Sapelli: l’euro è da "buttare". Anche Francia e Germania l’hanno capito
di Giulio Sapelli
Amenità, piccole facezie e pillole di controinformazione dal nord-est
di Giulio Sapelli
di Metilparaben
Secondo Silvio Berlusconi le indagini sulle aziende sospettate di reati fiscali, corruzione e fondi neri debbono essere effettuate soltanto se si tratta di aziende di poco conto; qualora invece si tratti di imprese importanti, che costituiscono "con la propria capacità operativa la forza del Paese", indagare su come si comportano è addirittura "suicida".
Non so se vi è chiaro il messaggio: secondo il premier (il premier, perbacco, mica uno qualunque) quelli che contano debbono essere lasciati liberi di fare ciò che vogliono senza essere disturbati; il che equivale a dire che per loro la legge non esiste, mentre continua a valere per tutti gli altri, che contano poco e niente.
Ecco, a me pare che questo sia il punto definitivo di non ritorno, al di là del quale resta soltanto la dittatura coi carri armati, la polizia politica e il confino dei dissidenti.
Ammesso e non concesso che ne abbiano bisogno.
dal sito http://www.metilparaben.blogspot.com/
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di Massimo Fini
Finalmente. Era ora. Era ora che i giovani, dopo decenni di sonnolenza, si svegliassero. Parlo di ragazzi normali, figli di un ceto medio che sta rasentando la soglia della povertà quando non c’è già entrato, non dei vetero-marxisti dei centri sociali.
La loro protesta si rivolge certamente contro la legge Gelmini (giusta nel principio di base – tagliare le unghie alle baronie – ma che di fatto blocca le carriere di assegnisti e ricercatori a progetto che per otto anni hanno sostituito in tutto e per tutto il titolare di cattedra, facendo lezione, tenendo corsi, presiedendo commissioni d’esame, conducendo e inventandosi laboratori e che ora, a 36, a 35 anni non solo si vedono bloccata la carriera ma, poiché queste categorie non hanno nemmeno diritto al sussidio di disoccupazione, si trovano letteralmente sulla strada dopo aver buttato via otto anni della loro vita), ma esprime anche, e forse soprattutto, un profondissimo disagio sociale che riguarda tutti i ceti ma che solo i giovani hanno le energie sufficienti per far emergere con forza.
Si sono sentiti in questi giorni, da parte della classe politica, alti lai perché la protesta si è rivolta contro le sacre “istituzioni democratiche che appartengono a tutti” (Schifani). E contro chi dovremmo protestare? Contro i chioschi dei giornalai? Perché queste istituzioni non sono affatto di tutti e non sono affatto democratiche. Sono “roba loro”, dei partiti che le hanno occupate e le usano non per il “bene comune”, come ripetono talmudicamente i loro esponenti, ma per i loro intrallazzi, per i loro giochi di potere, per i loro abusi, per i loro soprusi, per i loro clientes (e spesso per i loro crimini e la loro impunibilità) riducendo il cittadino, l’uomo libero che rifiuta di infeudarsi a queste camarille, a queste mafie, a suddito, senza diritti e senza parola.
Si è anche stigmatizzata la violenza di queste manifestazioni, che hanno riguardato un po’ tutte le più importanti città, Roma, Firenze, Pisa, Milano, Palermo. A parte che tirar uova, dare qualche spintone, salire sui tetti sta ancora nei limiti del lecito, voglio ricordare che quando facevamo i cosiddetti “girotondi”, manifestazioni assolutamente pacifiche, alcune di straordinaria imponenza come quella che organizzò, sul tema della legalità, Paolo Flores d’Arcais a piazza San Giovanni, il 14 settembre del 2002, raccogliendo un milione di persone che non erano certamente tutte di sinistra (la sinistra oggi, con le truppe cammellate, può portare in piazza al massimo 300 mila persone), non solo non abbiamo ottenuto nulla, ma siamo stati irrisi dalla destra e dalla sinistra. Quante volte ho sentito dire, in modo sprezzante, da uomini che si dicono di sinistra: “Non mi prenderai mica per un ‘girotondino’?” Alle destre poi non andavano nemmeno bene quelle manifestazioni pacifiche, contestavano il diritto di scendere in piazza, “pacificamente e senz’armi”, che come dice la Costituzione è il primo diritto politico del cittadino. Pierluigi Battista disse in tv che i “girotondi” erano “pieni di odio”. A parte che l’odio è un sentimento legittimo, nei “girotondi” non c’era nemmeno quello, era Battista che, come si dice in psicoanalisi, “proiettava la sua ombra”. È evidente quindi che per scuotere costoro, per costringerli a prestare una reale attenzione ai bisogni del cittadino ci vuole qualcosa di un po’ più pesante e che qualche cazzotto ben dato, a mani nude s’intende, non è sprecato.
Col sessantotto non c’è nessun parallelo. I “sessantottini” erano figli annoiati della borghesia che cavalcavano, grottescamente, un’ideologia morente, il marxismo leninismo, e in piazza non ci andavano con le uova ma con le spranghe. Questi son giovani non ideologizzati che lottano per il loro futuro e le loro legittime aspettative di carriera. Quelli, figli della borghesia, invece scendendo in piazza la carriera se la preparavano. Tanto è vero che sono diventati tutti, come minimo, direttori del “Corriere della Sera”.
dal sito http://www.ilfattoquotidiano.it
di Gianluca Bifolchi
Dopo che lo stesso Frattini aveva ridimensionato le sue prime dichiarazioni sull’esistenza di una “strategia” per colpire l’Italia ed escludendo che vi fosse un complotto contro il nostro paese, Alfano ha ieri ripreso e riamplificato questa teoria, che ha almeno il pregio di attribuire alla malevolenza straniera il ridicolo, la vergogna e l’infamia che accompagnano l’Italia nelle cronache di tutto il mondo. Una triste realtà che ormai non può più essere negata neanche dalla sfacciataggine berlusconiana.
