienante e faticoso che vuole a tutti i costi lasciarli a casa. Tra i passaggi salienti, la visita alle fabbriche polacche (“Qui prendono 300 euro al mese, e questo dimostra che la fede, unita al lavoro manuale, aiuta a superare le difficoltà dell’uomo. Soprattutto se l’uomo ha un maglione blu e si chiama Marchionne”). Molto toccante il conflitto interiore del protagonista quando sale sul nuovo modello di station wagon prodotta in Kamchatka (“Non si accende, se si accende le ruote non girano, se le ruote girano non si riesce a frenare, ma ci costa 789 euro e la vendiamo a 19.000, e questo conta”). Purtroppo, nonostante il battage pubblicitario, i falsi diari di Marchionne non vendettero molto e furono un grosso flop in libreria: gli italiani si ostinarono a comprare i farsi diari Volkswagen, i falsi diari Citroën e i falsi diari Peugeot. Giugno 2011. I diari di Lele Mora (veri o presunti), Bompiani, pagg. 126, 22 euro più consumazione.
Scritti in auto nel tragitto casa-Villa San Martino, i falsi diari di Lele Mora mostrano alcuni lati inediti del grande agente dei vip. Nessuno, ad esempio, sapeva della sua conoscenza del sanscrito, oppure delle sue numerose opere di carità, mai pubblicizzate per modestia. Giunti all’editore per vie traverse (pare li abbia consegnati alla Bompiani una minorenne rumena in topless), i diari sono scritti a mano con calligrafia femminile e – cosa che non è sfuggita ai critici – in brasiliano. Numerose, sulle pagine, le macchie di rossetto e le tracce di caipirinha, il che farebbe pensare all’autenticità dell’opera, per quanto l’editore non sembri interessato a questo dettaglio (“Se sono falsi – ha dichiarato – non è affar mio, io stampo e consegno alle librerie, questo è il vero lavoro dell’editore”). Di certo c’è che la figura di Lele Mora che emerge dai diari è molto diversa da quell’immagine pubblica che molti, ingiustamente, detestano. Il simpatico e correttissimo agente dei vip risulta estremamente colto, elegante, fiero della sua dirittura morale e orgoglioso di un’etica ferrea, che lo colloca tra le figure italiane da indicare come esempio alle giovani generazioni. Molto commovente il passaggio in cui Mora accompagna a Lourdes Simona Ventura e Belèn Rodriguez, indicando loro la via della moderazione e della rettitudine, unita alla sobrietà dei costumi. L’episodio in cui, con il solo tocco delle mani (quelle di Ruby) Mora rende il dono della virilità a un vecchio pensionato di Arcore è da antologia. Venduti insieme a una bustina di mohito liofilizzato, i diari di Lele Mora sono finiti in classifica, premiando lo sforzo dell’editore, che ha dovuto solo disinfettarli prima di leggerli.

Settembre 2011. I diari di Maurizio Gasparri (veri o presunti), Bompiani, pagg. 238, 18 euro.