Gran parte di questo paese vive ancora nella leggenda che le toghe rosse nel 94 fecero cadere il primo governo Berlusconi, benché esso al momento delle dimissioni non avesse già più la fiducia in Parlamento della Lega Nord, che infatti inizierà subito la campagna contro “Berluscazz”.
Ora, in questo paese caratterizzato dalla nascita da forte instabilità di governo, palese nelle dozzine di esecutivi succedutisi anche solo in età repubblicana, si vorrebbe sostenere che la caduta di un governo retto da un uomo che ha avuto le redini della nazione per quasi vent’anni e che ha guidato alcuni dei governi più longevi della Repubblica, accada per l’intervento di un’occulta regia straniera.
Immaginatevi se un qualunque governo della prima Repubblica avrebbe potuto sopravvivere a un decimo degli scandali che hanno travolto Berlusconi. Immaginatevi un Rumor o un Fanfani di cui si descrivono nella stampa nazionale le prodezze sessuali con escort maggiorenni e minorenni (e tanto di telefonate in Questura) che rimangono al loro posto, o escono politicamente indenni da sentenze come quelle sull’avvocato Mills o su Marcello Dell’Utri. Ci riuscite?
Se anche non volessimo prendere sul serio il senso di decenza che alla fine sembra esser prevalso in Fini e in quelli di Futuro e Libertà, se anche volessimo spiegare la rottura consumatasi nel Pdl con la stessa chiave di lettura offerta nei mesi passati da Berlusconi quando accusava Fini di invidia e ambizioni personali, ci troveremmo di fronte a fattori del tutto tipici dello scontro politico-istituzionale italiano che in passato hanno determinato eventi analoghi.
Se si sta seduti su un montarozzo di letame è ridicolo chiedersi da dove arriva la puzza.
PS. Mi viene in mente proprio ora che come si parla di “età giolittiana”, gli storici parleranno di questi anni come dell’”età berlusconiana”. E i posteri penseranno a noi con disprezzo.
dal sito http://subecumene.wordpress.com
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Bye bye ... Sandro Bondi?
Se tutto quello che sta portando alla luce Il Fatto Quotidiano verrà confermato credo proprio che la prossima testa a saltare del governo Berlusconi sarà quella dell'attuale ministro della Cultura Sandro Bondi.
Dopo le polemiche nate intorno la vicenda del crollo di Pompei, le continue manifestazioni del mondo dello Spettacolo e della Cultura contro i tagli del governo, e l'ultimo scandalo di famiglia Bondi (un posto al ministero per il figlio della compagna, la deputata pidiellina Emanuela Repetti, e 25 mila euro di fondi Fus per l'ex marito, Roberto Indaco), il ministro è stato investito dal nuovo scandalo che vedrebbe una comitiva di 32 persone arrivare dalla Bulgaria con volo e pernottamento in alberghi di extralusso ... naturalmente tutto a conto degli Italiani! Almeno questo è quello che ormai da settimane continua ad affermare Il Fatto Quotidiano!
Michelle Bonev |
“Il nostro viaggio al Lido? Il contribuente bulgaro non ha versato un euro. Ho un invito ufficiale del ministro Sandro Bondi e l’ufficio Esteri del nostro ministero, al tempo, mi fece sapere che eravamo invitati alla Biennale con tutta la troupe di Goodbye Mama a loro spese perché avevamo vinto un premio” (qui il documento dell'invito ufficiale)E sempre stando a quello che riporta Il Fatto, sarebbe disponibile anche un documento ufficiale che dimostrebbe come l'autorità bulgare dettarono all'Italia le condizioni per la visita:
“La tratta si deve svolgere in aereo: Sofia-Venezia-Sofia, i fondi per l’assicurazione medica e la diaria per 4 giorni devono essere addebitati sul budget del ministero della Cultura bulgaro. Viaggio e alloggio, al contrario, saranno coperti da chi ci riceverà” (vedi qui il documento ufficiale)Parole reputate false dal ministro Bondi che avrebbe smentito le affermazioni di Rashidov “Non c’è stato nessun viaggio pagato”, smentita che sta rischiando di far scoppiare l'ennesimo caso diplomatico.
“Ho avuto un invito personale da Bondi. Il Ministero della Cultura Bulgaro ha comunicato esclusivamente con il Ministero della Cultura Italiano e con nessun’altro. Da Roma mi chiesero se a Venezia era possibile avere gli attori di GoodBye Mama. ‘Siamo in crisi’, risposi, ‘posso portare al massimo un’attrice e un operatore. La trasferta veneziana è un’operazione costosissima e non posso prendere soldi dal contribuente bulgaro per un aereo enorme, affittato per trasportare 30 persone a Venezia’. In loco ho avuto incontri ufficiali con Mara Carfagna e il vice-ministro Galan, che si è scusato per la mancanza di Sandro Bondi. Con loro ho discusso della creazione di un centro culturale bulgaro a Roma e la futura partecipazione di pittori bulgari alla più prestigiosa Biennale d’arte Contemporanea del mondo, quella di Venezia. Non partecipiamo da 20 anni, la quota d’accesso è di 200.000 euro e lo stato bulgaro, non dispone con questi fondi”
Continuo ad ascoltare alla radio commenti strampalati da parte di economisti e di giornalisti. Uno dei più ricorrenti é quello secondo cui gli irlandesi se la sono cercata. Davvero? A me sembra che la realtà sia diversa. Da un punto di vista macro, l’Irlanda non stava male. Fino al 2008 il debito pubblico era di gran lunga inferiore al 60% sul Pil stabilito dal Trattato di Maastricht, nel 2009 é salito al 64%. La loro economia é cresciuta grazie a una tassazione societaria agevolata, che per qualcuno è disdicevole, ma certo non illegittima. Non viola nessun Trattato e, anzi, applica un principio elementare e giusto, quella della concorrenza fiscale tra Stati /o regioni.
Nel frattempo l’Irlanda é stata molto brava nell’utilizzare i fondi strutturali europei e a rilanciare con agevolazioni fiscali le zone depresse. I guai dell’Irlanda sono provocati non dai conti pubblici, ma da quelli privati; ovvero dall’indebitamento delle famiglie, che, analogamente a Stati Uniti e Gran Bretagna, è molto alto, pari al 190% del Pil; in buona parte a causa, ancora una volta, della sopravvalutazione del mercato immobiliare. Fino a poche settimane fa, tuttavia, si riteneva che l’indebitamento privato, peraltro noto da tempo, potesse essere assorbito nel tempo, senza misure draconiane.
Cos’é successo nel frattempo? Cos’hanno combinato di così grave i cittadini irlandesi? Nulla, assolutamente nulla. Le banche irlandesi, invece, sì. Quelle stesse banche che pochi mesi fa hanno superato il severissimo stress-test della Bce, improvvisamente hanno annunciato di essere sull’orlo del fallimento. La causa? La solita: sono troppo esposte sul mercato dei derivati, con conseguente moltiplicazione dei loro debiti. Come, nel 2008, le banche Usa, come Ubs, eccetera. Il rimedio? Il solito. Noi cittadini abbiamo pagato per la crisi dei mutui subprime. Gli irlandesi pagheranno per gli errori delle loro banche private, le quali, invece, non pagano mai. Da qui alcune considerazioni.
1) Non chiamatelo più capitalismo, quello vero è un’altra cosa. Prevede grandi ricompense per chi riesce, ma anche grandi punizioni per chi fallisce. Qui invece stiamo tornando a una situazione che assomiglia molto a quella pre Rivoluzione francese, nella quale una casta di nobili era al di sopra di tutto e non pagava mai.
2) I nostri Paesi non sono più sovrani, né giusti, né democratici. La vera democrazia presuppone l’assunzione di responsabilità e un rapporto di causa ed effetto tra il popolo e gli eletti. Ora il vero potere é nelle mani di un mondo finanziario che non rispetta le regole costituite e men che meno lo stato di diritto. E che sta sancendo una pericolosa consuetudine: quella che permette alle banche di scaricare su cittadini incolpevoli le proprie colpe. Loro sbagliano noi paghiamo, Loro risanano rapidamente, incassano bonus milionari, mentre i popoli sono costretti a subire restrizioni pazzesche per anni e forse decenni, in condizioni, talvolta, di moderna schiavitù. E chi osa protestare viene zittito con il ricatto supremo: o é così o viene giù l’Irlanda. E se viene giù l’Irlanda viene giù il mondo. Dunque meglio che pochi si sacrifichino per il bene di tutti.
3) La Bce dovrebbe essere chiamata a rispondere per non aver monitorato, per aver diffuso stress-test farlocchi. Ma non succederà nulla. Il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale andrebbero messi sotto inchiesta ed essere costretti a rispondere dei loro errori. Invece, essendo sovranazionali, non sono sottoposti ad alcun tipo di controllo e di verifica.
Avanza così una dittatura invisibile, che non sfida apertamente la democrazia e la sovranità nazionale, ma la svuota progressivamente di contenuti e rende i cittadini schiavi, moderni schiavi ingabbiati per sempre dal debito. Nel nome del progresso e del consumismo. Questa é la vera minaccia per tutti noi. O meglio: per chi vuole e ha l’intelligenza per capire. O sbaglio?
da www.ilgiornale.it via www.libreidee.org
di Pietro Cambi
Che contro le energie rinnovabili sia in atto una vera e propria campagna di disinformazione e controinformazione esistono pochi dubbi. La cosa è ancora sopportabile quando chi la fa combatte a viso aperto, mostrando la propria faccia lupesca. Non sopporto, invece, i lupi travestiti da agnelli, che non si limitano a darsi una riverniciata color verdolin-ambientale ma addirittura fondano movimenti ed associazioni che con le primissime azioni ed attività smentiscono il proprio stesso statuto. Una di queste sedicenti associazioni ambientali è, a mio giudizio, Fare Ambiente, apparentemente nata, si veda le sue recenti attività, con l'unico scopo di fare lobby a favore del nucleare in Italia e confondere le acque ai cittadini non addentro alla materia delle energie rinnovabili.
I primi fondatori e sottoscrittori, in ogni caso hanno idee piuttosto confuse anche su questa loro peculiare materia di interesse, come dimostra la lettera aperta indirizzata ad uno di loro, L'On. Guidi da parte di Leonardo Libero, socio fondatore di Aspo Italia, e Direttore della rivista "Energia dal Sole", lettera che pubblico per sua gentile concessione.