“Che siano veri, che siano falsi, che siano inventati da un pazzo pericoloso, oppure scritti da una suora detenuta nelle carceri cinesi non è questione che mi riguardi”. Preceduti da questa coraggiosa dichiarazione dell’editore, i falsi diari di Maurizio Gasparri hanno a lungo diviso gli storici e gli studiosi, prima di tutto gli zoologi. Secondo alcuni, infatti, gli strafalcioni sembrano messi lì a bella posta per simulare originalità, e quanto ai versi gutturali presenti nel testo, è chiaro che i diari sono stati scritti da persone molto più colte ed erudite di Gasparri, al punto da sospettare che il vero autore sia Bingo, il vecchio babbuino dello zoo di Roma. Ma quel che conta è la ricostruzione storica e alcuni retroscena inediti sulle questioni politiche degli ultimi anni. Convincente, ad esempio, il passaggio sulla legge Gasparri in materia di comunicazioni di massa, la cui nascita viene ricostruita passo-passo. Ecco il brano decisivo: “Naturalmente non volessi passare per servo shocco del potere, e così scrivetti la legge con il telefono staccato, che né Berlusconi né Confalonieri possano avermi dato consigli interessati pro duomo suo. Facetti tutto da solo e soltanto a legge approvata essi mi dicono, uè, bravo Maurì, ti paghiamo da bere, vuoi un sanbitter?”. Il carattere deciso ma ingenuo dell’autore dei diari emerge in tutta la sua potenza e fa di Maurizio Gasparri un personaggio assai simpatico, alla mano, disponibile e mai attratto dal potere. Bellissimo il finale, dove Gasparri medita di lasciare tutto, come San Francesco, ma ha poi un’umanissima resipiscenza: “Che, so’ sciemo io che dopo si prende tutto quanto La Russa?”. Purtroppo, nonostante lo spessore dell’opera, i diari di Maurizio Gasparri non hanno avuto il successo sperato e ne sono state vendute solo 32 copie. Per fortuna l’Autorità per le Telecomunicazioni e il Ministero delle Attività Produttive hanno acquistato l’intera tiratura.
Ottobre 2011. I diari di Sandro Bondi (veri o presunti), Bompiani, pagg. 360, 24 euro.
Un vero caso editoriale, i falsi diari di Sandro Bondi, e per molti motivi. Prima di tutto per il sapiente impasto tra rime e prosa. Poi, perché l’edizione in brossura contiene un sacchetto per il vomito, molto utile durante la lettura. “Veri, falsi? E che ne so io, sono solo l’editore”, ha commentato Elisabetta Sgarbi durante la presentazione del volume, tenutasi a Pompei nella suggestiva cornice delle macerie e con crolli ancora in corso. I falsi diari di Bondi sono divisi in tre parti: Bondi prima di Berlusconi, Bondi, durante Berlusconi e Bondi dopo Berlusconi, ed è questa la parte più commovente dell’opera, specie nelle pagine che descrivono la sofferenza del protagonista e la decisione dei veterinari di abbatterlo con un atto pietoso. La fanciullezza di Sandro Bondi è ripercorsa attraverso i suoi temi delle scuole primarie, e non sfugge al lettore la continuità stilistica del protagonista che scrive a cinquant’anni, da ministro della cultura, esattamente come faceva a sette, in seconda elementare. Ovviamente il meglio arriva quando, abbandonata la prosa, i diari si ramificano in potenti liriche. E’ il periodo del potere e del ministero della cultura, il più luminoso e il più solare nell’economia dell’opera. Musei e arte / Che gran confusione / Sappiate che è meglio / La televisione. E questo solo per citare il più lineare tra i versi dell’ex ministro. L’opera, va detto, non contiene grandi rivelazioni per gli storici, ma getta una luce nuova sulla figura di Sandro Bondi, lontana mille miglia dal personaggio che crediamo di conoscere. Egli, a differenza della vulgata giornalistica, appare come un uomo indipendente e spigliato, capace di ribellarsi al potere e di non assoggettarsi a nessun padrone. Le pagine dedicate a Silvio Berlusconi, quando Bondi lo descrive egoista e gretto, riabilitano decisamente il protagonista dei diari, veri o presunti che siano. Una curiosità. I falsi diari di Sandro Bondi erano lunghi quasi 800 pagine, ma i consistenti tagli alla cultura da lui accettati di buon grado, hanno ridotto il volume ad appena 360. Un libro che ha fatto del bene, in ogni caso, dato che le numerose copie invendute sono servite a consolidare la Domus Aurea.

Gennaio 2012. I diari di Renzo Bossi, il Trota (veri o presunti), Bompiani, pagg. 14, 6 ducati della Repubblica Indipendente di Varese.

Scarno ma di raro valore storico, i falsi diari di Renzo Bossi sono vergati in tecnica mista: pennarello sbavato, incisione rupestre, dito e saliva su tovagliolo. Se sono autentici, ci rivelano una personalità complessa, in gradi di distinguere senza problemi un mammifero commestibile da un serpente a sonagli e rivelano una struttura mentale da cacciatore-raccoglitore del Pleistocene. Se sono falsi, allora sono attribuibili a una mano ben più abile. “In ogni caso non me ne frega niente – ha dichiarato l’editore – perché io mica sono qui a pubblicare roba genuina, che so’, scena?”. Al di là del ritratto dell’autore che ne esce, i diari dicono molto sulla civiltà padana del XXI secolo, ancora incapace di edificare palafitte per difendersi dall’umidità, ma perfettamente in grado di guadagnare 14 mila euro al mese facendo il consigliere regionale lombardo. Le parole più toccanti dei diari sono dedicate alla figura del padre, una sola riga, ma molto intensa: “Grassie, se non era per tu, adess ero anchora al licceo”.

dal sito http://www.alessandrorobecchi.it/

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