Gentile consigliere Guidi, da fonte AGENPARL ho letto questa Sua dichiarazione dell'11 novembre scorso:
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di Wil su nonleggerlo.blogspot.com
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di Alessandro Robecchi
Nella splendida cornice di migliaia di vittime civili, fremente e fiero nella sua divisa militare virilmente indossata, Sua Eccellenza il Ministro della Difesa Ignazio La Russa ha compiuto l’ardita impresa di lanciare undicimila volantini sul villaggio afghano di Bala Murghab, malauguratamente sprovvisto di contraerea. Atterrato incolume dopo l’ardito cimento, ha dichiarato, con vibrante sprezzo del ridicolo, di essere come Gabriele D’Annunzio, probabilmente nel tentativo di intrecciare una storia d’amore con Eleonora Duse. L’accostamento del ministro con il Sommo Vate, fatto da sé medesimo, deve essergli sembrato suggestivo, e comunque più credibile di altri travisamenti: pare che Silvio Berlusconi gli avesse consigliato di dichiararsi nipote di Mubarak. La guerra psicologica del Ministro La Russa consiste dunque nel bombardare di carta gli afghani, in spregio alle più elementari regole della raccolta differenziata. “Il benessere proviene dalla pace”, c’è scritto sui foglietti. Un gesto di grande credibilità per un ministro che non più tardi di due settimane fa aveva proposto di dotare di bombe gli aerei italiani di stanza in Afghanistan, allo scopo, tutto pacifista, di ammazzare stecchiti più afghani possibile. Non potendo tirare bombe dall’alto, come avrebbe voluto, non ha resistito alla tentazione di sganciare comunque qualcosa, e ha ripiegato su manifestini di propaganda. I volantini gettati da Gabriele La Russa, forse al grido di “Fiume è italiana”, ritraggono combattenti talebani che tornano a casa abbandonando la guerra, immagine forte, l’unica, in effetti, che consentirebbe agli americani e a La Russa di vincere il conflitto tre a zero a tavolino per abbandono dell’avversario. In più, i piccoli foglietti colorati lanciati sulle teste degli afghani citano il Corano e mettono in guardia dalle mine antiuomo, senza dire – forse per mancanza di spazio, o più semplicemente per mancanza di onestà – che le mine e le bombe a grappolo ce le mettiamo pure noi, e che ai bambini afghani si insegna (mai abbastanza) a non raccogliere nulla da terra. Una distrazione che si può perdonare data la tensione che regna sullo scacchiere di guerra sul quale – sempre naturalmente in segno di pacificazione – giungono in queste ore nuovi potentissimi carri armati americani. Una nota del Ministero della Difesa comunica inoltre che i volantini sono stati testati da alcuni focus-group che li hanno giudicati efficaci e comprensibili anche agli analfabeti, dettaglio subito apprezzato da molti membri del governo italiano. Il virile gesto del generoso combattente in mimetica rischia di costituire un pericoloso precedente: presto infatti dieci milioni di copie di un libro che canta le lodi del governo Berlusconi saranno lanciate sulle teste degli italiani con un chiaro messaggio incluso: arrendetevi! Oggi, mentre nell’ora del riposo e dello svago il guerriero La Russa è tornato a Roma ad occuparsi di Mara Carfagna, rifiuti solidi urbani e lotte intestine al regime, brilla nella popolazione afghana del distretto di Bala Murghab una nuova consapevolezza: con gente che chiama “missione di pace” una guerra e che scimmiotta le glorie del fetido ventennio non c’è da fidarsi. Per questo, ci sentiamo un po’ civili afghani anche noi.
dal sito http://www.alessandrorobecchi.it/
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di Rita Pani
"E' una cosa indegna, abbietta, criminale, antitaliana criticare infodamentamente ciò che è stato fatto da uomini dello Stato e dalla protezione civile" dice il presidente del Consiglio, che se la prende con "la stampa di sinistra" per il modo in cui ha cercato di "distruggere" l'operato del governo sul caso rifiuti e sulla ricostruzione in Abruzzo. "Tutti quelli che hanno detto cose infondate si devono vergognare".
Ho passato molte ore in un aeroporto ieri, tra una moltitudine di tedeschi, spagnoli e qualche americano. Ad un tratto su uno degli schermi ormai disseminati in tutto il territorio nazionale, è apparsa la faccia del tizio trentaseienne del consiglio, ingiallito dal pongo che gli ricopre la faccia, a dire al popolo – per fortuna in aeroporto le minchiate erano sottotitolate e la sua voce stridula ci è stata risparmiata – che tutto è un complotto, che i comunisti son tornati, che siamo un popolo di sovversivi.
Una ragazza spagnola, indicandolo col dito al suo compagno ha detto qualcosa che suonava come: “guarda guarda esiste davvero”. Ridevano. Ridevano, ho pensato, perché non sapevano leggere i sottotioli che fedelmente riportavano l’essenza del discorso istituzionale del tizio, che sembrava essere l’ennesimo tentativo di circonvenzione di incapace.
Supportato dal manichino che ci rappresenta all’estero, il quale privo di dignità corroborava la teoria del tizio arricchendo di particolari la teoria del complotto destabilizzante. Diceva il ministro, che anche il crollo pompeiano, altro non è che parte del disegno di distruzione dell’immagine dell’Italia all’estero. E non so, se la sua fretta di smentire sia venuta prima o dopo aver appreso che in America, il tizio trentaseienne del consiglio sia stato paragonato persino a un tacchino.
Lo guardavano i tedeschi e scuotevano la testa. L’ho guardato anche io, solo per qualche secondo, ma in questi casi, la mia fantasia non è mistero. E siamo dunque ancora qua, ho pensato, a ricominciare la giostra dei complotti e dei comunisti, a sentirci dire ancora e ancora che i miracoli esistono, che Napoli tornerà all’antico splendore pompeiano, all’Aquila ricostruita, ma soprattutto a un paese che è impossibilitato a crescere economicamente, perché dei giudici comunisti e antitaliani hanno minato la ricchezza di Finmeccanica e dell’ENAV, in cui presidenti e mogli di presidenti alla fine, non son altro che ladri.
Dopo la faccia del tizio però, son passate sugli schermi le immagini degli studenti in Piazza San Marco, o a Cagliari o a Palermo; e persino le facce che prima ridevano son cambiate distendendosi. Potrebbe essere proprio questa una buona occasione. L’ennesima che ci viene offerta e che temo non riceveremo nemmeno questa volta. Abbiamo lasciato soli gli operai appesi alle ciminiere (lo so, torri è più romantico), abbiamo quasi ignorato le grida di disperazione degli extracomunitari, barricati in chiesa o appesi sulle gru e se anche questa volta lasceremo soli gli studenti, allora vorrà dire che bene o male avere un tizio da deridere, da odiare o da sognare appeso a testa in giù, che continua nella sua opera di razzia e devastazione, tutto sommato ci fa comodo.
Oggi gli studenti sono in piazza a Roma con la CGIL. Ricordiamoci domani di rendergli il favore. È davvero l’ultima occasione.
Rita Pani (APOLIDE)
dal sito http://r-esistenza-settimanale.blogspot.com/
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ovvero del perchè la globalizzazione e le multinazionali ci stanno portando alla rovina
di Eugenio Benetazzo
Grecia, Portogallo, Irlanda e Spagna ormai stanno diventando il leitmotiv delle riflessioni delle comunità finanziarie internazionali, come se l'unica preoccupazione su cui ci dovremmo soffermare fosse la tenuta nel breve dei conti pubblici di questi paesi. Il cosa scegliere ed il dove posizionarsi a livello di investimento è stato da me ampiamente trattato in svariate occasioni e contesti mediatici, tuttavia l'interrogativo principe cui ci dovremmo porre in questo momento non è se il tal titolo di stato è a rischio default, ma piuttosto quale non lo sarà. Cercherò di trasmettervi questo mio pensiero nel modo più comprensibile possibile.
La crisi del debito sovrano in Europa è una crisi di natura strutturale (e non congiunturale) dovuta a fenomeni macroeconomici che hanno espresso tutto il loro potenziale detonante attraverso un modello di sviluppo economico turboalimentato da bassi tassi di interesse e costi irrisori di manodopera che porta il nome di globalizzazione. Quest’ultima non nasce dalla naturale evoluzione del capitalismo classico, quanto piuttosto è una soluzione studiata a tavolino da potenti lobby di interesse sovranazionale per risolvere l'angosciante diminuzione dei profitti e degli utili aziendali in USA ed in Europa, causa un progressivo ed inarrestabile processo di invecchiamento della popolazione unito ad una decadente natalità dei nuclei familiari.
Le grandi multinazionali vedranno infatti costantemente contrarsi sia i fatturati che i livelli di profitto in quanto ormai quasi tutti i mercati occidentali sono maturi, saturi o addirittura in declino (pensate al mercato automobilistico, non sono casuali le recenti esternazioni di Sergio Marchionne). Tra quindici anni le persone anziane, gli over sessanta, rappresenteranno una quota sempre più consistente delle popolazioni occidentali (in Italia saranno stimati quasi al 40%). Una persona anziana purtroppo non rappresenta il clichè del consumatore ideale, infatti contribuisce marginalmente poco al livello dei consumi rispetto ad un trentenne (quest’ultimo infatti si trova appena all’inizio del suo progetto di vita: si deve sposare, deve comprare un’abitazione, fare figli, acquistare un’autovettura, divertisi nel tempo libero, andare in vacanza, vestirsi alla moda e così via).
Se da una parte infatti diminuirà il livello dei consumi, dall’altra aumenterà invece il peso angosciante del welfare sociale (ricoveri, degenze, assistenza medica e pensioni di anzianità) andando a pesare sempre di più in percentuale ogni anno sul totale della ricchezza prodotta. In buona sostanza stiamo parlando di paesi (USA, Germania, Regno Unito, Francia, Italia, Spagna & Company) il cui destino è piuttosto ben delineato: inesorabile invecchiamento della popolazione, costante aumento dell’indebitamento pubblico, lenta deindustrializzazione e brutale impoverimento. Non so quanto potranno effettivamente servire i cosidetti programmi di austerity sociale, a meno di drastici e drammatici tagli alla spesa sociale ed alla pubblica amministrazione. Chi ha concepito la globalizzazione ha pensato proprio a questo ovvero come salvaguardare i livelli di profitto aziendali (e magari anche come farli aumentare) a fronte di un mutamento epocale della geografia dei consumi mondiali.
In Asia, con in testa Cina ed India, il 75% della popolazione ha un’età inferiore ai trentanni ed un reddito procapite in costante ascesa: si trattava pertanto di creare le premesse e le modalità per far aumentare il numero di persone che in queste regioni potessero iniziare a consumare a livelli similari a quelli occidentali. Grazie ad il WTO si è riusciti ad implementare un fenomenale trasferimento di posti di lavoro attraverso le “opportunità” delle delocalizzazioni produttive, spostando letteralmente fabbriche e stabilimenti, che avrebbero consentito di far nascere con il tempo una nuova classe media borghese disposta a spendere per le mode e le tendenze di consumo del nuovo millennio. Non bisogna essere economisti per rendersi conto di quanto esposto sopra: nel 2000 l’Asia contribuiva ad appena il 10% dei consumi mondiali, nel 2030 salirà a quasi il 40%. Come potenziale di crescita, ai mercati orientali si stanno affiancando anche i mercati dell’America Latina con la locomotiva Brasile in testa.
Stiamo pertanto assistendo ad un mutamento epocale: il baricentro economico e geopolitico del mondo si sta spostando verso Oriente ed anche verso il Sud del Pianeta. La crisi del debito sovrano in Europa è tutto sommato di portata inconsistente rispetto ai problemi che emergeranno nei prossimi cinque anni a fronte di oggettive difficoltà di approvvigionamento alimentare, soprattutto in Oriente che detiene superfici arabili decisamente incapaci a far fronte alla crescente domanda sia di cereali che (purtroppo) di carni da allevamento. Tra ventanni l’attuale modello economico dovrà essere in grado di fornire abitazioni, automobili, carburanti, acqua e cibo ad almeno 600 milioni di nuove persone: pertanto cominciate a chiedervi chi potrà ancora permettersi di avere il frigorifero pieno o i banchi del supermercati colmi e riforniti per accontentare lo scellerato e sfrenato consumismo del nuovo millennio. Destino manifesto per dirla alla Stewie Griffin.
dal sito http://www.eugeniobenetazzo.com
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di Antonio Sparzani - nazioneindiana.com
Classista perché è usato solo su studenti, operai, persone comuni. Mai il manganello si è abbattuto su un politico, un banchiere, un industriale e neppure su un mafioso in pubblico. L'uso del manganello va proibito.
(G. De Capitani)
ma non vi siete ancora stancati di picchiare gli studenti? nel 1968 non eravate ancora nati, ma non importa
quegli studenti sono figli vostri, sono tutti gli studenti d’Italia, non protestano per non studiare, per studiare meno, per fare i fancazzisti, figli di papà, non sono buona razza non mente, non hanno l’occhio cattivo, non sono paurosi, incerti, ma sono sì disperati, non sanno più come essere prepotenti, ricattatori e sicuri e ieri non erano solo a Valle Giulia, ma erano a Milano, a Roma, a Firenze, a Bologna e hanno la forza della disperazione e la forza più forte della specie: il desiderio di sopravvivenza.
Cari poliziotti, che certo anche voi siete figli di poveri, che venite da periferie contadine o urbane che siano, nessuno vi racconta perché siete chiamati sulle vostre piazze, di fronte ai vostri cittadini e figli a impedire con la violenza una protesta che quindi non conoscete.
Avete provato a pensare che potreste chiedere di essere informati anche voi, sì, anche voi non più meri esecutori di un sempre più malinteso ordine, informati anche voi, poliziotti, cittadini più degli altri investiti di potere e dunque di responsabilità, sul merito della contesa, avete immaginato che vi potrebbero spiegare che la nuova legge sulla scuola e sull’Università, voluta non solo da una ministra ma dall’intero governo di questo paese, impedisce a un numero sempre crescente di giovani di studiare, impedisce persino di valorizzare il merito, valore, se mai ce n’è uno, della borghesia liberale?
Avete pensato, cari poliziotti, al fatto che la violenza che ingiustamente esercitate sui figli vostri e nostri non avrà altro effetto che quello di generare altra violenza, e non quello di raddrizzare una qualche stortura, e che la vera stortura da raddrizzare è invece quella perpetrata da un governo che non ascolta, che non concorda, che non capisce, che complessivamente non si cura degli interessi dei suoi malaugurati sudditi?
Nel 1971, cari poliziotti, quando appunto la maggioranza di voi non era ancora nata io sono stato picchiato senza alcuna ragione dai vostri predecessori di allora, che si sono inferociti a spezzarmi le dita solo per il fatto che le stavo fortunatamente usando per ripararmi la testa, e solo per il fatto che mi trovavo lì, sul cancello del mio posto di lavoro, l’Università di Milano, Istituto di Fisica, via Celoria 16. Era il mio posto di lavoro perché avevo già una posizione per allora prestigiosa, quella di assistente ordinario, così che il questore si scusò col mio professore che andò a protestare. Voi chi pensate di picchiare? Pestate nel mucchio, voi non sapete perché ma loro sì? Con questa logica, cari poliziotti, produrrete altri danni, di cui la nostra traballante repubblica non ha certo bisogno. Fermatevi un momento a pensare anche voi, con la vostra testa, a quali siano davvero le vostre responsabilità e le possibilità che vi si offrono.
dal sito http://www.nazioneindiana.com
di Beatotrader (Stefano Bassi)
Gli Stress-test "estivi" di tutto Relax....ovvero una FARSA.
Così chiamai in questo BLOG gli stress-test bancari europei nei quali praticamente tutte le banche furono promosse a pieni voti...comprese quelle greche ed irlandesi.
Vedi nel mio Blog Mi sono stress-testato e Pillole di Relax....
A babbo morto, adesso tutti si stanno scandalizzando del fatto che le Banche Irlandesi fossero riuscite a superare gli stress-test in scioltezza pur essendo TECNICAMENTE FALLITE.
Stress test banche. E' proprio il momento di dire: che vergogna (WSI)
Il caso Irlanda fa esplodere le critiche sull'attendibilità delle valutazioni effettuate nei mesi scorsi.
Si pensi un po': proprio Allied Irish Bank (AIB) e Bank of Ireland erano state promosse a pieni voti.
L'Ue si giustifica e ora forse è tutto da rifare......
La stessa "storiella farsesca irlandese" sarebbe applicabile alla stragrande maggioranza delle BANCHE sia in Europa che altrove....visto che molte di esse sono TECNICAMENTE FALLITE, anche se shhhhhhh....non si può dire ad alta voce...;-)
Ma come sempre le cose che anticipiamo sui Blog, ci mettono un po' di tempo ad essere "cantate" nei cori ufficiali
e naturalmente SOLO nel caso in cui non se ne possa fare a meno....
in caso contrario la polvere nascosta sotto al tappeto se ne rimane bella tranquilla...
Adesso prepariamoci al secondo atto della Farsa...
Torna l’incubo degli stress test. Nuovo esame, più severo, a inizio 2011
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di Cloro Barbara
Emilio Fede al TG4 -davanti a milioni di telespettatori -padri e madri di famiglia colpiti dallo scempio scolastico gelmini, insieme coi loro figli- esprimeva iersera:
“Un popolo civile, quale noi siamo, dovrebbe menare questi studenti”Io ho un’altra opinione, un po’ divergente. Un popolo civile, quale noi siamo, non dovrebbe accettare che un incompetente, dall’italiano approssimativo, dallo scranno del tg di un media nazionale esterni parole incitanti all’odio e alla “macelleria messicana” modello “genova 2001“. In un paese civile uno così non farebbe il giornalista, dato che non ne ha nè la cultura idonea (neppure al livello base della competenza lessicale), nè lo spessore. In un paese civile questo qui farebbe a tempo pieno quel mestiere di ruffiano che secondo le testimonianze di alcune ragazze partecipanti ai “bunga-bunga” governativi, è la sua seconda attività.
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Che nella politica Italiana tutto è possibile non c'è alcun dubbio ... ma immaginare solamente che anche i politici (maschi) potessero avere le mestruazioni ... è un miracolo di ... Berlusconi!
«Il 14 dicembre anche molti uomini resteranno a casa con il ciclo mestruale... Parlamentari finiani, centristi e persino esponenti del Pd»
A lanciare l'indiscrezione secondo quanto riporta il Corriere della Sera, è il senatore Piergiorgio Massidda del PDL, dato recentemente in partenza verso FLI, ma che sembrerebbe aver cambiato idea dopo le promesse fatte dal premier Silvio Berlusconi «Per ora resto nel Pdl, il premier ha assunto degli impegni nei miei confronti».
L'indiscrezione si riferirebbe alla probabile assenza di molti deputati nel giorno della fiducia al governo, del 14 dicembre, che appunto potrebbero non presentarsi il giorno del voto per far abbassare il quorum e permettere al governo Berlusconi di continuare a governare.
La campagna acquisti và avanti ... tra cambi di schieramenti e i mestruati del 14 dicembre!
dal sito http://stopthecensure.blogspot.com/
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Nel vangelo secondo Marco (Travaglio), il mondo pressappoco funziona così. Da una parte c’è quel cappuccetto rosso chiamato Italia, ostaggio del lupo cattivo Berlusconi e di altri manigoldi di destra e sinistra. Dall’altra, ci sono gli Stati Uniti o l’Europa (quella con la “e” maiuscola), che per fortuna ci indicano la retta via. Il ragionamento del più celebre giornalista “giudiziarista” italiano - e di tanti suoi mentori (il quotidiano Repubblica) ed epigoni (dai giovani cronisti de “Il Fatto” all’ultimo blogghettaro di provincia) - è semplice semplice: là (all’estero), chi sbaglia, paga; mica come qua, nel Belpaese dei cachi e dei furbi.
‘Ste favolette, per carità, hanno più di un pregio. In primis, sono facili da capire. E in secundis, c’hanno pure un finale edificante. Ma hanno pure un grosso difetto: con la realtà, purtroppo, hanno spesso poco a che fare. E basta avere la pazienza di leggere, anche distrattamente, qualche giornale dei “civili” o “civilissimi” Paesi di cui sopra, per rendersene conto.
Tanto per dire. Questa settimana, Francesco Guerrera - che non ha l’onore di fare l’ospite d’onore ad Annozero e non ha neppure una rubrica fissa su “Il Fatto”, ma è pur sempre un giornalista del Financial Times - ha scritto un lungo editoriale dal tono parecchio sconsolato. Titolo: “La crisi con innumerevoli vittime e nessun colpevole”. Succo: negli Stati Uniti, la grande recessione ha travolto poverazzi e gente comune, ma i soliti padroni del vapore (o meglio di Wall Street) se la sono sfangata alla grande. Perché, evidentemente: oltreoceano, chi sbaglia, paga. Ma sempre fino a un certo (dis)onestissimo punto.
I fatti, del resto, son quelli che sono. La crisi economica che ammorba buona parte dell’Occidente è esplosa quando - nel non lontano autunno 2008 -, una nutrita pattuglia di banche e fondi di investimento a stelle e strisce hanno scoperto (nel giro di qualche settimana; e quasi per caso, diciamo) che erano a un passo dalla bancarotta. Da allora ad oggi: 8,4 milioni di persone, negli States, hanno perso il loro posto di lavoro. E oggi quasi 42 milioni di americani devono servirsi di “food stamps” - buoni passati dal governo ai poverazzi - per mettere insieme il pranzo con la cena.
Naturale chiedersi, come fa appunto il giornalista del Financial Times, se non ci sia qualcuno - ai piani alti di banche e istituzioni finanziarie - che non abbia commesso, più o meno in buona fede, qualche errore di troppo e non debba pagarne salatamente il conto. Perché, sì, va bene: qualche grosso manager si è pure dimesso (portandosi via, spesso e volentieri, buonuscite milionarie). E sì: è anche vero che qualche mago della finanza particolarmente allegra - vedi il caso di Bernard Madoff - è pure finito in gattabuia. Ma francamente tutto questo appare un po’ pochino per una serie di bancarotte che, come ricorda Guerrera, ha letteralmente “distrutto aziende e lasciato milioni di persone senza casa e senza lavoro”.
Ma tant’è: osserva il giornalista del Financial Times, “i processi penali” contro i magnati della Finanza a stelle e strisce, “sono praticamente inesistenti e anche le cause civili sono state pochissime”.
Ma dai?
E la tanto decantata (in Italia, s’intende) giustizia a stelle e strisce? E il tanto celebrato (sempre in Italia) senso di responsabilità dei concittadini di Barack Obama? E beh, quelli, per questa volta, sono andati un tantino a farsi benedire. Anche perché, ha scritto Guerrera, “la maggior parte delle società finanziarie, dei regolatori, delle agenzie di rating e dei media non sono stati capaci di vedere la tempesta arrivare”. Tradotto: ai piani alti, hanno sbagliato un po’ tutti. E quindi? E quindi e per usare le parole di un grosso avvocato di Wall Street citato sempre dal giornalista del Financial Times: se un mio cliente finisce nei guai “la mia risposta è: il mio ragazzo potrebbe aver fatto qualcosa di male, ma anche tutti gli altri facevano la stessa cosa”.
Tutti colpevoli uguale nessun colpevole. Suona stranamente familiare, no?
Ma passiamo dagli Stati Uniti all’Europa con la “e” maiuscola. Perché è la realtà che ci riguarda più da vicino. Perché qui oltre alle banche, stanno fallendo per giunta gli Stati. E perché anche qui, di colpevoli e responsabili - con nomi e cognomi - non si vede manco l’ombra.
L’Irlanda, per esempio.
Dublino - per anni - è cresciuta a ritmi da primato: secondo il World Factbook, il suo Pil è aumentato, in media, del 6% all’anno dal 1995 al 2007. Poi, il tracollo. Nel 2008, il Prodotto interno lordo della ex Tigre Celtica è campitombolato del 3%; nel 2009, addirittura del 9%. E, oggi come oggi, la swinging Dublino degli U2 è solo un vago ricordo: il Paese - travolto da uno tsunami di debiti - finirà presto nelle mani del Fondo monetario internazionale e del nuovo nuovento Fondo europeo per la stabilità finanziaria. Non un crac conclamato, ma un default tecnico. Epperò: sempre di fallimento si tratta.
Che sarà mai successo? Anche in questo caso, chi ha avuto la pazienza di leggere i giornali dei “civilissimi” Paesi di cui sopra, ha trovato una spiegazione piuttosto convincente, anche se non proprio entusiasmante. Secondo il quotidiano britannico “The Telegraph” (che cita dati forniti dal presidente della Banca centrale Irlandese, Patrick Honohan): nel 2006 - ossia due anni prima della vera e propria esplosione della crisi - due terzi delle famiglie che stavano comprando la prima casa, aveva un mutuo pari al 90% del valore dell’immobile; un terzo, invece, aveva un mutuo pari - addirittura - al 100% del valore dell’immobile. In pratica: le banche avrebbero prestato soldi pure ai morti se fosse stato possibile (e sempre che non sia successo davvero).
Non stupisce, quindi, che il sistema bancario irlandese si sia liquefatto: la prima banca ad alzare bandiera bianca è stata la Anglo Irish Bank, che è fallita de facto, ed è stata nazionalizzata nel 2009; ed altre ne sono seguite. E non stupisce neppure il fatto che - nel pieno della crisi - il governo irlandese sia stato costretto a garantire tutti i debiti delle banche di Dublino e dintorni (pari, circa, a 400 miliardi di euro; ovvero oltre il doppio del prodotto interno lordo dell’Irlanda, che nel 2009 è stato pari a 172 miliardi di euro).
Quello che stupisce - semmai - è che in Irlanda il business prosegua as usual. Tanto per capirci: secondo un articolo pubblicato oggi dal Times (e purtroppo non disponibile on line), Sean Fitzpatrick - ex presidente della Anglo Irish Bank dei crac e degli scandali - spende sereno le sue giornate tra la sua tenuta in Irlanda e il club di golf “Las Bisas” di Marbella, in Spagna. E dire che Mr Fitzpatrick - al momento di dimettersi, nel 2008 - aveva pure ammesso di essersi fatto concedere un prestito dalla sua stessa banca, pari a “solo” 87 milioni di euro; prestito, va da sè, che si era preoccupato di tenere ben nascosto a tutti (azionisti compresi) fino a crac conclamato. Epperò: l’ex presidente della Anglo Irish Bank è pure lui tutt’altro che un’eccezione. Per esempio. Anche Brian Goggin l’ex numero uno della Banca centrale irlandese - che evidentemente era troppo distratto per vigilare a dovere su quello che stavano combinando gli istituti di credito del suo Paese - continua sereno a godersi i suoi soldi (il suo ultimo stipendio, sempre secondo il Times, è stato di 2 milioni di euro). E, sempre stando a quanto scrive il Times, la lista di magnati (e pure politici) furbacchioni potrebbe continuare. Perché pure a Dublino: chi ha avuto, ha avuto; e chi ha dato, ha dato.
Anche questo suona vagamente familiare, nevvero?
A questo punto, però, urge davvero concentrarsi sull’Europa con la “e” maiuscola, cioè Bruxelles.
Sempre secondo il “Telegraph”, infatti, a spingere gli irlandesi a indebitarsi a più non posso è stata - non solo, ma anche - la politica monetaria della Banca centrale europea. In breve: dal 1998 al 2007, i tassi di interesse reali, in Irlanda, sarebbero stati negativi (meno 1% in media). Che vor dì? Per metterla giù in maniera tecnica: vor dì che l’inflazione in Irlanda era alta e superava il cosiddetto tasso di sconto, cioè l’interesse base sul debito che è appunto fissato dalla Banca centrale europea. Ma per farla un po’ più semplice: altro che tasso fisso e variabile, i mutui -in Irlanda - erano semplicemente a prezzo di saldo. Anzi: più che saldo, regalo.
Epperò e anche qui: come mai - dopo che ben due Paesi dell’area euro sono falliti (prima la Grecia e poi l’Irlanda) - nessuno contesta il presidente della Banca centrale europea, il francese Jean Claude Trichet? Trichet occupa il posto che occupa non da ieri, ma dal 2003. Possibile che non si sia mai accorto del problema, prima dell’inevitabile patatrac? E se se ne è accorto, perché non ha fatto un tubo (a parte tromboneggiare sui giornali di mezza Europa)?
Sia ben chiaro: chi scrive non auspica il ritorno a torce e forconi o la caccia al banchiere (centrale e non). Tutt’altro. E’ evidente che nessuno ha obbligato le famiglie - statunitensi o irlandesi che siano - a stracaricarsi di debiti. E ora che è arrivato il conto, è giusto che ognuno paghi la sua parte. Ma appunto: la sua parte e non quella degli altri. Ergo: se qualcuno ha più responsabilità - in alcuni casi politiche, in altre anche penali - sarebbe giusto che pagasse di più. Perché vivremo pure - per parafrasare il nome della testata economica più famosa del mondo - in Financial Times (ovvero in tempi in cui la finanza conta più di qualunque altra cosa). Ma questo non significa che chi lavora o opera in questo settore debba avere una specie di salvacondotto.
Di più. Sulla graticola e sotto i riflettori sarebbe ora che finissero non solo le persone, ma pure - appunto - certe politiche di fondo. Perché chi - oggi come oggi - può davvero pensare che i sedici Paesi dell’euro possano andare avanti con una sola moneta e sedici politiche fiscali ed economiche diverse, senza che altre Dublino o Atene si profilino all’orizzonte? Non sarebbe, una buona volta, il caso di porsi delle domande su questa integrazione tutt’altro che perfetta?
Il quadro, insomma è quel che è: per nulla roseo. Ma questo è il contesto in cui l’ex Belpaese si muove. O meglio: questo è il contesto in cui l’Italia dovrebbe muoversi, se non fosse paralizzata e pietrificata attorno ai propri tic e a un presidente del consiglio che da ormai un anno non governa più e che però rimane l’alfa e l’omega della nostra, se così la si può ancora chiamare, politica. E pure l’ossessione di molti giornalisti. Che però - almeno per quel che riguarda la santificazione di tutto quel che non è made in Italy - potrebbero e dovrebbero cambiare registro.
Gli anni duemila, quelli della Tigre Celtica e degli Stati Uniti superstar, sono finiti - anche cronologicamente, visto che il 2011 è alle porte. Vediamo di aggiornarci e di aggiornare pure gli italiani, sì?
dal sito http://bamboccioni-alla-riscossa.org
di Gianluca Bifolchi
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